Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11231 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. III, 07/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 07/05/2010), n.11231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13464-2009 proposto da:

M.A.M., G.G., G.A.P.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, press la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avvocato MENICHELLA LAMERICO,

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.M.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI

GIGLIOLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

TEODOMIRO CENTOLA, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 535/2009 del TRIBUNALE di FOGGIA del 19/02/09,

depositata il 25/03/09;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/04/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Menichella Lamerico, difensore dei ricorrenti che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

 

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 25 maggio 2009 M.A.M., G.G. e G.A.P.C. hanno chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 15 maggio 2009, depositata in data 25 marzo 2009 dal Tribunale di Foggia, che aveva accolto l’opposizione proposta da S.M.R. al precetto da costoro intimatole. La S. ha resistito con controricorso.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

3. – I ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione (non specificate come se si trattasse di sinonimi o non di vizi ontologicamente distinti) di norme di diritto, che non vengono indicate (in palese inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 4).

Poi sottopone all’esame della Corte una prima censura imperniata sulla falsa applicazione dell’art. 477 c.p.c. formulando un quesito che si rivela astratto poichè demanda alla Corte l’enunciazione del principio di diritto della cui postulazione l’art. 366 bis c.p.c., onera la parte ricorrente e prescinde dalla motivazione della sentenza impugnata, la quale aveva fatto leva sulla circostanza che all’originario debitore poi defunto (e di cui l’opponente era erede) fosse stato notificato solo il titolo esecutivo e non anche il precetto. Considerazioni analoghe valgono per la seconda censura, che ipotizza violazione dell’art. 2943 c.c.. Anche in questo caso i ricorrenti demandano alla Corte di enunciare il principio di diritto che essi avevano l’onere di postulare e prescindono dalla motivazione della sentenza impugnata, secondo cui era rimasta priva di riscontro probatorio l’asserito esercizio di un’azione di condanna all’adempimento della prestazione.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

I ricorrenti hanno depositato documenti non attinenti al ricorso e hanno chiesto d’essere ascoltati in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha ritenuto i quesiti idonei ma le censure manifestamente infondate; con il primo motivo i ricorrenti chiedono se il creditore del de cuius, a cui abbia notificato il titolo esecutivo e non il precetto, sia nuovamente obbligato nei confronti degli eredi alla rinotificazione di detto titolo esecutivo; la sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi enunciati da questa stessa sezione (Cass. Sez. 3, n. 25003 del 2008) mentre la loro tesi, secondo cui la debitrice era venuta a conoscenza aliunde del titolo esecutivo, è priva di rilievo in quanto tale conoscenza, quand’anche provata – non garantirebbe il raggiungimento dello scopo perseguito dalla norma; con il secondo motivo essi ripropongono il tema del valore interruttivo della prescrizione della notifica dell’atto di citazione con cui si promuove accertamento della simulazione assoluta di un titolo giudiziale, ma trascurano la considerazione decisiva del Tribunale, che ha ritenuto l’assunto privo del necessario riscontro probatorio;

che pertanto il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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