Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11229 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. I, 28/04/2021, (ud. 11/02/2021, dep. 28/04/2021), n.11229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1447/2018 r.g. proposto da:

D.F.V., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Nando Bartolomei, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via

Stimigliano n. 5, presso lo studio dell’Avvocato Federico Bramati;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO S.P.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), con sede in Torino,

alla Piazza San Carlo n. 156, in persona del suo procuratore

speciale Dott. C.D.C.M., rappresentata e difesa,

giusta procura speciale allegata in calce al controricorso,

dall’Avvocato Prof. Valerio Tavormina, e dall’Avvocato Benedetto

Gargani, unitamente ai quali elettivamente domicilia presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, al Viale di Villa Grazioli n. 15;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE depositata il

30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 11/02/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 632/2011, il Tribunale di Firenze decise le cause riunite iscritte ai nn. 120/2000 r.g., 799/2000 r.g. e 12433/2007 r.g., pendenti, innanzi a quell’ufficio, tra Banca Intesa s.p.a., già Intesa B.C.I. s.p.a., già Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., e D.F.V., riguardanti, rispettivamente: i) un’azione “per dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo n. 2538/99”, reso dal Tribunale di Firenze, “o, in subordine, per opposizione tardiva al medesimo decreto ingiuntivo”, intrapresa dall’allora Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. nei confronti del D.F., con citazione notificatagli il 5 gennaio 2020, dopo essersi visto notificare da quest’ultimo, il 28 dicembre 1999, un atto di precetto per l’importo di Lire 2.095.341.048 ed uno di pignoramento presso terzi (con il quale erano state assoggettate ad espropriazione i crediti vantati dal Banco nei confronti di B.B. e della Realtà Aziendali Banca Dati Centrale s.p.a. fino alla concorrenza di Lire 3.150.000.000), in forza del suddetto decreto ingiuntivo asseritamente notificato al Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. il 13 settembre 1999. Nell’ambito di questo giudizio, peraltro, quest’ultimo, affermando di essere venuto a conoscenza della menzionata ingiunzione di pagamento solo con la notifica dei predetti atti di precetto e pignoramento, propose pure querela di falso avverso la relazione di notificazione redatta, in data 9 settembre 1999, dall’Assistente Unep, Ba.So., addetta all’Ufficio Notifiche presso la Corte d’Appello di Firenze, che aveva attestato di aver spedito direttamente a mezzo del servizio postale il plico che avrebbe dovuto contenere l’atto giudiziario, mentre, invece, in un processo penale a carico del D.F., era rimasto accertato che ella non aveva curato personalmente la notifica a mezzo posta, nè aveva proceduto personalmente alla consegna del plico all’ufficio postale, e che era stata inviata una busta vuota, con conseguente inesistenza della notifica del decreto. In questo giudizio n. 120/2000 r.g., inoltre, fu disposta dal tribunale la sospensione della provvisoria esecuzione del decreto; li) una impugnazione per revocazione del medesimo decreto ingiuntivo, ex art. 656 c.p.c. e ex art. 395 c.p.c., n. 1, promossa dal Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., con citazione del 24 gennaio 2000 notificata al D.F., dichiarando di far salve comunque le già proposte domande per la dichiarazione di inefficacia del menzionato decreto o, in subordine, per l’opposizione tardiva ad esso; iii) un’ulteriore azione con la quale Intesa Sanpaolo s.p.a., quale successore universale di Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., nuovamente fatte salve le domande proposte nei giudizi riuniti nn. rr.gg. 120/2000 e 799/2000, chiese la declaratoria di inesistenza dello stesso decreto ingiuntivo n. 2538/99, ad essa notificato il 19 giugno 2007, stante la pendenza del giudizio n. r.g. 120/2000 in cui la stessa, ivi subentrata nella indicata qualità, aveva già chiesto una pronuncia di inefficacia del medesimo decreto destinata a produrre i suoi effetti anche sulla notifica effettuata nel 2007 e da considerarsi tamquam non esset in quanto avente ad oggetto un titolo giudiziale di cui era stata invocata la dichiarazione di inefficacia/nullità. Formulò, inoltre, anche domanda subordinata di revoca del decreto e, nella spiegata opposizione, ripropose tutti i motivi già dedotti nei precedenti procedimenti nn. rr.gg. 120/2000 e 799/2000.

1.1. Il tribunale fiorentino respinse le eccezioni del D.F. (sia quella di asserita carenza di legittimazione attiva del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. in relazione alle due cause nn. rr.gg. 120/2000 e 799/2000, sia quella di asserita nullità della loro riassunzione – dopo che ne era stata disposta la sospensione fino alla definizione del processo penale a carico del D.F. stesso – per mancato rispetto del termine a comparire); riconobbe l’inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo (sia perchè avvenuta al di fuori dello schema legale, sia per l’invio di un plico vuoto, e ciò tanto in ragione dell’efficacia extrapenale del giudicato penale – tale da rendere ormai irrilevante la querela di falso – quanto delle risultanze dell’istruttoria in sede civile); accolse la domanda principale del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. (poi divenuto Intesa Sanpaolo s.p.a.) per la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo; rigettò la domanda di revocazione ed affermò l’inesistenza della pretesa creditoria azionata dal D.F. (stante anche l’accertata truffa riscontrata in sede penale pure in ragione della falsa rappresentazione dei crediti). Condannò, infine, quest’ultimo alla rifusione delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

2. La Corte di appello di Firenze, pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, proposti, rispettivamente, dal D.F. e da Intesa Sanpaolo s.p.a., con sentenza del 30 maggio 2017, n. 1219, ha respinto integralmente quello del primo, ritenendo, così, irrilevante la proposizione della querela di falso e l’appello incidentale condizionato della seconda sulle questioni di merito ritenute assorbite in prime cure ed anche in grado di appello. Ha condannato ancora una volta il D.F. alla rifusione delle spese di lite ed al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c..

