Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11226 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. I, 28/04/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28524/2015 proposto da:

Exen S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G. B. Martini n. 13, presso

lo studio dell’avvocato Di Porto Andrea, che la rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno

Buozzi n. 82, presso lo studio dell’avvocato Iannotta Gregorio, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Iannotta Enrico,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

B.V., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere

Flaminio n. 76, presso lo studio dell’avvocato Carnevali Antonella,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Maccallini

Carlo, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 6542/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2021 dal cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il lodo arbitrale del 6 luglio 2005 respinse le domande avanzate da B.V. contro il germano B.M., volte all’accertamento della proprietà in capo al primo delle azioni della Exen s.p.a. intestate al secondo, e, in subordine, alla condanna al pagamento della somma di Euro 51.645,69, consegnatagli per sottoscrivere un precedente aumento di capitale.

La Corte d’appello di Roma con sentenza del 27 ottobre 2014 ha respinto l’impugnazione del lodo arbitrale, proposta da B.V., mentre ha dichiarato inammissibile l’impugnazione incidentale e l’opposizione di terzo della società.

Avverso questa sentenza viene proposto da Exen s.p.a. ricorso principale, sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso l’intimato B.M..

L’intimato B.V. ha, a sua volta, proposto ricorso incidentale per un motivo, cui resiste con controricorso B.M..

Le parti hanno depositato la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – L’unico motivo del ricorso proposto da Exen s.p.a. deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 4, in quanto, sebbene la norma da ultimo indicata renda, in tema di arbitrato societario, il lodo vincolante anche per la società, la corte territoriale ha ritenuto la stessa non avente la veste di litisconsorte necessario: laddove proprio l’autorità di giudicato che il lodo esplica nei confronti della società ne impone la partecipazione al procedimento arbitrale, mentre l’opponibilità del giudicato a soggetto che non sia stato posto in condizione di contraddire e di difendersi si pone in contrasto con la Costituzione.

1.2. – Il motivo del ricorso incidentale proposto da B.V. deduce la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., nonchè la violazione dell’art. 829 c.p.c., comma 2, nel testo in vigore ratione temporis, per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile il quinto motivo di impugnazione, con il quale egli aveva censurato la violazione degli artt. 2721,2727 e 2729 c.c.: infatti, gli arbitri hanno ritenuto preclusa la prova per presunzioni del contratto di interposizione reale, integrante il patto fiduciario fra i germani, quando nessuna norma, al contrario, vieta detto mezzo di prova, non essendo il contratto di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali a forma scritta ad substantiam. Al riguardo, la corte territoriale ha reso, dunque, una motivazione meramente apparente, limitandosi a ritenere escluso un riesame delle risultanze istruttorie, che tuttavia non era quanto ivi denunziato; ed ha, altresì, violato le norme menzionate, come può essere dedotto con l’odierno ricorso per cassazione.

2. – Va disattesa l’eccezione di tardività dei ricorsi, avanzata da B.M., posto che la sentenza impugnata non reca nessuna indebita duplicazione o scissione di date, essendo inequivoco il momento della avvenuta pubblicazione della medesima in data 27 ottobre 2014 (cfr., sul punto, Cass., sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569).

3. – La corte territoriale, per quanto qui ancora rileva, ha ritenuto che:

a) il motivo di impugnazione del lodo, rubricato “mancata osservanza degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione agli artt. 2721 c.c. e ss.”, è inammissibile, perchè la censura di violazione delle norme in tema di prova presuntiva e testimoniale si risolve nella richiesta di un sindacato sulla valutazione dei fatti e delle prove, compiuta dagli arbitri, con riguardo agli elementi dedotti dalla parte (concernenti il rapporto di parentela fra i fratelli, la riserva di intestazione ad altri di una quota societaria compiuta da V. al momento dell’acquisto, le dimissioni di M. dal c.d.a. sin dal 1990, la denuncia dal medesimo sporta ed i documenti contabili prodotti in atti);

b) è inammissibile l’opposizione di terzo, proposta dalla Exen s.p.a. in appello, in quanto il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 3, rinvia all’art. 831 c.p.c. e questo all’art. 404 c.p.c., onde il terzo deve essere titolare di un diritto autonomo ed incompatibile, oppure un litisconsorte necessario pretermesso: situazione insussistente nella specie, in quanto la società nè ha dedotto la titolarità delle azioni in capo a sè, nè è nella controversia un litisconsorte necessario.

4. – Ciò posto, il ricorso principale è infondato.

Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35 in tema di arbitrato societario, prevede, al comma 4, che “(l)e statuizioni del lodo sono vincolanti per la società”.

