Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11234 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. III, 07/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 07/05/2010), n.11234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16987-2009 proposto da:

N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 20, presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ASSICURAZIONI SPA, in persona dei legali rappresentanti,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 49, presso lo STUDIO

LEGALE ASSOCIATO BERNARDINI, rappresentata e difesa dagli Avvocati

SVEVA BERNARDINI, ERMANNO PRASTARO, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 11184/2008 del TRIBUNALE di ROMA del 1/04/08,

depositata il 28/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Prastaro Ermanno, difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 Con ricorso notificato il 10 luglio 2009 N.G. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 28 maggio 2008 dal Tribunale di Roma, confermativa della sentenza del Giudice di Pace, di cui aveva impugnato il capo statuente la compensazione delle spese di lite. L’Assicurazioni Generali S.p.A. ha resistito con controricorso, mentre l’altra intimata, C.A., non ha svolto attività difensiva.

2 – L’unico motivo di ricorso risulta inammissibile, poichè la sua formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. Il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. nonchè erroneità e illogicità della motivazione.

La censura, che ha per oggetto la disposta compensazione delle spese di primo grado, si conclude con un duplice quesito che non postula l’enunciazione di un principio di diritto decisivo per il giudizio ma, nel contempo, di applicabilità generalizzata, nè integra il momento di sintesi formulato secondo i criteri sopra delineati e necessario non solo per circoscrivere il fatto controverso, ma anche per specificare quali capi della sentenza e per quali ragioni presentino motivazione rispettivamente erronea e illogica.

Per completezza si osserva che il Tribunale ha confermato la disposta compensazione delle spese di primo grado ravvisandone giusti motivi nella notevole riduzione apportata alla domanda (a fronte di una richiesta di risarcimento di 1.000,00 Euro ne erano stati liquidati 500,00) e nel comportamento extraprocessuale dell’attore – appellante (aveva impedito all’assicuratore del danneggiante di visionare il veicolo danneggiato e, quindi, di valutare il danno e di formulare un’offerta risarcitoria).

Giova, in proposito, ribadire che la compensazione delle spese di lite per giusti motivi specificati dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, (confronta, ad esempio, Cass. n. 3218 del 2008) solo in caso di ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche, tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto dal giudice di merito, mentre non lo è affatto sotto il profilo della violazione di legge, poichè l’unico limite imposto alla discrezionalità del giudice di merito è il divieto di porle a carico della parte risultata totalmente vittoriosa.

Nella specie non ricorre nessuna delle situazioni sopra delineate.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie; la resistente ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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