Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11235 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. III, 07/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 07/05/2010), n.11235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17045-2009 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI SAVORELLI

11, presso lo studio dell’avvocato CHIOZZA ANNA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CODECA’ ANGELA, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDIARIA – SAI SPA, in persona del suo procuratore speciale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI, 76, presso

lo studio dell’avvocato SPINELLI GIORDANO TOMMASO, che la rappresenta

e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 615/2008 del TRIBUNALE di VARESE del 23/05/08,

depositata il 31/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 14 luglio 2009 N.M. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 31 maggio (rectius: 5 giugno) 2008 dal Tribunale di Varese che, pronunciando sull’appello da essa interposto avverso sentenza del Giudice di Pace, aveva dichiarato cessata la materia del contendere compensando integralmente le spese del grado.

La Fondiaria – Sai (già Fondiaria Assicurazioni) S.p.A. resisteva con controricorso, mentre l’altro intimato, S.A., non ha espletato attività difensiva.

2 – I quattro motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366- bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Intatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Formula un quesito che si rivela astratto poichè prescinde dalla peculiarità del caso concreto, non considerando che – come riferito nello stesso ricorso – le parti avevano precisato le conclusioni, la causa era stata trattenuta in decisione, erano state ritualmente depositate comparse conclusionali e repliche e il giudice aveva fissato una nuova udienza di precisazione delle conclusioni solo a causa dell’assenza del fascicolo d’ufficio relativo al giudizio di primo grado. In tale situazione la concessione di nuovi termini per depositare ulteriori comparse conclusionali e memorie di replica sarebbe stata in palese contrasto con il principio costituzionalmente sancito della ragionevole durata del processo. Non induce a diversa considerazione la circostanza che alla suddetta nuova udienza di precisazione delle conclusioni la Fondiaria avesse versato banco judicis un assegno di Euro 3.000,00 accettato dalla N. a titolo di acconto. Infatti tale evento non ha determinato alcuna violazione del diritto di difesa della ricorrente, la quella aveva avuto la possibilità di esporre tutte le ragioni poste a sostegno del riconoscimento di un danno più elevato. D’altra parte è orientamento giurisprudenziale pacifico (confronta, per tutte, Cass. n. 4435 del 2008) che l’art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo”. Qualora, pertanto, la parte ricorrente non indichi, come avvenuto nella specie, lo specifico e concreto pregiudizio subito, l’addotto error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata.

Nella specie la ricorrente non ha specificato il pregiudizio concreto che avrebbe subito per effetto di quanto lamentato.

Con il secondo motivo la N. denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. errata conferma della compensazione delle spese disposta in primo grado. Il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto decisivo per il giudizio e, nel contempo, di applicabilità generalizzata, ma si limita a chiedere alla Corte di affermare che il riconoscimento del diritto dell’attore da parte del convenuto al termine del giudizio non implica di per sè la compensazione delle spese non comportando soccombenza reciproca e non costituendo giusti motivi.

Si osserva per completezza che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento alla soccombenza reciproca e che l’apprezzamento del giusto motivo è di competenza del giudice di merito, che ha il solo limite di addurre a giustificazione una motivazione che non sia manifestamente irrazionale o apparente. Il Tribunale ha tenuto conto della riduzione apportata alla domanda e del comportamento processuale delle parti e, del resto, la censura è stata formulata solo con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 (violazione o falsa applicazione di norme di diritto) e non anche al successivo n. 5 (vizio di motivazione).

Con il terzo motivo la ricorrente assume l’erroneità della dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

Anche questa censura presenta un quesito astratto e si rivela, in ogni caso, infondata. Al di là della precisione terminologica, l’affermazione del Tribunale è sostanzialmente corretta, poichè è ormai jus receptum (Cass. n. 6909 del 2009) che la pronuncia di cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti e, con ciò, il venir meno dell’interesse ad agire e a contraddire e della conseguente necessità di una pronuncia del giudice sull’oggetto della controversia; sicchè, con riguardo alla posizione di chi ha agito in giudizio, è necessario che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno e irretrattabile il diritto esercitato, così da non residuare alcuna utilità alla pronuncia di merito.

Il Tribunale ha accertato non esservi luogo a provvedere poichè ha ritenuto che la N. avesse ricevuto una somma persino superiore a quella che le sarebbe stata liquidata.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. errata conferma della compensazione delle spese del secondo grado di giudizio.

La censura sostanzialmente ricalca quella trattata con il secondo motivo con riferimento alle spese di primo grado e presenta le caratteristiche negative già rilevate. Il giudice di merito ha il potere discrezionale di compensare le spese di lite; le ragioni giustificatrici si evincono dal complesso della motivazione della sentenza. La ricorrente non ha denunciato il vizio di motivazione.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte con la memoria non sono condivisibili e non inducono a diversa statuizione;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;

le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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