Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11238 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 11238 Anno 2016
Presidente: MATERA LINA
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA
sul ricorso 30777-2011 proposto da:
PATELLA

VINCENZA

PTLVCN44C67D009H,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 259, presso lo
studio dell’avvocato GIUSEPPE LO PINTO, rappresentata
e difesa dall’avvocato CAROLINA SABRINA MESSINA;
– ricorrente contro

2016
761

PRESIDENZA DELLA REGIONE SICILIA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta
e difende ape legis;

Data pubblicazione: 31/05/2016

lr

LA^ d-J– tit°-(20,5- D2

pLe

controricorrente –

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.12,-,vm_A–

avverso la sentenza n. 361/2011 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 21/03/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/04/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORILIA;
udito l’Avvocato MESSINA Carolina Sabrina,

difensore

della ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito l’Avvocato dello Stato DT MATTEO Federico,
difensore della resistente che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per il
rigetto con eccezione di .inammissibilità del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1

Con atto 6.8.1991 Nicole, Patella convenne davanti al

Tribunale di Palermo la Presidenza della Regione Siciliana per
sentirla condannare al pagamento della somma di lire 60.450.000

del prezzo di

oltre interessi e rivalutazione a titolo di saldo

vendita di un edificio sito in Corleone da adibire ad alloggi
per le forze dell’ordine, giusta atto per notaio Siciliano del
10.7.1987. Precisò di avere ripetutamente invitato l’acquirente
Regione Siciliana a ricevere l’immobile, da ultimo con offerta
ex art. 1216 in data 5.6.1990 a cui aveva poi fatto seguito
apposito verbale di consegna a mezzo di ufficiale giudiziario.
La Presidenza della Regione si oppose alla domanda
chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni per
l’inadempimento contrattuale del venditore e, in particolare,
per quanto ancora interessa, per i difetti riscontrati
nell’immobile, nonchè per la mancata esecuzione delle opere
previste o necessarie.
Il processo, interrotto per la morte dell’attore, venne
riassunto nei confronti dei suoi eredi e, all’esito di tre
consulenze tecniche, venne definito in primo grado con sentenza
depositata il 23.10.2004 con cui l’adito Tribunale, respinta la
domanda principale, accolse la riconvenzionale condannando
Vincenza Patella, in proprio e quale procuratrice generale di
Salvatore e Filomena Renata Patella etutti eredi di Vittorio) al
risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede con
3

compensazione delle spese.
2

La Corte d’appello di

Palermo con sentenza non

definitiva n. 1205/2008 depositata il 22.9.2008, accogliendo
l’impugnazione proposta dalla Presidenza della Regione Siciliana

confermò la condanna della Patella, nella predetta qualità, al
risarcimento dei danni in favore dell’appellante per tutti i

vizi di costruzione, disponendo con separata ordinanza la
prosecuzione del processo per la quantificazione degli stessi

previa nomina di un consulente tecnico.
Per giungere a tale conclusione, la Corte palermitana,
previa una articolata ricostruzione della vicenda, osservò:

che

per

carenze

costruttive,

l’immobile,

fin

dall’origine, non era risultato idoneo all’uso a cui era
destinato;
– che la presenza di vizi nella cosa venduta abilita il
compratore ad opporre

“l’exceptio inadimpletí contractus”

al

venditore richiedente il pagamento del saldo del prezzo, e a
domandare altresì la condanna di quest’ultimo ad eliminare a
proprie spese

i

vizi

o,

ancora,

in via alternativa,

l’attribuzione di un risarcimento per equivalente,
corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi
stessi;
– che non poteva escludersi la responsabilità del Patella
per i vizi e difetti riscontrati, in mancanza di prova della non
imputabilità dell’inadempimento, risultando, anzi, dall’atto di
4

compravendita del 10.7.1987, l’avvenuta costruzione a cura e
spese del venditore , tenuto agli obblighi di custodia fino alla
consegna all’amministrazione regionale.
Con successiva sentenza definitiva n. 361/2011 depositata

il 21.3.2011, ne fissò l’ammontare in E. 1.227.442,92
condannando la Patella in proprio e nella predetta qualità al
pagamento del suddetto importo oltre al rimborso delle spese del
giudizio.