2.1. Per quanto qui di residuo interesse, ed in estrema sintesi, quella corte:

i) ha disatteso la doglianza del D.F., ribadita solo con riferimento al giudizio n. r.g. 120/2000, circa la carenza di legittimazione ad agire del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.. In particolare, muovendo dal rilievo secondo cui “l’unico procedimento che deve essere analizzato è quello iniziato col decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Firenze col n. 2538 del 2009”, ha osservato, tra l’altro, che: i-a) “il motivo di appello è inammissibile perchè non supera la motivazione del Giudice di I grado a tenore della quale, colui contro il quale è pronunciata la ingiunzione sia colui che è legittimato ad impugnare”; i-b) si era “in presenza di un decreto ingiuntivo chiesto contro il Banco Ambrosiano con sede in (OMISSIS) etc., senza alcuna diversa specificazione, e notificato nel luogo indicato e di una opposizione proposta dal Banco Ambrosiano s.p.a. con sede in (OMISSIS) etc., cioè dal medesimo soggetto ingiunto. A meno che non si ritenga che nella stessa sede vi fossero due società con identica ragione sociale, il che è privo di senso ma ancora più indimostrato”; i-c) “emerge pacificamente dalla ricostruzione documentale della parte appellata che nel 1999, all’epoca della ingiunzione e della opposizione, il solo soggetto che si chiamava Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. era appunto il Banco con sede in (OMISSIS) e che ha proposto opposizione (..) e non l’originario Banco Ambrosiano che si chiamava dal 1.1.1998 Banca Intesa s.p.a.”;

ii) ha rimarcato che la inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo era stata accertata dal tribunale “in relazione al fatto che alla Banca è stata notificata una busta vuota: più nello specifico, il Tribunale ha ritenuto provato che la parte (il D.F.. Ndr) aveva proceduto direttamente alla notifica a mezzo posta, con consegna diretta alla parte o al suo difensore da parte dell’Ufficiale Giudiziario; il plico notificato in tale modo non conteneva il decreto”. I medesimi fatti, inoltre, emergevano chiaramente dalla sentenza penale della Corte di appello di Venezia del 10 giugno/10 luglio 2003 (passata in giudicato a seguito del rigetto, da parte della Corte di cassazione, del ricorso contro di essa proposta dal D.F.), utilizzabile in quella sede alla stregua di quanto sancito dall’art. 654 c.p.p.;

iii) ha opinato che “la reiezione del motivo di appello sul punto della declaratoria di inesistenza della notifica a seguito di accertamento contenuto in sentenza penale passata in giudicato rende inammissibile, perchè irrilevante, qualsiasi ulteriore allegazione in ordine alla correttezza della notifica effettuata, come vanamente tentato con gli altri motivi d’appello dal D.F.. Alla inesistenza della notifica come accertata è conseguita la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 644 c.p.c.; conseguentemente si conferma il rigetto della domanda di revocazione, posto che il decreto ingiuntivo è stato appunto dichiarato inefficace. D’altra parte la reiezione non è stata oggetto di specifica cesura”;

iv) ha ritenuto inammissibile la censura del D.F. circa il merito della sua pretesa creditoria, perchè inidonea a contrastare la compiuta motivazione, sul punto, del tribunale;

v) in relazione alla decisione della causa n. r.g. 12443/2007, quanto alla declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo emesso nel 1999 e notificato tardivamente il 19 giugno 2007, ha considerato “inconferente” il richiamo all’art. 641 c.p.c., “lamentando parte appellante l’erronea notifica al domicilio non eletto in ricorso”, e, tuttavia, la eventuale irregolarità “sanata dalla costituzione in giudizio nei tre giudizi riassunti, senza che mai di tale eccezione sia stata fatta menzione in I grado”. Inoltre, ha ritenuto inammissibile “la censura in ordine alla carenza di motivazione (..) non potendo in grado di appello limitare la difesa alla carenza di motivazione, dovendo il Giudice essere investito delle ragioni che dovrebbero legittimare l’accoglimento della domanda, che in ogni caso non poteva essere accolta per tardività della notifica ex art. 644 c.p.c.. Nel merito si richiama quanto sopra esposto”.

3. Per la cassazione dell’appena descritta sentenza ricorre per cassazione il D.F., affidandosi a sei motivi (i primi quattro dei quali investono le statuizioni pronunciate in relazione alla causa n. r.g. 120/2000 di primo grado; i residui due, invece, quelle riguardanti la causa n. r.g. 12443/2007 di primo grado), cui resiste, con controricorso, la Intesa Sanpaolo s.p.a. proponendo, altresì, ricorso incidentale affidato ad un motivo. Risultano depositate memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c. da entrambe le parti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale, rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge, artt. 81,99,100,101,112 e 132 c.p.c., nonchè artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, censura la decisione impugnata nella parte in cui ha respinto l’assunto del D.F. riguardante l’eccepito di difetto di legittimazione processuale dell’opponente Banco Ambrosiano Veneto s.p.a.. Riproponendo le argomentazioni svolte (e disattese) nei precedenti gradi di giudizio, il ricorrente insiste nel sostenere che il soggetto che aveva notificato la citazione introduttiva del procedimento n. r.g. 120/2000, per la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo n. 2358/99, o, in subordine, per opposizione tardiva al medesimo – vale a dire, Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. (già Eurogrind s.r.l.), con sede in (OMISSIS), cod. fisc. (OMISSIS) – non coincideva con quello nei cui confronti il predetto provvedimento era stato richiesto, ottenuto ed asseritamente notificato, parimenti denominato Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. (poi divenuto Banca Intesa s.p.a.) e con sede in (OMISSIS), ma con codice fiscale (OMISSIS). Si sostiene l’irrilevanza della coincidenza tanto della denominazione sociale quanto della sede legale del soggetto ingiunto con quelle dell’opponente (sicchè quest’ultimo non sarebbe stato legittimato ad impugnare il decreto), perchè quelle medesime denominazione e sede erano appartenute, anni prima, ad un altro soggetto, appunto Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. (poi divenuto Banca Intesa s.p.a.), munito di diverso codice fiscale. Del resto, nel fascicolo del ricorso per decreto ingiuntivo potevano rinvenirsi risalenti documenti riferiti al soggetto da ultimo indicato, sicchè il procedimento monitorio doveva considerarsi promosso nei confronti del medesimo, come tale unico legittimato a proporre anche la corrispondente opposizione.

