Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1123 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 21/01/2021), n.1123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9356/2019 R.G. proposto da:

M.L.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianpaolo

Buono;

– ricorrente –

contro

Me.Sa. e Ma.An., rappresentati e difesi dagli

Avv.ti Fulvio de Crescienzo e Andrea Fiore con domicilio eletto

presso lo studio del primo in Roma, Viale G. Mazzini, n. 73;

– ricorrenti incidentali –

e contro

Manifesto Cooperativa Editrice in l.c.a., rappresentata e difesa

dagli Avv.ti Fulvio de Crescienzo e Andrea Fiore con domicilio

eletto presso lo studio del primo in Roma, Viale G. Mazzini, n. 73;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 6150/2018,

depositata il 26 settembre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 27600/03 del 1 settembre 2003 il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda risarcitoria proposta da M.L.B. per i danni subiti dalla pubblicazione sul quotidiano II Manifesto di un articolo diffamatorio, condannò la soc. coop. a r.l. Il Manifesto, il giornalista Ma.An. e il direttore responsabile del giornale, Me.Sa., in solido tra loro, al pagamento della somma di Euro 50.000, oltre interessi legali, ed inoltre, il solo Ma., al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 5.000, oltre interessi legali, quale riparazione pecuniaria L. 8 febbraio 1948, n. 47, ex art. 12; condannò altresì i convenuti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

2. Pronunciando sui contrapposti gravami la Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 4544/07 del 5/11/2007, rigettò l’appello principale proposto da Me.Sa. e da II Manifesto; dichiarò inammissibile quello di Ma.An.; dichiarò inammissibile, perchè tardivo, l’appello incidentale di M.L.B. (con il quale questi si doleva della mancata condanna anche del direttore responsabile al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di riparazione L. n. 47 del 1948, ex art. 12) e compensò le spese del grado tra le dette parti.

3. Avverso tale decisione il solo M. propose ricorso per cassazione con due mezzi, dolendosi, con il primo motivo, della dichiarata inammissibilità del proposto appello incidentale e, con il secondo, della compensazione delle spese del grado di appello.

Con sentenza n. 2953 del 7 febbraio 2011 la S.C. accolse il primo motivo e dichiarò assorbito il secondo, cassò quindi la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

4. Pronunciando in sede di rinvio la Corte capitolina, con la sentenza in epigrafe, per quanto ancora in questa sede interessa, ha rigettato l’appello incidentale del M. ed ha compensato per metà tra il M., da una parte, il Ma., il Me. e la soc. coop. Il Manfesto, dall’altra, le spese di tutti i gradi e fasi del giudizio, ponendo a carico solidale di questi ultimi la restante metà, liquidata sulla base del valore della causa considerato pari ad Euro 55.000.

5. Avverso tale sentenza M.L.B. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Vi resistono, con unico controricorso, Me.Sa. e Ma.An. e, con separato controricorso, anche II Manifesto coop. ed. in l.c.a., proponendo ciascuno di essi ricorso incidentale con unico mezzo.

6. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso principale M.L.B. denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “error in procedendo; violazione degli artt. 329,393,384 e 112 c.p.c.”.

Lamenta che, erroneamente, e travalicando i limiti segnati dalla sentenza di cassazione con rinvio, la Corte d’appello si è spinta a rivisitare anche il regolamento delle spese del primo grado di giudizio, che risultava, invece, ormai intangibile poichè coperto dal giudicato interno.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere il giudice a quo disposto la compensazione parziale delle spese anche nei confronti di Ma.An. e della società il Manifesto, parti processuali nei cui confronti, dalla pronuncia di rigetto dell’appello incidentale (proposto solo in relazione alle statuizioni che riguardavano il Me.), non era scaturita alcuna situazione di soccombenza parziale.

Deduce, quindi, l’erroneità della disposta compensazione parziale, nei confronti dei predetti, delle spese del giudizio di appello e, di conseguenza, di quelli successivi, di cassazione e di rinvio, nei quali egli aveva coltivato tale specifica doglianza, oltre che delle spese del primo grado.

