Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11229 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 20/05/2011), n.11229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17960-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

T.G. quale erede di TO.GI., G.R.

in proprio e quale erede di TO.GI., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA OTTAVIANO 42, presso lo studio dell’avvocato

LO GIUDICE BRUNO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ZANGHERI FRANCO, giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 63/2005 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 14/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2 011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GENTILI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato LO GIUDICE, che ha chiesto

l’inammissibilità;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di T.G., nella qualità di erede di To.

G., nonchè di G.R., in proprio e nella qualità di erede di To.Gi. (entrambi resistenti con controricorso successivamente illustrato da memoria), e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento riguardante il reddito di impresa per l’anno di imposta 1995 in relazione alla plusvalenza relativa alla cessione d’azienda (farmacia) da parte di To.Gi. al figlio T. G. contro costituzione di una rendita vitalizia, la C.T.R. Emilia Romagna rigettava l’appello principale dell’Ufficio ed accoglieva l’appello incidentale degli eredi del contribuente, affermando – per quel che in questa sede ancora rileva – che la tassazione della ipotetica plusvalenza realizzata dalla cessione di azienda avrebbe comportato una duplicazione di imposizione, ed inoltre che nella specie mancherebbero i presupposti per quantificare la rendita vitalizia tramite attualizzazione, non potendo con certezza determinarsi la durata di detta rendita.

2. Deve preliminarmente rilevarsi l’intempestività del controricorso.

Peraltro questo giudice, chiamato a valutare l’ammissibilità del ricorso a prescindere da eventuali considerazioni in proposito da parte dell’intimato che resista con controricorso, evidenzia l’ammissibilità del ricorso medesimo sia perchè con esso non si censura un accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito in relazione alla rendita vitalizia, bensì, sotto il profilo giuridico, la sussumibilità della suddetta rendita tra i corrispettivi in ordine ai quali è possibile determinare la plusvalenza, sia perchè nell’unico motivo di ricorso sono facilmente distinguibili le censure per violazione di legge (in ordine alla configurabilità o meno della doppia imposizione vietata ed alla configurabilità o meno di una plusvalenza con riguardo al corrispettivo di cessione d’azienda costituito dalla costituzione di una rendita vitalizia) da quella per omessa motivazione (in ordine alla mancata considerazione, da parte dei giudici d’appello, del contenuto della motivazione dell’avviso di accertamento.

Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1872 c.c. nonchè Tuir, artt. 47, 54, 68 e 75, oltre che vizio di motivazione, l’Agenzia ricorrente afferma: che la rendita vitalizia può costituire il corrispettivo di una cessione d’azienda;

che in tal caso è possibile determinare la plusvalenza calcolando, mediante capitalizzazione, il valore attuale della rendita in termini finanziari; che il divieto di doppia imposizione diventa operante solo in caso di concreta applicazione dell’imposta; che i giudici della C.T.R. non avevano considerato che nell’avviso di accertamento – riportato nell’appello dell’Ufficio – era precisato che “la rendita vitalizia corrisposta annualmente al cessionario T.G. costituisce una modalità di pagamento del corrispettivo pattuito con l’atto di cessione….. per cui non è tassabile in capo al cedente come rendita vitalizia assimilata ai redditi di lavoro dipendente….proprio in virtù del rispetto del divieto di doppia imposizione;…. il rimborso al cedente della tassazione subita sulla rendita vitalizia sarà subordinato alla effettiva tassazione della plusvalenza come accertata dall’Ufficio”.

La censura è fondata.

Secondo l’art. 54 nel testo vigente ratione temporis, costituisce plusvalenza il corrispettivo della cessione di azienda meno i costi non ammortizzati.

A norma dell’art. 1872 c.c., la rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso mediante alienazione di un bene, essa pertanto può costituire il corrispettivo di un’alienazione patrimoniale e quindi anche il corrispettivo di una cessione di azienda.

Tale rendita, pur essendo una utilità aleatoria quanto all’ammontare concreto delle erogazioni che in base ad essa verranno eseguite o ricevute, ha un valore economico agevolmente accertabile in base a calcoli attuariali, come emergente dal fatto che le rendite vitalizie hanno un prezzo di mercato e che la capitalizzazione di esse è operazione pacificamente riconosciuta dall’ordinamento (vedi ad esempio la liquidazione della rendita in somma capitale da parte dell’Inail).

In proposito, è da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, è configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54, comma 3, anche nel caso di cessione a titolo oneroso di un’azienda il cui corrispettivo sia rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia: ai fini dell’imputazione del corrispettivo, occorre infatti considerare il momento di stipulazione del contratto, ai sensi dell’art. 75, D.P.R. n. 917 cit., tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, e prescindendo da clausole estranee al tipo contrattuale, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale (v. cass. n. 10801 del 2007).

E’ inoltre da evidenziare che nella specie non sussiste il rischio di doppia imposizione, posto che la doppia imposizione vietata si verifica solo nel momento della concreta liquidazione della “seconda” imposta e solo nel caso (nella specie non ricorrente) in cui l’amministrazione ritenga di aver diritto a ritenere il doppio pagamento.

Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, infatti, ai fini della configurabilità di un’ipotesi di doppia imposizione vietata non ha alcuna rilevanza l’avvenuta corresponsione, in relazione al medesimo fatto indice di reddito, di un altro tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge (senza possibilità di “scegliere”, in alternativa, un diverso tributo), e pertanto non sono violati i principi di alternatività dell’imposta e/o del divieto di doppia imposizione allorchè l’amministrazione finanziaria richieda il versamento del tributo ritenuto dovuto, senza peraltro escludere la rimborsabilità dell’imposta erroneamente versata (v. cass. n. 18524 del 2010, in tema di vendita di immobile non soggetta ad Iva, in cui l’amministrazione aveva escluso la detraibilità dell’Iva e richiesto il pagamento dell’imposta di registro senza peraltro escludere il rimborso della suddetta Iva erroneamente versata).

Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito col rigetto del ricorso introduttivo.

Atteso lo sviluppo della vicenda processuale nel merito, si ritiene di compensare le spese di primo grado e d’appello e di condannare i soccombenti alle spese del presente giudizio di legittimità come in dispositivo liquidate.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna i soccombenti alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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