1.1. Tale censura deve considerarsi inammissibile per plurime ragioni.

1.1.1. Innanzitutto, perchè investe, espressamente ed esclusivamente (cfr. pag. 1 e 12 del ricorso), la decisione resa, sul punto, in relazione al procedimento n. r.g. 120/2000. Invece, come chiaramente emerge dalla sentenza oggi impugnata, da un lato, il giudice di prime cure (la cui sentenza n. 632/2011 aveva pronunciato sulle già descritte cause riunite iscritte ai nn. 120/2000 r.g., 799/2000 r.g. e 12433/2007 r.g., pendenti, innanzi a quell’ufficio, tra Banca Intesa s.p.a., già Intesa B.C.I. s.p.a., già Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. ed il D.F.), aveva raggiunto la medesima conclusione anche con riferimento al giudizio per revocazione n. r.g. 799/2000 (cfr. pag. 12 della sentenza della corte fiorentina), intrapreso pure dal medesimo opponente Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., con sede in (OMISSIS), cod. fisc. (OMISSIS); dall’altro, il D.F. pacificamente non aveva appellato le statuizioni rese dal tribunale concernenti questo secondo procedimento (cfr. pag. 5 del ricorso, dove si legge che “la domanda revocatoria, r.g. n. 799/2000, era stata rigettata e non v’era interesse all’impugnazione”, nonchè pag. 13 della medesima sentenza di cui oggi si discute). Peraltro, malgrado pure la corte distrettuale abbia ulteriormente confermato la sussistenza della legittimazione de qua per entrambi i giudizi nn. rr.gg. 120/2000 e 799/2000, l’odierno ricorso (cfr. pag. 12 e ss.) dichiara espressamente di voler censurare soltanto la corrispondente statuizione riguardante il primo di essi.

1.1.2. In altri termini, come affatto condivisibilmente oggi osservato da Intesa Sanpaolo s.p.a. (cfr. pag. 9-10 del suo controricorso), è “..incontroverso che, in primo grado, era stata affrontata la “eccezione di carenza di legittimazione attiva proposta dal D.F. nei confronti del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. sia in relazione al giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo sia in relazione al giudizio per revocazione del decreto ingiuntivo” e che il Tribunale di Firenze aveva respinto l’eccezione per entrambi i giudizi in quanto, “sotto il 1 profilo, evidenziava che l’opposizione era vincolata alla posizione della parte ingiunta e nel caso di specie l’ingiunzione era stata chiesta e pronunciata nei confronti del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a., corrente in (OMISSIS), e, dunque, solo questo soggetto era legittimato ad agire per ottenere la declaratoria di nullità o revoca del decreto. Sotto il 2 aspetto, la misura della ampiezza soggettiva della legittimazione alla proposizione della domanda di revocazione coincideva con il numero dei soggetti che avevano partecipato al provvedimento impugnato per revocazione conseguendone la legittimazione del Banco Ambrosiano s.p.a.” (sentenza impugnata, pag. 12)…”. Nè “…è contestato che il gravame del D.F. aveva riguardato la questione della “legittimazione dell’opponente” solo “in relazione alla causa r.g. 120/2000”, tant’è che l’esponente, nel costituirsi in appello, aveva evidenziato che “l’appello riguardava espressamente solo la causa iscritta al numero di RG. 120/2000 e ciò già costituiva ragione di inammissibilità e infondatezza stante il passaggio in giudicato per difetto di impugnazione dell’analoga statuizione con riferimento alla causa r.g. 799/2000” (sentenza impugnata, pagg. 13-14), (…), e tant’è che sempre la Corte d’appello, già in apertura della motivazione sul punto, aveva ricordato che “assume parte appellante, come assumeva in I grado, che non vi è identità tra l’attuale parte appellata, opponente in I grado e la parte ingiunta. Il Tribunale ha ritenuto la eccezione infondata perchè il destinatario della ingiunzione era il “Banco Ambrosiano Veneto spa” corrente in (OMISSIS) e dunque solo tale soggetto era legittimato alla impugnazione; quanto di revocazione perchè la legittimazione coincide con il novero dei soggetti che hanno partecipato giudizio che ha dato origine al provvedimento impugnato” (sentenza impugnata, pag. 16)”.

1.1.3. Pertanto, la statuizione, non impugnata, resa dal giudice di prime cure, nella causa r.g. n. 799/2000, secondo cui il soggetto che aveva instaurato il giudizio per revocazione del decreto ingiuntivo n. 2538/1999 (ossia, pacificamente, lo stesso che aveva precedentemente notificato pure la citazione per la declaratoria di sua inefficacia o in subordine per opposizione tardiva al medesimo) era a ciò legittimato perchè trattavasi del medesimo soggetto destinatario dell’ingiunzione, doveva considerarsi passata in giudicato, e ciò preclude, in questa sede, ogni riesame volto ad ottenere una diversa conclusione.

1.1.4. E’ opportuno ricordare, infatti, che, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la riunione di procedimenti non fa venir meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo (cfr., ex aliis, Cass. n. 24590 del 2019; Cass. n. 15860 del 2014, secondo cui “il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni. Ne consegue che la congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise”; Cass. n. 24026 del 2010; Cass. n. 15954 del 2006): nella specie, dunque, il giudicato formatosi, sul punto predetto, nella causa, tra le stesse parti, n. r.g. 799/2000 spiega efficacia in quella, autonoma rispetto a quest’ultima benchè ad essa riunita, n. r.g. 120/2000.

1.2. Altra ragione di inammissibilità della doglianza in esame deve individuarsi nell’ulteriore giudicato derivante dalla sentenza penale irrevocabile di condanna n. 1293/2003 della Corte d’appello di Venezia, (divenuta definitiva a seguito della sentenza di questa Corte, Seconda Sezione penale, n. 6314/2007), la quale ha confermato il capo d’imputazione a carico del D.F. per il reato di tentata truffa “in danno del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. con sede in Vicenza”, indicato, sempre nel capo d’imputazione, quale “debitore ingiunto”.