3. Con unico motivo, comune ad entrambi i ricorsi incidentali, Me.Sa., Ma.An. e la società il Manifesto denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 5, e dell’art. 10 c.p.c., nella liquidazione delle spese relative al giudizio di rinvio, poichè parametrata ad un valore della controversia erroneamente considerato pari ad Euro 55.000.

Rimarcano che tale non era il valore della controversia devoluta ad oggetto del giudizio di rinvio, vertendo questo unicamente sulla estensione, pretesa da controparte, anche a Me.Sa., della sanzione pecuniaria L. n. 47 del 1945, ex art. 12, oltre che sulla liquidazione delle spese di lite relativa alle fasi di appello e di legittimità.

4. E’ fondato il primo motivo del ricorso principale.

Come s’è detto, la sentenza di primo grado aveva accolto parzialmente la domanda di risarcimento proposta dal M. nei confronti di tutti i convenuti ed aveva altresì accolto la domanda diretta ad ottenere la riparazione pecuniaria L. n. 47 del 1948, ex art. 12, nei soli confronti del Ma.; aveva nondimeno condannato i convenuti, in solido, al pagamento delle spese in favore dell’attore.

Tale ultima statuizione non era stata, di per sè, direttamente impugnata da alcuno.

Il Me., il Ma. e II Manifesto avevano bensì impugnato la statuizione da cui essa dipendeva (ossia la condanna al risarcimento del danno e, il Ma., anche quella al pagamento della ulteriore somma a titolo di riparazione pecuniaria), sicchè l’eventuale accoglimento del loro gravame avrebbe comportato la riforma della sentenza anche in punto di spese, per l’effetto espansivo di cui all’art. 336 c.p.c.. Il loro appello era stato, però, rispettivamente, respinto e dichiarato inammissibile, e tale esito non era stato da essi poi impugnato con ricorso per cassazione.

Il M., per parte sua, non aveva ovviamente impugnato tale parte della sentenza (non ne avrebbe avuto interesse, se non eventualmente ai fini di una maggiore quantificazione delle spese medesime). Aveva piuttosto impugnato la sentenza solo nella parte in cui aveva respinto la domanda di riparazione pecuniaria L. n. 47 del 1948, ex art. 12, in quanto proposta anche nei confronti del Me.. L’esito del giudizio di appello su tale gravame non avrebbe però potuto comportare alcun effetto espansivo sulla già statuita condanna alle spese del giudizio di primo grado, non essendo questa, ovviamente, dipendente dalla statuizione di rigetto della domanda di riparazione pecuniaria nei confronti del Me., ma solo dalla statuizione di condanna dei convenuti tutti in solido al risarcimento del danno non patrimoniale.

E difatti correttamente la Corte d’appello, nella prima sentenza poi cassata per altri profili, non aveva statuito alcunchè con riferimento alle spese del primo grado di giudizio ma aveva solo compensato le spese del grado d’appello.

Vale rammentare in proposito che, come in più occasioni chiarito da questa Corte, il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (v. in tal senso, tra le più recenti, Cass. n. 23985 del 26/09/2019; Cass. n. 9064 del 12/04/2018).

Ciò posto e tornando allo sviluppo del procedimento che ne occupa, occorre a questo punto rilevare che il ricorso per cassazione poi proposto dal solo M. non aveva investito (nè avrebbe potuto farlo) il regolamento ormai definitivo delle spese del primo grado di giudizio.

Il suo accoglimento, dunque, ha comportato l’effetto di devolvere al giudice di rinvio i soli temi di lite che potevano ancora considerarsi aperti, in quanto non coperti da giudicato interno, ossia: a) la domanda di condanna (anche) del Me. alla riparazione pecuniaria L. n. 47 del 1948, ex art. 12; b) il regolamento delle spese del grado di appello.