Ma tale previsione rispecchia – una volta introdotto l’arbitrato societario anche per la impugnazione delle deliberazioni sociali – il dettato dell’art. 2377 c.c., comma 7, nonchè dell’art. 2434-bis c.c., comma 3.

Secondo la prima disposizione – applicabile anche alle delibere nulle in virtù del rinvio ad essa contenuto nell’art. 2379 c.c., nonchè alle s.r.l., in ragione dell’analogo rinvio ex art. 2479-ter c.c. l’annullamento della deliberazione “obbliga gli amministratori, il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione a prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità”.

Del pari, la disposizione speciale dell’art. 2434-bis c.c., comma 3, prevede che il bilancio dell’esercizio nel corso del quale sia dichiarata l’invalidità di quello anteriore “tiene conto delle ragioni di questa”.

Si tratta, invero, dell’esplicita presa di posizione del legislatore in ragione dell’interesse che l’organismo societario riveste per il mercato – sull’obbligo per gli organi sociali, con richiamo diretto alle rispettive responsabilità, di ottemperare alla pronuncia del giudice, il quale abbia ravvisato l’invalidità della deliberazione sociale, dovendo essi ripristinare, per quanto possibile, lo status quo ante ed eliminando gli effetti della deliberazione viziata dal mondo giuridico.

Non diversa è la ratio del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35, comma 4, dettato all’interno di un articolo che, come risulta in modo patente dai rimanenti commi – cfr., in particolare, il comma 1, che espressamente menziona la domanda “proposta dalla società o in suo confronto”; il comma 2, che prevede l’intervento di “altri soci”; il comma 5, espressamente riferito alla impugnazione per vizi di “validità di Delib. assembleari” ed al potere di “sospensione dell’efficacia della Delib.” – ha avuto presente, quale situazione di massimo rilievo, le impugnazioni delle deliberazioni assembleari, in cui dunque la società è, per definizione, il soggetto legittimato passivo.

Onde l’espresso richiamo, anche qui, al “vincolo” per la società delle pronunce arbitrali che la riguardino.

Ma non ne deriva, invece, l’integrazione della fattispecie del litisconsorzio necessario, la quale va individuata sulla base delle ordinarie regole: secondo cui tale situazione sussiste solo allorchè, in mancanza del legittimo contraddittore, la pronuncia sarebbe inutiliter data.

Così è quando, oltre ai casi espressamente previsti dalla legge, una situazione sostanziale di natura plurisoggettiva, dedotta in giudizio, debba essere decisa in maniera unitaria nei confronti di tutti coloro che ne siano partecipi, onde non privare la pronuncia dell’utilità connessa con l’esperimento dell’azione proposta, in quanto l’azione tenda alla costituzione o al mutamento di un rapporto plurisoggettivo unico, oppure all’adempimento di una prestazione inscindibile incidente su una situazione pure inscindibile comune a più soggetti (cfr., e multis, Cass. 13 febbraio 2020, n. 3692).

Tale situazione non sussiste in relazione alla domanda di intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, quale contratto concluso tra fiduciante e fiduciario, in cui le partecipazioni al capitale della società costituiscono soltanto l’oggetto del negozio, onde non può ritenersi al riguardo il litisconsorzio necessario quale proiezione degli elementi costitutivi della fattispecie.

In tal senso è un precedente specifico della Corte, il cui portato si intende ora ribadire (Cass. 11 gennaio 2005, n. 339), secondo cui, nel giudizio avente ad oggetto il trasferimento di partecipazioni societarie, la società non è litisconsorte necessario, ma il trasferimento è valido ed efficace inter partes sin dall’incontro dei consensi.

Il definitiva, il ricorso principale va respinto.

5. – Il ricorso incidentale è fondato.

5.1. – Questa Corte ha già osservato, in un passaggio logico della decisione, che nel diritto comune dei contratti l’intestazione fiduciaria è la situazione in cui il trasferimento del bene in favore del fiduciario viene limitato dall’obbligo inter partes al ritrasferimento, in ciò esplicandosi il contenuto del pactum fiduciae; laddove invece manca, in detta figura, qualsiasi intento liberale, e la posizione di titolarità creata si palesa “soltanto provvisoria e strumentale al ritrasferimento a vantaggio del fiduciante” (Cass. 14 luglio 2015, n. 14695, in tema di immobili; 29 febbraio 2012, n. 3134, sull’azienda, ed altre).

Anche con specifico riguardo all’intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali la vicenda è ricostruita, da massima tralaticia, quale collegamento di due negozi, parimenti voluti, l’uno di carattere esterno ed efficace verso i terzi, l’altro inter partes ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, nell’ambito dell’istituto della interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista (diversamente dal caso d’interposizione fittizia o simulata) la titolarità della quota, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l’interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, ed a ritrasferirgliela ad una scadenza concordata, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 21 marzo 2016, n. 5507; 8 settembre 2015, n. 17785; 6 maggio 2005, n. 9402; 27 novembre 1999, n. 13261).