3 La Patella ricorre per cessazione contro le due sentenze
base di due motivi a cui resiste con controricorso

sulla

la

Presidenza della Regione Siciliana (difesa dall’Avvocatura
Generale dello Stato), deducendo preliminarmente la
inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis
cpc.
La ricorrente ha depositato una memoria ai sensi dell’art.
378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l

Rileva preliminarmente il Collegio che il ricorso per

cassazione risulta notificato all’Avvocatura Distrettuale dello
Stato di Palermo anziché all’Avvocatura Generale dello Stato, ma
in tal caso il vizio della notifica è sanato, con efficacia “ex
tunc”,

dalla costituzione in giudizio del destinatario del

ricorso, da cui si può desumere che l’atto abbia raggiunto il
suo scopo (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 4977 del 12/03/2015 Rv.
634877; Sez. l, Sentenza n. 7033 del 28/07/1997 Rv. 506303).
5

Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione di
inammissibilità del ricorso sollevata dall’Avvocatura Generale
dello Stato per avere la ricorrente omesso di osservare, con
riferimento alla impugnazione della sentenza non definitiva del

22.9.2008, il disposto dell’art. 366 bis cpc (formulazione del
quesito di diritto prescritta a pena di inammissibilità).
L’eccezione è infondata.
Dalla lettura del ricorso emerge senza alcun dubbio che le
due censure in

cui

esso si articola (attinenti formalmente a

violazioni di norme di diritto di cui all’art. 360 n. 3 cpc),
per il loro contenuto, sono rivolte contro le statuizioni della
sentenza non definitiva depositata il 22.9.2008 per la quale era
stata formulata tempestiva riserva di impugnazione). La
ricorrente però ha dichiarato espressamente di voler impugnare
anche la sentenza definitiva del 21.3.2011.
Ebbene, questa Corte ha più volte affermato che il ricorso
per cassazione proposto sia contro la sentenza definitiva,
pubblicata in data successiva al 2 marzo 2006, che contro la
sentenza non definitiva, pubblicata anteriormente a tale data,
in virtù della riserva di gravame di cui all’art. 361 cod proc.
civ., formulata in precedenza, va considerato soggetto alle
modifiche in materia di processo di cassazione introdotte dal
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ai sensi dell’art. 27, secondo
coma, del citato d.lgs. n. 40, dovendosi in tale ipotesi
intendere la sentenza non definitiva pronunciata nella stessa
6

data di quella definitiva, come parte della statuizione
dell’intera controversia (v. Sez. 2, Sentenza n.

23363 del

18/12/2012 Rv. 624659Sez. 3, Ordinanza n. 10432 del 06/05/2009
(Rv. 608263).

Questo orientamento, espresso in casi di sentenza non
definitiva pubblicata prima roduzione del quesito di diritto
di cui all’art. 366 bis cpc e di sentenza definitiva rientrante
invece,

ratione temporls,

nella previsione della citata norma,

si basa sul principio secondo cui per effetto della riserva
effettuata ai sensi dell’art.

361 cod. proc. civ.,

l’esercizio

del diritto di impugnazione può avvenire “unitamente” alla
sentenza definitiva

e, quindi, a far tempo dalla sua

pubblicazione, ragione per cui la sentenza non definitiva si
intende fittiziamente pronunciata

nella stessa data, come parte

della statuizione dell’intera controversia (v. Sez. 2, Sentenza
n. 23363/2012 e Sez. 3, Ordinanza n. 10432/2009 citt.).
Da quanto esposto, discende coerentemente che nel caso
inverso, cioè nell’ipotesi di sentenza non definitiva pubblicata
sotto il vigore dell’art. 366 bis cpc e sentenza definitiva
pubblicata dopo l’abrogazione della relativa disposizione – come
appunto quello di cui oggi si discute – dovendosi fittiziamente
considerare come data di deposito di entrambe quella della
seconda, non è richiesta la formulazione del quesito di diritto