Da tale perimetro delle questioni devolute rimaneva estraneo il regolamento delle spese del primo grado di giudizio, la cui riforma, dunque, da parte del giudice a quo, deve ritenersi frutto di error in procedendo, per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione (v. Cass. n. 6344 del 05/03/2019; n. 6461 del 25/03/2005), oltre che errata in diritto, per violazione del giudicato interno formatosi sul punto.

Il motivo pertanto merita accoglimento.

5. L’eccezione opposta dai controricorrenti, secondo cui il motivo dovrebbe, invece, considerarsi inammissibile per difetto di interesse, per sopravvenuta prescrizione decennale del credito, è inammissibile e, comunque, priva di pregio.

Anzitutto perchè trattasi, con tutta evidenza, di questione di merito nuova ed estranea al tema devoluto in questa sede e, comunque, per la manifesta infondatezza della tesi, atteso che la riforma operata dal giudice di rinvio e il ricorso avverso di essa proposto rendevano la questione comunque ancora sub iudice e soggetta all’effetto interruttivo (a carattere permanente) della prescrizione di cui all’art. 2945 c.c., comma 2.

6. Non diversamente deve dirsi quanto agli eccepiti effetti preclusivi della messa in l.c.a. della società II Manifesto, sopravvenuta nel corso del giudizio di rinvio.

L’improcedibilità – che ne deriva, L. Fall., ex art. 52, e art. 201, – della domanda di condanna proposta anteriormente in sede di cognizione ordinaria, rilevabile d’ufficio anche in cassazione (cfr. Cass. n. 17327 del 2012), non opera nel caso, quale quello di specie, in cui, per quanto s’è detto, la stessa risulti decisa ed accolta, con efficacia di giudicato, anteriormente all’apertura della procedura concorsuale.

L’eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale andava peraltro dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che, pur dopo la dichiarata sopravvenienza e la conseguente interruzione del giudizio, ha comunque deciso sulla domanda, ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo (cfr. Cass. n. 24156 del 04/10/2018).

Ciò non è stato fatto, avendo sul punto speso, il commissario liquidatore, nel proprio controricorso, un mero rilievo preliminare diretto non già a censurare la sentenza impugnata bensì a paralizzare il ricorso avversario.

Rilievo che però per le stesse ragioni deve essere disatteso, non potendo, la detta sopravvenienza, neppure apprezzarsi quale motivo di carenza di interesse a proporre impugnazione.

7. Il secondo motivo del ricorso principale – che, come detto, investe esclusivamente il regolamento delle spese tra il M., da un lato, il Ma. e la soc. coop. Il Manifesto in l.c.a. dall’altro – è assorbito (dall’accoglimento del primo motivo) nella parte in cui censura la disposta parziale compensazione delle spese del primo grado.

Nella restante parte, relativa alla compensazione parziale, tra le parti medesime, delle spese dei restanti gradi, esso deve ritenersi fondato.

Giova al riguardo rimarcare, in premessa, che la compensazione delle spese anche dei gradi e delle fasi del procedimento successivi al primo è motivata in sentenza espressamente ed esclusivamente in ragione del solo parziale accoglimento della domanda risarcitoria.

Tale era però l’esito già del primo grado di giudizio (e, peraltro, non aveva impedito, al primo giudice, di porre le spese interamente a carico dei convenuti soccombenti, senza compensarle in alcuna misura).

Detta statuizione di condanna era stata, come detto, impugnata solo dai soccombenti e il loro gravame era stato rigettato in appello.

Ai fini del regolamento delle spese del grado di appello la soccombenza andava pertanto valutata esclusivamente con riferimento al detto esito del giudizio di secondo grado che vedeva, in realtà, detti convenuti/appellanti interamente soccombenti (v. Cass. n. 18156 del 15/09/2016; cfr. Cass. n. 9690 del 18/06/2003).