1.3. La medesima censura, poi, si rivela inammissibile anche perchè, malgrado invochi il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, argomenta, in realtà, non già di violazioni di norme di diritto bensì di asseriti errori commessi dal giudice del merito nell’accertamento del fatto (chi fosse il soggetto ingiunto; chi fosse il soggetto destinatario della presunta notifica) evidentemente estranei alla “nullità della sentenza o del procedimento” di cui si occupa l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

1.3.1. In proposito, infatti, è sufficiente rimarcare che: i) come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. n. 395 del 2021, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020). In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Un simile vizio, da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva, è, nella specie, palesemente insussistente; ii) qualsivoglia riesame del fatto – ove pure si volesse così riqualificare, in parte qua, l’avverso motivo di ricorso – è ormai precluso anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 30 maggio 2017). Non è ravvisabile, infatti, nella motivazione della decisione impugnata, alcuna ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, atteso che quest’ultima ha esaminato i fatti discussi tra le parti e sui quali il D.F. ancora insiste nel suo ricorso, e di ciò ha dato atto – affrontando pure l’esame della questione del (diverso) codice fiscale (cfr. pag. 17-18 della sentenza impugnata) – nel motivare la conclusione raggiunta.

2. Il secondo motivo del ricorso principale del D.F., rubricato “Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 116,148,149,641,647 c.p.c., e degli artt. 2700 e 2909 c.c., nonchè dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, critica l’avvenuto rigetto, ad opera della corte fiorentina, della doglianza dello stesso concernente l’assenza di giudicato penale in punto di inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo per essere stata spedita una busta vuota. Si assume che non ricorrevano le condizioni di cui all’art. 654 c.p.p. in quanto le parti del giudizio civile e di quello penale non coincidevano, che non vi sarebbe stato accertamento del medesimo fatto e che la condanna penale era intervenuta in sede di appello senza previo rinnovo del dibattimento svolto in primo grado.

2.1. Tale doglianza è immeritevole di accoglimento nel suo complesso.

2.2. La stessa, invero, è anzitutto inammissibile laddove afferma (cfr. pag. 27 del ricorso) che “le parti del processo civile non coincidevano con quelle del processo penale” e che la corte territoriale aveva “omesso di verificare” la circostanza. Da un lato, infatti, le argomentazioni giustificative della declaratoria di inammissibilità del primo motivo (cfr., in particolare, il precedente p. 1.2. di queste “Ragioni della decisione”) danno conto del fatto che, nella menzionata sentenza penale irrevocabile di condanna n. 1293/2003, la Corte d’appello di Venezia ha confermato il capo d’imputazione a carico del D.F. per il reato di tentata truffa “in danno del Banco Ambrosiano Veneto s.p.a. con sede in (OMISSIS)”, indicato sempre nel capo d’imputazione quale “debitore ingiunto”; dall’altro, non corrisponde al vero che la corte distrettuale abbia omesso quell’accertamento (peraltro chiaramente di natura fattuale, con conseguente impossibilità di sua rivisitazione in questa sede, se non sotto il limitato profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo già richiamato. Una corrispondente censura, sul punto, però non è stata puntualmente formulata), avendo, al contrario, riconosciuto che il giudizio penale aveva ad oggetto “il reato di truffa perpetrato ai danni del Banco Ambrosiano Veneto che si era costituito parte civile, cioè del medesimo soggetto (richiamando quanto sopra espresso) che è presente in questo giudico. Trattasi pertanto di accertamento reso tra le stesse parti dell’odierno giudico” (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata).

2.2.1. A tanto deve aggiungersi che, in realtà, il D.F., in sede di gravame, aveva lamentato non già che le parti del giudizio civile e di quello penale non coincidessero, bensì che la querela da cui era scaturito il giudizio penale fosse stata presentata da un soggetto non legittimato perchè diverso da quello effettivamente ingiunto (come può agevolmente ricavarsi da quanto riferito dalla stessa corte fiorentina, la quale, nel descrivere il motivo d’appello proposto dal D.F. sul punto, aveva osservato – cfr. pag. 14 della sua decisione – che esso investiva la “irrilevanza” della sentenza penale “perchè emessa a fronte di un processo che si era celebrato per effetto di una querela presentata da soggetto non legittimato”. Era indubbio, dunque, che il giudizio penale vedesse quale costituita parte civile il medesimo soggetto ritenuto poi come quello effettivamente ingiunto anche dalla corte toscana per le stesse ragioni da essa precedentemente espresse rigettando l’eccezione di difetto di legittimazione processuale dell’opponente.

2.3. La Corte di appello di Firenze, peraltro, ha richiamato il capo d’imputazione penale al fine di evidenziare che, nonostante esso riguardasse il delitto di tentata truffa aggravata, l’elemento fattuale della condotta incriminata ed ascritta al D.F. era stato che quest’ultimo “callidamente faceva notificare al debitore ingiunto Ambrosiano Veneto di (OMISSIS) soltanto una busta vuota proveniente si dagli ufficiali giudiziari in servizio presso la Corte di Appello di Firenze ma che risultava vuota e dunque priva del provvedimento giurisdizionale del giudice fiorentino” (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata). La stessa, inoltre, come ancora condivisibilmente osservato da Intesa Sanpaolo s.p.a. (cfr. pag. 18 e ss. del suo controricorso), lungi dal limitarsi ad un tale semplice richiamo, aveva compiutamente analizzato gli accertamenti compiuti in sede penale, riconoscendo che la sentenza della Corte d’appello di Venezia “accerta lo svolgimento del fatto come riportato nel capo d’imputazione esaminando sia le deposizioni di numerosi testi, sia l’esito di indagini compiute direttamente sul plico: successivamente ritiene che il comportamento tenuto rientri nella fattispecie contestata di tentata truffa” – traendone la conclusione per cui sussisteva, nei confronti del D.F., “l’efficacia di giudicato relativamente ai fatti materiali accertati in sede penale quali artifici o raggiri (tra i quali la inesistenza notifica) integranti il reato di tentata truffa; i fatti hanno formato specifico oggetto di accertamento come sopra rilevato, in quanto elementi costitutivi del reato contestato. Essi sono i medesimi fatti posti a fondamento della ritenuta inesistenza della notifica del decreto ingiuntivo (…). Si ripete che specifico accertato compiutamente dalla Corte di Appello di Venezia è stata proprio la notifica di una busta vuota (sentenza impugnata, pagg. 19-20)”.

2.4. Infondata, infine, si rivela la doglianza per cui “la sentenza veneziana che ha ribaltato il verdetto di assoluzione è stata pronunciata sulla base di testi assunti in primo grado senza aver rinnovato il dibattimento in appello” (cfr. pag. 29 del ricorso).