nella conclusione dei motivi di cui

all’art. 360 n. 1),2),3) e

4) cpc.
7

1 bis Passando all’esame dei motivi di ricorso, col primo
di essi si denunzia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, violazione
e falsa applicazione dell’art. 1669 cc: richiamando
l’affermazione contenuta nella sentenza non definitiva del 2008

inadempimento e a chiedere

circa il diritto del compratore ad opporre l’eccezione di

al venditore di eliminare a proprie

spese i vizi ovvero di risarcire i danni, la ricorrente procede
ad una cronistoria dei fatti, rimproverando alla Corte d’Appello
di avere errato nell’attribuire a Nicolò Patella anche la veste
di costruttore, trattandosi solo di venditore dell’immobile da
altri costruito e come tale non tenuto alla garanzia di cui
all’art. 1669 cc anche perché egli non aveva alcun potere di
controllo sull’operato delle imprese. Una corretta valutazione
del ruolo del Patella da parte dei giudici di merito avrebbe
dovuto quindi comportare, ad avviso della ricorrente, la
decadenza della Presidenza della Regione dall’azione per
l’eliminazione dei vizi o il risarcimento del danno, per decorso
dell’anno dalla loro scoperta.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art.
366 n. 4 cpc).
La sentenza non definitiva si fonda sull’accertata
inidoneità dell’immobile, fin dall’origine, all’uso a cui era
destinato, per carenze costruttive specificamente indicate (v.
pagg. 9 e ss) e di conseguenza sulla responsabilità del
venditore per la presenza dei vizi riscontrati: il compratore 8

afferma la Corte di merito – era pertanto abilitato a chiedere
in via alternativa un risarcimento per equivalente
corrispondente alla spesa necessaria per eliminare

i

vizi

stessi, non avendo il Patella fornito la prova della non

imputabilità dell’inesatto adempimento O/. pag. 13).
Appare dunque evidente che, pur in mancanza di un espresso
richiamo normativa, la

ratio decidendi

sta nella regola del

risarcimento del danno contenuta nell’art. 1494 cc a norma del
quale,

– in ogni caso il venditore è tenuto verso il compratore

al risarcimento del danno se non prova di avere ignorato senza
colpa i vizi della cosa.

Il venditore deve altresì risarcire al compratore i danni
derivati dai vizi della cosa”.
Ebbene, la censura, così come formulata non coglie nel
segno, perché la Corte territoriale non ha considerato affatto
la normativa prevista dall’art.

1669 cc in tema di appalto né

risulta che la violazione di legge oggi denunziata sia stata
dedotta come specifico motivo di appello incidentale: v. pagg. 5
e 6 della sentenza impugnata e ricorso pagg. 3 e 4 ove vengono
sintetizzate le censure degli eredi Patella).
Del resto, come più volte affermato da questa Corte in
tema di ricorso per cassazione, qualora una determinata
questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non
risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il
ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di

9

legittimità,

al

fine

di

evitare

una

statuizione

di

inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo
di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al
giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza

del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del
giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di
controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima
di esaminare nel merito la questione stessa (v. Sez. 3, Sentenza
n. 22540 del 20/10/2006 Rv. 593057; Sez. 5, Sentenza n. 1435 del

22/01/2013 Rv. 625055)
Perde pertanto ogni rilievo la disputa sulla qualità di
costruttore che la ricorrente oggi nega con riferimento alla
posizione del proprio dante causa (primo motivo).
2 Col secondo motivo si denunzia ai sensi dell’art. 360 n.