Vi è, di particolare, che l’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali attiene ad un bene che rappresenta una posizione complessa, quale nucleo di situazioni soggettive attive e passive: la quale tantomeno si presta ad essere inquadrata nel comune mandato uno actu o in quello volto all’esecuzione di più negozi giuridici (art. 1703 c.c.), richiedendosi invece, da un lato, sotto il profilo dominicale, l’intestazione della res, e, dall’altro lato, un’attività continuativa da parte del fiduciario, spesso non prevedibile ex ante, nell’ambito della vita societaria che si svolge nel tempo.

Dal momento pertanto che, nel contratto in questione, la causa non risiede nè nel trasferimento del bene, nè nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti allo scopo della cd. spersonalizzazione della proprietà, opportuna ne risulta la qualificazione – piuttosto che come collegamento negoziale di più atti che restano distinti – come contratto unitario, avente una causa propria, pur nell’ambito del genus dell’agire per conto altrui: attesa la stretta ed indissolubile connessione tra le varie pattuizioni nelle quali il contratto formalmente si scompone, onde unitaria ne è la causa (e ciò consentirà, altresì, la ricostruzione di un nesso funzionale specifico alla luce del complessivo regolamento d’interessi perseguito, mediante l’individuazione della causa concreta).

Resta, peraltro, un’interposizione reale di persona, nella quale l’intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale, essendo tipica dell’istituto non la conflittualità, ma la convergenza delle posizioni, ogni decisione venendo di necessità assunta nell’interesse essenziale del fiduciante (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656).

5.2. – Nessuna norma, però, stabilisce che il contratto di intestazione fiduciaria di quote o azioni abbia forma scritta a pena di nullità.

A parte le formalità del transfert azionario e l’iscrizione dei trasferimenti di quota sociale nel registro delle imprese, aventi diverse funzioni, questa Corte è ferma nel ritenere che il contratto di cessione di partecipazioni sociali si inquadra nell’art. 1376 c.c., onde, in assenza di forma convenzionale prevista dalle parti, il negozio sulle partecipazioni sociali è soggetto al principio consensualistico, con la conseguenza che l’effetto traslativo si verifica a seguito dell’accordo fra le parti (fra le altre, Cass. 27 ottobre 2017, n. 25626; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23203; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 2 maggio 2007, n. 10121).

Se questo è vero per l’ordinario negozio di cessione delle azioni, lo stesso deve affermarsi quanto al (causalmente più limitato e diversamente connotato, come sopra esposto) negozio di intestazione fiduciaria delle azioni o della quota.

5.3. – Ne deriva che la corte territoriale ha espresso una motivazione affatto incongruente, allorchè ha ritenuto inammissibile il quinto motivo innanzi a sè proposto, e che qui rileva, reputandolo volto al riesame del merito.

Al contrario, come risulta in modo specifico dal ricorso e dallo stesso testo della sentenza impugnata, il motivo era volto a denunziare la “mancata osservanza degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione agli artt. 2721 c.c. e ss.”: dunque, non si trattava della riproposizione dell’esame delle risultanze, ma proprio della censura di avere gli arbitri ritenuto, in diritto, preclusa la prova presuntiva.

E che questo fosse il tenore della decisione arbitrale risulta dallo stesso passaggio della motivazione della corte d’appello, in cui essa ha riprodotto l’argomentazione del lodo arbitrale: ivi si afferma, invero, che il contratto di intestazione fiduciaria “poteva risultare provato solo in forza di apposita ed esplicita dichiarazione, bilaterale o unilaterale, sicuramente e inequivocabilmente attribuibile al Dott. B.M.” (p. 5 sent. impugnata).

A fronte di tale motivo di impugnazione, la motivazione resa dalla corte d’appello risulta avulsa dal medesimo e di mero stile, con violazione dell’art. 132 c.p.c.

6. – In accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perchè riesamini il motivo de quo, alla luce delle considerazioni svolte; ad essa si demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità nel rapporto processuale tra gli odierni controricorrenti.

Le spese vengono, invece, interamente compensate nel rapporto processuale tra la ricorrente principale ed i controricorrenti B.M. e B.V., attesa la novità della questione, e nel rapporto processuale tra quest’ultimo e la medesima società, per la comunanza d’intenti.

PQM

La Corte:

a) accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda pure la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità nel rapporto processuale tra B.V. e B.M.;

b) rigetta il ricorso principale e compensa per intero le spese processuali tra le parti.

Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto, da parte della ricorrente principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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