2.4.1. Invero, anche volendosi prescindere dal fatto che di un’analoga censura non vi è traccia nella sentenza oggi impugnata (sicchè sarebbe stato onere del D.F., a pena di inammissibilità della censura medesima, non solo allegare l’avvenuta sua deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo aveva fatto, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, in particolare riportando dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio. Cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981/07; Cass. 16632/2010), è sufficiente solo ricordare, da un lato, che l’art. 654 c.p.p. richiede solo che un dibattimento ci sia stato (cioè che si sia trattato di una decisione dibattimentale a conclusione del procedimento svoltosi con rito ordinario o con altro rito che, seppure differenziato, presupponga la celebrazione di un dibattimento, quale ad esempio il giudizio direttissimo o il giudizio immediato), come indiscutibilmente avvenuto nella specie in primo grado; dall’altro, ed in via assolutamente dirimente, che la suddetta sentenza penale della Corte di appello di Venezia (risalente al giugno 2003, ed adottata vigente l’art. 603 c.p.p. nel testo anteriore alle modifiche apportategli dalle L. n. 67 del 2014 e, soprattutto, n. L. 103 del 2017, cd. Riforma Orlando) è comunque divenuta definitiva con il rigetto (cfr. Cass. pen. 6314 del 2007) del ricorso per cassazione contro di essa proposto dal D.F.: il corrispondente giudicato, dunque, copre, allo stato, qualsiasi sua nullità ove pure fosse stata ivi configurabile.

3. Venendo, poi, al terzo motivo del ricorso del D.F., lo stesso, rubricato “Violazione di legge e falsa applicazione degli artt. 116,148,149,156,157,160,641,647,650 c.p.c., e degli artt. 2700 e 2909 c.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, ascrive alla corte territoriale di non aver considerato “che la relazione di notificazione costituiva prova legale vincolante in giudizio”, la cui efficacia probatoria privilegiata può essere vinta soltanto con “accoglimento della querela di falso” (cfr. pag. 31-32 del ricorso); che l’avviso di ricevimento attestante la consegna del plico da parte dell’agente postale mai era stato impugnato dall’opponente con querela di falso; che “si doveva pertanto accertare l’attività di notificazione sia dal lato spedizione che dal lato consegna, mentre tale indagine è del tutto mancata in quanto il giudice di seconda istanza non ha preso minimamente in considerazione gli effetti giuridici della piena prova derivanti dalle attività di notificazione, oltre a non aver considerato che a seguito di verifica di validità della notifica era stato pronunciato, ex art. 647 c.p.c., anche il decreto di esecutorietà” (cfr. pag. 35 del ricorso); che la condotta della controparte (ammissione di ricezione del plico, proposizione di domanda di inefficacia e opposizione tardiva, opposizione a precetto e domanda di revocazione) le aveva “precluso di continuare a sostenere la tesi secondo cui avrebbe ricevuto una busta vuota” anche perchè, con la successiva notifica dell’atto di precetto, la prima notifica della busta vuota “avrebbe in ogni caso raggiunto il suo scopo” (cfr. pag. 36 del ricorso); che, pertanto, “la notifica non è inesistente e di conseguenza l’ingiunzione non è inefficace” e che “la Corte territoriale, ancorando la propria tesi unicamente al giudicato penale, che ha ritenuto erroneamente applicabile ex art. 654 c.p.p., non ha minimamente esaminato e dato conto delle prove legali esistenti in giudizio, così incorrendo nel vizio di omessa pronuncia su questione decisiva della controversia, mentre avrebbe dovuto pronunciare in punto di opposizione, tardiva e non, alla luce delle risultanze processuali. Nessuna motivazione, invece, risulta emessa a fronte della validità della notifica in riferimento al combinato disposto degli artt. 148 e 149 c.p.c., e 2700 c.c. in applicazione dei principi che governano la piena prova ex art. 116 c.p.c., mentre le prove legali sono invece rilevanti e vincolanti in giudizio” sicchè “la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’appello rilevando che l’opposizione ordinaria non risultava proposta nei termini di cui all’art. 641 c.p.c., e rilevando che l’opposizione tardiva, di fatto rigettata in primo grado, era inammissibile. La sentenza impugnata è pertanto censurabile sia in relazione all’art. 132 c.p.c., non avendo espresso alcuna motivazione in ordine alla notificazione, sia per violazione di legge ai sensi degli artt. 116,148,149,156,157,160,641,650 c.p.c. e dell’art. 2700 c.c., con ogni consequenziale effetto in punto di giudicato ai sensi dell’art. 647 c.p.c. e art. 2909 c.c.” (cfr. pag. 39 del ricorso).

3.1. Anche questa doglianza non merita accoglimento nel suo complesso posto che, a tacer d’altro: i) una volta definitivamente accertato (tenuto conto di tutto quanto si è detto disattendendosi il motivo precedente) che la busta consegnata alla parte debitrice ingiunta era vuota (non recava, cioè, il più volte citato decreto ingiuntivo n. 2358/99 emesso dal Tribunale di Firenze), nessuna utilità avrebbe più avuto una querela di falso contro l’avviso di ricevimento della busta stessa; ii) le molteplici iniziative giudiziarie intraprese dall’odierna controricorrente, tutte accomunate, come si è visto, dalla premessa dell’inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo, certamente non le precludevano, anche dal punto di vista logico, di continuare a sostenere di avere ricevuto solo una busta vuota; iii) l’accertamento in ordine alla inesistenza della notificazione di quel decreto deve ormai intendersi coperta da giudicato alla stregua di tutto quanto si è già detto respingendosi il secondo motivo; iv) la corte distrettuale, dopo aver esaustivamente spiegato perchè quella notificazione doveva considerarsi inesistente (in proposito richiamando anche i fatti accertati dalla già menzionata sentenza penale della Corte di appello di Venezia, ritenuti essere i medesimi di quelli posti a fondamento della inesistenza della medesima notificazione come invocata in sede civile), lungi dall’aver omesso la motivazione sulle ragioni di rigetto delle ulteriori censure del D.F. ha espressamente concluso che “la reiezione del motivo di appello sul punto della declaratoria di inesistenza della notifica a seguito di accertamento contenuto in sentenza penale passata in giudicato rende inammissibile perchè irrilevante qualsiasi ulteriore allegazione in ordine alla correttezza della notifica effettuata, come vanamente tentato con gli altri motivi d’appello dal D.F.”, altresì aggiungendo che “la reiezione dell’appello rende irrilevante la proposizione della querela di falso e l’appello incidentale condizionato sulle questioni di merito ritenute assorbite in 1 grado ed anche in grado di appello” (cfr. pag. 20-21 della sentenza impugnata). In altri termini, l’accertamento, già compiuto con effetto di giudicato in sede penale, quanto all’avvenuta notifica di una busta vuota, da un lato, comportava la declaratoria di inesistenza della notifica stessa, e, dall’altro lato, era pienamente sufficiente a dimostrare la falsità della relazione di notificazione e ad escludere che le si potesse attribuire valenza probatoria, senza necessità di ulteriori accertamenti sul punto.