Da qui l’error in procedendo della sentenza impugnata, che ha regolato le spese in base ad un criterio (quello della soccombenza reciproca) non applicabile alla fattispecie.

Non gioverebbe obiettare che, ricadendo la fattispecie sotto il vigore dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a, la compensazione, oltre che in caso di soccombenza reciproca, poteva essere disposta anche ove “concorrono altri giusti motivi”, che il giudice non aveva l’obbligo di indicare specificamente.

L’obiezione rimarrebbe, infatti, priva di rilievo dal momento che, come detto, non è questa la giustificazione che la Corte territoriale ha inteso dare alla disposta compensazione parziale, quanto piuttosto la divisata soccombenza parziale ed è questa giustificazione che, diversamente da quella ipotetica alternativa, può e deve essere sindacata nel suo fondamento, nella specie insussistente.

In tal senso questa Corte ha già chiarito che, se è vero che in tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell’art. 92 c.p.c., recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte e se è vero anche che tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di “giusti motivi”, non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, tutto ciò resta irrilevante nel caso in cui lo stesso giudice abbia invece specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell’idoneità dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adeguatezza della relativa motivazione (Cass. n. 7523 del 27/03/2009).

L’errore relativo alla compensazione (pur parziale) delle spese di appello si riflette (sempre limitatamente ai rapporti tra il M., da un lato, il Ma. e la soc. coop. Il Manifesto, dall’altra) anche sul regolamento delle spese, tra le medesime parti, del giudizio di cassazione e di quello di rinvio nei quali la medesima doglianza (erronea compensazione delle spese di appello) era stata ritualmente coltivata.

8. E’ fondato anche l’unico motivo posto a fondamento di entrambi i ricorsi incidentali.

Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte “ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica della Tariffa per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa e tributaria, art. 6, comma 1 e 2, contenuta nella Delib. del Consiglio nazionale forense 12 giugno 1993, approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, del Ministro di grazia e giustizia (disposizione ora sostanzialmente trasfusa, per la parte che viene qui in rilievo, nel D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5, comma 1, applicabile nella specie ratione temporis, n.d.r.), avente natura sub-primaria regolamentare e quindi soggetta al sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – sulla base del criterio del disputatum (ossia di quanto richiesto nell’atto introduttivo del giudizio ovvero nell’atto di impugnazione parziale della sentenza), tenendo però conto che, in caso di accoglimento solo in parte della domanda ovvero di parziale accoglimento dell’impugnazione, il giudice deve considerare il contenuto effettivo della sua decisione (criterio del decisum), salvo che la riduzione della somma o del bene attribuito non consegua ad un adempimento intervenuto, nel corso del processo, ad opera della parte debitrice, convenuta in giudizio, nel quale caso il giudice, richiestone dalla parte interessata, terrà conto non di meno del disputatum, ove riconosca la fondatezza dell’intera pretesa (Cass. Sez. U. n. 19014 del 11/09/2007 e succ. conff.).

Nel caso di specie la parametrazione dei compensi espressamente operata con riferimento ad un valore di Euro 55.000 si rivela, dunque, in relazione a quest’ultimo postulato, erronea, dal momento che il tema di lite devoluto al giudice di rinvio (costituito dal credito vantato anche nei confronti del Me. a titolo di riparazione, non contestato nel quantum, pari ad Euro 5.000, e da quello vantato a titolo di rimborso delle spese processuali per il grado di appello) non superava il valore di Euro 26.000.

La liquidazione delle spese relative a quel giudizio (cui soltanto è riferita la doglianza) dovrà quindi avvenire facendo applicazione dei parametri di cui al terzo scaglione della Tabella di riferimento (valore compreso tra Euro 5.200 ed Euro 26.000).

9. In accoglimento, dunque, sia del ricorso principale che del ricorso incidentale, per quanto di rispettiva ragione, la sentenza impugnata va cassata in relazione, e la causa rinviata al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso principale ed entrambi i ricorsi incidentali, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

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