Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11227 del 11/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 11/06/2020), n.11227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1679/2016 R.G., proposto da:

l’Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore

Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

RICORRENTE

CONTRO

R.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Pasquale Rossi, con

studio in Avellino, elettivamente domiciliata presso l’Avv. Arturo

Benigni, con studio in Roma, giusta procura in margine al ricorso

introduttivo del presente procedimento;

CONTRORICORRENTE

AVVERSO la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Napoli il 3 giugno 2015 n. 5305/09/2015, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23 gennaio 2020 dal Dott. Giuseppe Lo Sardo.

Fatto

RILEVATO

CHE:

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Napoli il il 3 giugno 2015 n. 5305/09/2015, non notificata, che, in controversia su impugnazione di un avviso di classamento e attribuzione di rendita catastale a seguito di procedura “DOCFA”, ha respinto l’appello proposto dalla medesima nei confronti di R.A. avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino il 13 marzo 2013 n. 98/01/2013. La Commissione Tributaria Regionale ha confermato la correttezza delle valutazioni espresse dal giudice di prime cure con riguardo alla carenza motivazionale del predetto classamento. R.A. si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo, si deduce “illegittimità” e nullità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, convertito nella L. 11 agosto 1939, n. 1249, del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 3 e ss. e 61, del D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138, art. 8, del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 11, comma 1, convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154, dell’art. 3 Cost. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver valutato in modo adeguato le risultanze istruttorie in ordine alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’immobile riclassificato.

Con il secondo motivo, si denuncia “illegittimità” e nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente fondato il proprio convincimento sulla perizia di parte senza tener conto degli altri elementi di prova; nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver valutato in modo adeguato le risultanze istruttorie, e in particolare le caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’immobile, anche in rapporto agli altri immobili compresi nel medesimo fabbricato e identificati con l’attribuzione della stessa categoria e della stessa classe.

RITENUTO CHE:

1. Il primo motivo, così come formulato dalla ricorrente, è inammissibile.

Invero, pur deducendo “violazione e/o falsa applicazione” di norme legislative (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorrente si è limitato a contestare l’omessa valutazione della documentazione probatoria “con particolare riferimento alle caratteristiche intrinseche ed estrinseche dell’immobile accertato e al raffronto con altre abitazioni similari”.

Per cui, sotto l’apparenza di una censura per violazione di legge, in realtà, la ricorrente impugna un giudizio di fatto, che, viceversa, non è sindacabile in questa sede. Altrimenti, si finirebbe col richiedere al giudice di legittimità la rinnovazione di un giudizio di fatto, intendendo, per vero, sottoporre le risultanze istruttorie emerse nel corso del giudizio di merito ad una nuova valutazione, in modo da sostituire alla valutazione sfavorevole già effettuata dai primi giudici una più consona alle proprie concrete aspirazioni.

2. Anche il secondo motivo, così come formulato dalla ricorrente, è inammissibile.

Tale mezzo è stato prospettato dalla ricorrente sotto profili distinti ed autonomi (rispettivamente, la violazione di legge e l’omesso esame di un fatto controverso decisivo).

In proposito, va data continuità all’orientamento giurisprudenziale per cui è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, , purchè lo stesso evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex plurimis: Cass., Sez. 2″, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. Un., 6 maggio 2015, n. 9100; Cass., Sez. 5″, 11 aprile 2018, n. 8915; Cass., Sez. 5″, 5 ottobre 2018, n. 24493; Cass., Sez. 2″, 23 ottobre 2018, n. 26790).

Difatti, il cumulo in un unico motivo delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, è ammissibile in presenza di una diversificata e separata prospettazione delle doglianze attinenti, rispettivamente, al corretto esercizio della potestà decisionale ed all’appropriata ricostruzione del fatto controverso.

Ciò nondimeno, nello specifico, la censura nel suo complesso attiene all’esclusiva valutazione del materiale probatorio, contestandosi al giudice di appello di aver valorizzato la sola perizia di parte e di aver trascurato gli altri elementi di prova. Invero, è pacifico che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., non può porsi per un’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (ex plurimis: Cass., Sez. Lav., 19 giugno 2014, n. 13960; Cass., Sez. 2″, 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass., Sez. 6″, 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass., Sez. 6″, 17 gennaio 2019, n. 1229): eventualità, quelle in discorso, che nulla hanno a che vedere con la fattispecie considerata.

Per il resto, non risulta la specifica indicazione di un “fatto” omesso, il cui esame avrebbe condotto ad altra decisione, essendosi limitata la ricorrente a dolersi per l’omessa comparazione con gli altri immobili compresi nel medesimo fabbricato.

Difatti, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., Sez. 5″, 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., Sez. 3″, 20 agosto 2015, n. 17037; Cass., Sez. 1″, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., Sez. 6″, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., Sez. Lav., 25 giugno 2018, n. 16703; Cass., Sez. 5″, 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., Sez. 2″, 29 ottobre 2018, n. 27415). Peraltro, si deve trattare di un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche di un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8 settembre 2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, 4 ottobre 2017, n. 23238; Cass., Sez. 2, 29 ottobre 2018, n. 27415).

E’, invece, inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai questa Corte procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Pertanto, con riguardo alle prove, mai può essere censurata la valutazione in sè degli elementi probatori secondo il prudente apprezzamento del giudice.

Laddove, nella specie, la censura è diretta a sollecitare una rivalutazione del merito della lite, assumendosi alla stregua di “fatto decisivo per il giudizio”, di cui sarebbe stato omesso l’esame, l’omogeneità (sul piano della tipologia edilizia e della classificazione catastale) degli altri immobili compresi nel medesimo edificio. Ma è evidente che l’omissione addebitata al giudice di appello si traduce nell’apprezzamento comparativo di caratteristiche tecniche, che esige un riesame del materiale probatorio.

Peraltro, è pacifico che il giudice di merito possa fondare il suo convincimento sulla considerazione privilegiata delle specifiche caratteristiche dell’immobile riclassificato, senza far necessariamente riferimento al confronto con immobili similari.

Si aggiunga, comunque, che la sentenza impugnata ha adeguatamente ed esaustivamente motivato in ordine alle ragioni di dissenso dal riclassamento d’ufficio, richiamandosi alla prevalenza delle conclusioni illustrate nella perizia di parte, secondo cui “nella stessa area territoriale omogenea sono stati edificati altri fabbricati e tutti con le stesse caratteristiche tipologiche e delle medesime condizioni materiche”.

3. Pertanto, alla luce delle esposte argomentazioni, si deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura complessiva di Euro 2.600,00, oltre spese forfettarie ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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