4. Analoga sorte negativa tocca al quarto motivo del ricorso principale, rubricato “Violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 188 disp. att. c.p.c., degli artt. 99,101,112,132,161, 276, 615, 641, 643, 644, 645, 647, 650 e 656 c.p.c., nonchè dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”. Esso censura le sentenza della corte fiorentina per non aver dichiarato “inammissibile ed improponibile il giudizio per la dichiarazione di inefficacia del decreto di ingiunzione (…) essendo stata la controversia proposta al di fuori dello schema legale”, atteso che “l’opponente non si è avvalsa della procedura prevista dall’art. 188 disp. att. c.p.c., avendo proposto direttamente con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo la domanda d’inefficacia” (cfr. pag. 40 del ricorso). Pertanto, secondo il ricorrente “la Corte territoriale avrebbe dovuto rigettare la domanda d’inefficacia proposta con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (che ex art. 643 c.p.c. presuppone la pendenza della lite) sia perchè inammissibile, dovendo semmai proporsi azione autonoma di accertamento negativo una volta che sia stato infruttuosamente esperito il rimedio del ricorso, sia perchè emesso il decreto di esecutorietà, sia perchè infondata e contraddittoria” (cfr. pag. 41-42 del ricorso).

4.1. Invero, anche volendosi prescindere, pure in questo caso, dal fatto che di un’analoga censura non vi è traccia nella sentenza oggi impugnata (sicchè, come si è già detto con riferimento ad uno degli esaminati profili di contestazione del secondo motivo, sarebbe stato onere del D.F., a pena di inammissibilità della censura medesima, non solo allegare l’avvenuta sua deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo aveva fatto, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, in particolare riportando dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio. Cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981/07; Cass. 16632/2010), è sufficiente solo ricordare che, come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, laddove si deduca l’inesistenza della notificazione del decreto ingiuntivo, il procedimento di cui all’art. 188 disp. att. c.p.c. non è esclusivo e consente, in alternativa, il ricorso alla citazione ordinaria (cfr. Cass. n. 9872 del 1997, a tenore della quale “se un decreto ingiuntivo non è notificato, o la notifica di esso è giuridicamente inesistente, la parte contro la quale è stato emesso può, decorso il termine stabilito dall’art. 644 c.p.c., chiederne la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 188 disp. att. c.p.c., o con la procedura prevista dai primi due commi, o con autonoma domanda (u.c.)”; Cass. n. 5231 del 1993, nella cui motivazione si legge, tra l’altro, che “la dichiarazione di inefficacia (…) può essere chiesta con domanda proposta nei modi ordinari”, essendo quindi sempre ammissibile, oltre che il ricorso al procedimento di cui al citato art. 188 disp. att. c.p.c., anche l’ordinaria e generale azione di nullità).

4.1.1. Affatto legittimamente, dunque, l’odierna controricorrente aveva proposto la domanda di declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo per inesistenza della notifica con citazione ordinaria, cumulando con la stessa quella di opposizione tardiva, per l’ipotesi in cui si fosse ritenuta la notifica non inesistente. A tanto deve solo aggiungersi che nessuna disposizione sancisce che la declaratoria dell’inesistenza della notificazione è preclusa dall’avvenuta dichiarazione di esecutorietà del decreto ingiuntivo (la quale, evidentemente, viene ad essere travolta dalla dichiarazione di inesistenza della notifica e, quindi, di inefficacia del decreto).

4.2. E’ chiaro, poi, che l’accoglimento della domanda principale (di cui al procedimento n. r.g. 120/2000) di declaratoria di radicale inefficacia del decreto ingiuntivo per inesistenza della notifica non poteva che rendere superflua la decisione sulla domanda di nullità o comunque di revoca del decreto stesso (quest’ultima invocata nel procedimento n. r.g. 799/2000, fatte salve le richieste già formulate nel precedente procedimento n. r.g. 120/2000). Pertanto non vi sarebbe ragione per ravvisare un’inesistente decisione di rigetto di quest’ultima.

4.3. Da ultimo, va solo rimarcato che l’avere il giudice di appello statuito sul merito, una volta dichiarata l’inefficacia dell’ingiunzione, certamente non significa, contrariamente a quanto preteso dal D.F. (cfr. pag. 44 del ricorso), che ciò dimostra “non già l’inesistenza della notifica, bensì la pendenza della lite”, nè che vi è “piena contraddizione” e che “si configura un vizio processuale, di rito e di azione, che produce nullità della stessa pronuncia impugnata atteso che la decisione di merito, assunta nel mentre si considera inesistente la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio,…è chiaramente inconciliabile con la declaratoria d’inefficacia”.

4.3.1. Vero è piuttosto che, ferma la declaratoria d’inefficacia del decreto, entrambi i giudici di merito – senza che in ciò sia ravvisabile alcuna contraddittorietà o nullità della sentenza – hanno statuito anche nel merito, dichiarando l’infondatezza della pretesa creditoria del D.F., posto che la declaratoria suddetta non esime il giudice dal decidere anche sulla fondatezza della pretesa creditoria già azionata in via monitoria (cfr. Cass. n. 3980 del 2016).

5. Il quinto motivo di ricorso del D.F. denuncia “Violazione e falsa applicazione di legge, artt. 99,112,115,116,132,161,641 e 644 c.p.c., nonchè contraddittoria, omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”. Si contesta alla corte distrettuale di non aver accolto l’appello con cui il D.F. aveva lamentato, in relazione alla decisione di primo grado, la “mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato”; che il solo dispositivo, peraltro non emesso in favore dell’opponente Intesa Sanpaolo s.p.a., in assenza di motivazione, non determinava alcuna statuizione; che “la sentenza di primo grado era radicalmente nulla per omessa motivazione”; la “inammissibilità dell’opposizione in quanto non notificata al domicilio eletto in ricorso e comunque proposta oltre i termini di cui all’art. 641 c.p.c., sia alla prima che alla seconda notifica della medesima ingiunzione” (cfr. pag. 45 del ricorso).