3 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 1495 e
1216 cc. La ricorrente, richiamata nuovamente l’affermazione
della sentenza non definitiva sui diritti spettanti al
compratore, evidenzia l’abbaglio giuridico in cui sarebbe
incorsa la Corte d’Appello nell’individuare la presenza, nella
cosa venduta, di vizi tali da giustificare la superiore
eccezione (di inadempimento,

ndr),

sia

nell’individuare, ai

sensi dell’art. 6 del rogito 10.7.1987, la decorrenza del
termine di due anni entro cui essa poteva essere proposta (a suo
dire, da11 1 8.2.1988, data del verbale di consegna alla
Prefettura delle chiavi di otto unità abitative e non dal

lo

5.5.1990, data di formale consegna dell’immobile e che, sempre
ad avviso della ricorrente, non aveva affatto lo scopo di
trasferire il possesso).
Tale censura è infondata sotto entrambi i profili in cui

si articola.
Anche se formalmente si lamenta una violazione di norme di
legge (di cui peraltro non risulta neppure dedotta la regolare
proposizione nei giudizi di merito), il ricorso non evidenzia
nessun errore di diritto rientrante nello schema dell’art. 360
n. 3 cpc: sotto tale profilo la censura è senz’altro
inammissibile per difetto di autosufficienza.
La critica si appunta in sostanza sulla motivazione della
sentenza nell’individuazione della data di consegna
dell’immobile (data a cui ancorare la decorrenza del termine
biennale contrattualmente previsto per la denunzia dei vizi) e
nell’accertamento della inidoneità del bene all’uso a cui era
stato destinato.
Orbene, secondo il costante orientamento di questa Corte,
anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un
vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per
cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del
11

merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e
valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la

veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente
prevalenza all’uno e all’altro dei mezzi di prova acquisiti,
salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue
che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della
omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può
legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento
del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio,
ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire
l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a
base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n_ 17477
del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del
27/12/1997

Rv.

511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del

07101/2014 Rv. 629382).

Nel caso in esame, si è assolutamente al di fuori di tali
ipotesi estreme: la Corte d’Appello ha

spiegato chiaramente

perché la consegna delle chiavi alla Prefettura non potesse
avere

alcun rilievo laddove a pag. 14 ha richiamato la legge
12

regionale n. 54/1985 che prevedeva la stipulazione di regolari
contratti con la Presidenza della regione siciliana e non già la
consegna alla Prefettura. Appare pertanto giuridicamente
corretta e logicamente coerente la conclusione a cui è pervenuta

la Corte territoriale nel negare rilievo alla consegna delle
chiavi alla Prefettura, cioè ad un organo diverso dal contraente
previsto dalla legge.
Anche sotto l’altro profilo (accertamento dell’inidoneità
all’uso dell’immobile) la sentenza impugnata si sottrae a
censura perché la Corte d’Appello ha dato conto, attraverso il
richiamo alle risultanze peritali, dei vizi riscontrati negli
immobili (v. pagg. 9 e ss.) mentre la critica della ricorrente,
di tipo prettamente fattuale, si risolve in una alternativa
ricostruzione delle risultanze di causa attraverso la
contrapposizione delle diverse conclusioni dei propri tecnici di
parte (che neppure vengono trascritte o allegate al ricorso) al
fine di negare l’inadempimento introducendo il tema della buona
fede del compratore (di cui, come accennato, neppure deduce la
tempestiva proposizione nei giudizi di merito)
3 La mancata formulazione di censure contro la sentenza
definitiva 361/2011 (che, sulla scorta di apposita consulenza
tecnica, si è limitata unicamente a quantificare i danni)
comporta l’inammissibilità del ricorso con riferimento a tale
pronuncia, per difetto di specificità (art. 366 n. 4 cpc); il
ricorso per cassazione è infatti una domanda impugnatoria che
13

può proporsi

per

certi

particolari motivi,

come tale

necessariamente si deve sostanziare, per il concetto stesso di
impugnazione, in una critica alla decisione impugnata, il che
impone di prospettare alla Corte nell’atto con cui viene

dell’art. 360 c.p.c., e, quindi, di dirlo argomentando dalle
risultanze processuali del merito, siano esse documenti o atti
processuali (v. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7455 del 25/03/2013 Rv.
625596 in motivazione).
In conclusione il ricorso va rigettato e la ricorrente,
risultata soccombente, va condannata al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi C.
7.200,00 di cui C. 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma il 12.4.2016.

proposta perché la decisione è errata secondo il paradigma

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