Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1123 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 20/01/2020), n.1123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36454-2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ROBERTO RICCIARDI;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CROTONE, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/2018 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Potenza, con sentenza in data 23/10/2018, ha rigettato l’appello avverso la ordinanza del Tribunale di Potenza di conferma del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone in ordine alle istanze avanzate da S.A., nato in Senegal il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo, proveniente dallo Stato del Senegal, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone di essere fuggito dal proprio paese a causa delle minacce ed i soprusi del proprio datore di lavoro nonchè per la guerra civile in corso nella regione di (OMISSIS) in cui abitava. Avverso la decisione della Corte di Appello di Potenza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e memoria.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo e secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ed omesso esame di circostanze decisive, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Potenza ha ritenuto non credibile il racconto e violato il dovere di cooperazione istruttoria escludendo così i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e dei diritto alla protezione sussidiaria.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost. e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Potenza non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Potenza ha motivato facendo ricorso ad una presunzione de praesumpto in violazione di quanto statuito dall’art. 2729 c.c..

Il ricorso è infondato e deve essere respinto. I motivi di ricorso da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro avvinti, si sostanziano per la gran parte in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della Corte, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento circa la mera eventualità del pericolo paventato dal ricorrente e riconducibile a questioni di carattere privato prive di rilevanza ai fini della concessione della protezione internazionale.

Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Quanto poi alla omessa motivazione lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, occorre chiarire che in assenza di specifiche argomentazioni, non è configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l’eccezione non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. In ogni caso, nella fattispecie, il rigetto è implicito non dovendo il giudice di merito motivare su ogni singola questione ove la stessa possa ritenersi assorbita in considerazione del rigetto della domanda per motivi sostanziali.

Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il giudice ha precisato come la zona del Senegal non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

In riferimento alla disposizione dell’art. 10 Cost., questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione. (Cass. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016).

Quanto poi al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo e dell’avvenuta integrazione dello straniero in Italia esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso con condanna alle spese del ricorrente secondo il principio della soccombenza che si liquidano come in dispositivo. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio a favore del controricorrente che si liquidano in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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