5.1. Orbene, sotto il profilo del denunciato vizio motivazionale, esso è radicalmente inammissibile perchè fa riferimento ad una nozione di tale vizio non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – qui, come si è già detto, applicabile ratione temporis atteso che tale mezzo di impugnazione può concernere esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, da dedursi, peraltro, rispettando i precisi oneri di allegazione sanciti, in proposito, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

5.2. Per il resto, lo stesso non merita accoglimento, posto che la corte distrettuale ha affrontato nella sua motivazione tutte le censure in quella sede formulate dal D.F., concludendo per la loro inammissibilità e/o infondatezza, coerentemente pronunciando, poi, nel dispositivo il rigetto dell’appello. A tanto deve solo aggiungersi che: i) l’odierna controricorrente era risultata pacificamente vittoriosa nel merito in primo grado, stante la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo e la pronuncia di assoluzione nel merito dalle domande formulate dal D.F. con il ricorso per ingiunzione, sicchè non aveva alcun onere di riproporre le ragioni dell’opposizione con appello incidentale (e, malgrado ciò, lo aveva comunque fatto, come riconosce anche la stessa corte fiorentina alle pag. 15 e 21 della sentenza impugnata, ove si legge che Intesa Sanpaolo s.p.a. “in via di appello incidentale, riproponeva le domande di merito non esaminate in 1 grado perchè ritenute assorbite, ivi compresa la domanda di revocazione” e che “la reiezione dell’appello rende irrilevante la proposizione della querela di falso e l’appello incidentale condizionato sulle questioni di merito ritenute assorbite in 1 grado ed anche in grado di appello”); ii) quanto all’eccepita omessa notifica nel domicilio eletto, la corte d’appello ha correttamente evidenziato che, a tacer d’altro, si era trattato di una eventuale irregolarità che controparte aveva sanato con la sua costituzione in primo grado, e tale statuizione non è stata minimamente censurata oggi dal D.F.; iii) quanto, infine, all’eccepita carenza di motivazione della decisione di primo grado, altrettanto correttamente la medesima corte ha ritenuto la censura inammissibile, perchè il D.F. avrebbe dovuto comunque investire il giudice dell’appello delle ragioni che avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione, ragioni la cui sussistenza la corte d’appello ha pure escluso con statuizione oggi non impugnata.

6. Il sesto motivo di ricorso principale, infine, rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge, artt. 99,112,115,116,132,148,276,307,346,641,653 e 647 c.p.c., nonchè artt. 2700 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4”, censura la sentenza impugnata nella parte in cui aveva disatteso il motivo di appello con cui il D.F. aveva lamentato che l’azione proposta con la citazione che aveva originato il giudizio n. r.g. 12443/2007 “era inammissibile ed improcedibile per mancata notifica nei termini di cui all’art. 641 c.p.c., anche perchè il decreto ingiuntivo opposto era già stato notificato una prima volta il 13/09/1999” (cfr. pag. 53 del ricorso).

6.1. Tale doglianza non merita accoglimento, atteso che: i) l’inesistenza della prima (in realtà, come si è ampiamente detto in precedenza, mai avvenuta) notifica del decreto nel settembre del 1999 e le relative conseguenze erano state già oggetto dei procedimenti nn. rr.gg 120/2000 e 799/2000, mentre in quello, successivo, n. r.g. 12443/2007 Intesa Sanpaolo s.p.a. aveva inteso riproporre le medesime questioni a seguito della nuova notifica, nei suoi confronti, dello stesso decreto ingiuntivo n. 2357/99 effettuata dal D.F. il 19 giugno 2007. Ne consegue, quindi, che è rispetto a quest’ultima data che va valutata la tempestività della notifica della citazione in opposizione (introduttiva, appunto, del menzionato procedimento n. r.g. 12443/2007) di Intesa Sanpaolo s.p.a. e non certo alla prima (inesistente) notifica del 1999; ii) si è già detto, respingendosi il precedente motivo, che la corte distrettuale correttamente ha disatteso, giudicandola inammissibile, la censura di omessa motivazione della decisione di primo grado in relazione al giudizio n. r.g. 12443/2007, perchè il D.F. avrebbe dovuto comunque investire il giudice dell’appello delle ragioni che avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione, ragioni la cui sussistenza la medesima corte ha pure escluso con statuizione oggi non impugnata.

7. Venendo, infine, al ricorso incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., il suo unico motivo denuncia la “Violazione degli artt. 112,343,346,395 e 656 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4)”, per avere la corte distrettuale ribadito il rigetto della domanda di revocazione di cui al procedimento n. r.g. 799/2000, piuttosto che sancirne l’assorbimento, erroneamente non considerando che a ciò conduceva la pure confermata declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo ottenuta nel procedimento n. r.g. 120/2000 (solo subordinatamente al cui rigetto era stata proposta la domanda di revocazione) ed altrettanto erroneamente ritenendo che la reiezione della domanda di revocazione in primo grado non fosse stata oggetto di specifica censura, laddove, invece, era stato proposto un apposito motivo di appello incidentale.

7.1. Esso si rivela fondato nei sensi di cui appresso.

7.1.1. La sentenza impugnata, nel riportare integralmente le conclusioni precisate dall’odierna ricorrente incidentale nel giudizio d’appello, consente di rilevare che quest’ultima aveva domandato, nel merito, l’accoglimento della dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo n. 2358/99 del Tribunale di Firenze invocata nel procedimento n. r.g. 120/2000 (cfr. pag. 5, sub C.1, della menzionata sentenza) e solo “in subordine” aveva chiesto di “revocare il decreto ingiuntivo” come da domanda dalla stessa formulata nel giudizio n. r.g. 799/2000 (cfr. pag. 6, sub C.2, della medesima sentenza), chiaramente non avendo interesse alcuno ad una pronuncia di revocazione di un decreto ingiuntivo dichiarato inefficace. Il giudice di prime cure, del resto, non aveva minimamente motivato il rigetto della domanda di revocazione (peraltro solo in dispositivo).

7.1.2. La corte fiorentina, evidentemente, non ha correttamente interpretato le domande complessivamente formulate, nei distinti giudizi predetti, poi riuniti, da Intesa Sanpaolo s.p.a. come proposte anche in via di appello incidentale: infatti, ha affermato, prima, che detta società “in via di appello incidentale, riproponeva le domande di merito non esaminate in 1 grado perchè ritenute assorbite, ivi compresa la domanda di revocazione” (cfr. pag. 15 della sentenza impugnata) e, poi, che “la reiezione” della domanda di revocazione da parte del tribunale “non è stata oggetto di specifica censura” (cfr. pag. 20 della medesima sentenza). La stessa, invece, una volta confermata la declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo n. 2538/99 del Tribunale di Firenze resa nel procedimento n. 120/2000 r.g., e rimasta, così, sostanzialmente, priva di oggetto l’eventuale pronuncia sulla revocazione di cui al successivo procedimento, riunito al primo, n. 799/2000 r.g., avrebbe dovuto non già rigettare la domanda di revocazione ma limitarsi a dichiararne la inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse di Intesa Sanpaolo s.p.a.: ciò, peraltro, in sostanziale coerenza con quella giurisprudenza di legittimità (riferita, però, all’ipotesi di più domande formulate in un unico giudizio; qui, invece, si era in presenza di pluralità di domande proposte in distinti procedimenti, poi riuniti) secondo cui la figura dell’assorbimento (in senso proprio) ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno (cfr. Cass. n. 12193 del 2020). E’ intuitivo, invero, che tale principio può essere “adattato” anche alla descritta odierna vicenda processuale attesane la evidente identità di ratio.

8. In conclusione, il ricorso principale del D.F. deve essere respinto, mentre va accolto quello incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a., cassandosi, esclusivamente in parte qua, la sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti fattuali, la causa, sul punto corrispondente, può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 2, dichiarandosi la inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse di Intesa Sanpaolo s.p.a., in ordine alla sua domanda di revocazione del decreto ingiuntivo n. 2538/99 del Tribunale di Firenze formulata nel procedimento, recante il n. r.g. 799/2000, dalla stessa instaurato innanzi al Tribunale di Firenze nei confronti del D.F..

9. Le spese del grado di appello e di questo giudizio di legittimità restano a carico del soccombente D.F.V., e liquidate come in dispositivo.

9.1. Alla stregua di tutto quanto fin qui detto, inoltre, ricorrono i presupposti per ribadire integralmente la statuizione di condanna del D.F., ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, già pronunciata dalla corte distrettuale in relazione alla soccombenza (qui confermata) dello stesso in quel grado.

9.2. Analoga condanna può essere inflitta al ricorrente principale anche con riguardo alla sua ulteriore soccombenza in questa sede di legittimità.

9.2.1. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma suddetta, relativamente sia alla necessità di contenere il fenomeno dell’abuso del processo, sia all’evoluzione della fattispecie dei “danni punitivi” che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento.

9.2.2. Al riguardo, è stato affermato che “la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente” (cfr. Cass. 27623 del 2017, richiamata, in motivazione, dalle successive Cass. n. 29462 del 2018 e Cass. n. 29812 del 2019) e cioè nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.

9.2.3. Tale pronuncia è stata preceduta da un altro fondamentale arresto secondo il quale “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicchè non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei “risarcimenti punitivi”” (cfr. Cass., SU, n. 16601 del 2017): nella motivazione della sentenza testè richiamata l’art. 96 c.p.c., u.c. è stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza.

9.2.3. Nel caso concreto, emerge con chiarezza un abuso del diritto d’impugnazione, caratterizzato da colpa grave del D.F., consistita nel mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza nel reiterare l’impugnazione pure in ordine a ragioni già formulate e disattese nell’atto d’appello, peraltro espressa con motivi in larga parte inammissibili.

9.2.4. Invero, ai fini della condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, è stato affermato che costituisce abuso del diritto all’impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati, giacchè ripetitivi di quanto già confutato dal giudice d’appello, ovvero perchè assolutamente irrilevanti o generici, o, comunque, non rapportati all’effettivo contenuto della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 19286 del 2016).

9.2.5. E’ evidente, dunque, che pur tenendo conto dell’orientamento più estensivo, che non ritiene la colpa grave elemento costitutivo della responsabilità aggravata in questione, nella specie si rivela comunque applicabile la sanzione pecuniaria contemplata dalla norma predetta, sussistendo una palese pretestuosità dell’odierna impugnazione del D.F..

9.2.6. Quest’ultimo, dunque, per quanto esposto, va condannato, in aggiunta alle spese di lite, al pagamento della somma di Euro 12.000,00, determinata equitativamente come per legge, a favore della Intesa Sanpaolo s.p.a., pari, all’incirca, in termini di proporzionalità (cfr. Cass., SU, 16601 del 2017 sopra richiamata), al 60% della misura del compenso liquidato in relazione al valore della causa.

9.3. Va dato atto, infine, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater i presupposti processuali per il versamento, da parte del suddetto ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale di D.F.V. ed accoglie quello incidentale di Intesa Sanpaolo s.p.a.. Cassa la sentenza impugnata esclusivamente in relazione a quest’ultimo e, decidendo la causa nel merito, sul punto corrispondente, dichiara la inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse di Intesa Sanpaolo s.p.a., in ordine alla sua domanda di revocazione del decreto ingiuntivo n. 2538/99 del Tribunale di Firenze formulata nel procedimento, recante il n. r.g. 799/2000, dalla stessa instaurato innanzi al Tribunale di Firenze nei confronti del D.F..

Condanna D.F.V. al pagamento delle spese del grado di appello e di questo giudizio di legittimità che si liquidano: i) le prime, in Euro 23.445,00 per compensi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA. come per legge; ii) le seconde, in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ribadisce la condanna del D.F. ex art. 96 c.p.c., comma 3, in relazione al giudizio di appello e nella misura ivi sancita dalla corte distrettuale.

Condanna il medesimo ricorrente principale, soccombente pure in questa sede, al pagamento, giusta la citata previsione normativa, della somma di Euro 12.000,00 a favore di Intesa Sanpaolo s.p.a..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di D.F.V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

 

 

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