Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11224 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2011, (ud. 20/01/2011, dep. 20/05/2011), n.11224

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9324-2008 proposto da:

MICOS DI GIOVANNI MININNI & C SAS, in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA V. A.

BERTOLONI 41 presso lo studio dell’avvocato GARZILLO MARIA PIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARTUCCI ZECCA GIUSEPPE,

FATELLI CARLO MARIA, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3/2007 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 19/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARTUCCI ZECCA GIUSEPPE, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La società Micos di Giovanni Mininni & C. s.a.s. ha impugnato due avvisi di recupero del credito d’imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, relativi agli anni 2002 e 2003, notificati dall’Agenzia delle Entrate per la indebita utilizzazione.

L’Agenzia ha motivato il recupero sul rilievo che l’agevolazione è stata ottenuta in relazione ad un immobile destinato ad uso strumentale, costituito da uno scantinato, in relazione al quale non era stato sostenuto alcun costo, per il quale comunque manca il requisito della “novità del bene”.

A sostegno del ricorso introduttivo, la società denunciava la violazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, art. 12 preleggi e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 53, 59 e 77.

La CTP ha accolto il ricorso. La CTR, invece, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, sul rilievo:

– che non era stata esibita la fattura di acquisto del bene oggetto dell’agevolazione;

– che i motivi del recupero erano ben noti alla contribuente, in quanto esposti nell’atto di accertamento e nel p.v.c., entrambi conosciuti dalla società;

– che, comunque, l’uso della motivazione per relationem è legittimo;

– che l’immobile in questione non costituisce una nuova acquisizione della società, in quanto risulta realizzato nel 1996 ed inserito nella situazione patrimoniale, fra le rimanenze merci fino al 31.12.2001;

– che, quindi, il bene in questione ha subito un semplice cambio di destinazione ed in ciò non può ravvisarsi il presupposto del nuovo investimento produttivo che giustifica il credito di imposta.

La società ricorre per la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, sulla base di due motivi.

L’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

Il ricorso non può trovare accoglimento.

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del controricorso notificato tardivamente. Infatti, il ricorso è stato notificato il 26 marzo del 2008, il termine per il deposito dello stesso scadeva quindi il 15 aprile successivo (art. 369 c.p.c., comma 1), per cui il termine per la notifica del controricorso scadeva il 5 maggio (art. 370 c.p.c., comma 1) e quindi la notifica del controricorso, richiesta il 15 maggio 2008 è tardiva.

Nel merito, con il primo motivo di ricorso viene denunciata la insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuta legittima la motivazione per relationem dell’atto di recupero. La censura è inammissibile perchè attiene alla motivazione dell’atto contestato e non della sentenza impugnata e, quindi, riguarda il merito della controversia. Tra l’altro, dalla esposizione del fatto dell’odierno ricorso non risulta che l’atto di recupero sia stato impugnato anche per vizi di motivazione. Comunque, il motivo è carente di autosufficienza perchè non espone come e quando la censura sarebbe stata formulata. A parte la considerazione che, nel merito, il ricorso è anche infondato perchè la CTR afferma che il p.v.c. contenente le motivazioni dei recuperi è stato notificato alla società e su questo punto non c’è censura.

Viene anche prospettata la tesi che l’Agenzia avrebbe integrato la motivazione degli atti impugnati soltanto in giudizio, ma la ricorrente non spiega poi quali sarebbero le integrazioni che non erano già presenti nel p.v.c.. Quindi anche questa censura appare inammissibile per carenza di autosufficienza.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, in quanto per godere del credito di imposta non occorre un nuovo acquisto o l’acquisto di un bene nuovo, ma sarebbe sufficiente una nuova acquisizione di beni strumentali. Nella specie, osserva ancora la ricorrente, il bene in questione pur appartenendo già alla società è stato contabilmente acquisito tra i beni strumentali e tanto basta per godere del beneficio.

La tesi della società contrasta palesemente con lo spirito della L. n. 388 del 2000, intesa a promuovere nuovi investimenti produttivi.

La stessa lettera dell’art. 8, comma 2, della citata legge chiarisce che “per nuovi investimenti produttivi si intendono le acquisizioni di beni strumentali nuovi” Nella specie invece si è trattato di una semplice variazione documentale dello status di un bene, che già era di proprietà della società, trasferito soltanto contabilmente dal patrimonio-merci ai beni strumentali, senza alcuna forma di investimento di alcun genere (a quanto risulta dalla sentenza impugnata) e senza che la trasformazione sia stata prospettata come un “rinnovamento” economico del bene, funzionale all’incremento della produttività (v. Cass. 1165/2010).

Quanto sopra viene evidenziato ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, perchè il motivo di ricorso prima ancora che infondato è inammissibile. Infatti, la ricorrente formula il quesito di diritto (obbligatorio in forza dell’art. 366 bis c.p.c. vigente ratione temporis) chiedendo di sapere se nella specie ricorra una delle ipotesi di revoca del beneficio del credito di imposta di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7. Posto in questi termini, il quesito non censura la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale il recupero del credito di imposta non è conseguenza di sopravvenute cause di decadenza, ma della mancanza, fin dall’origine, dei presupposti richiesti per beneficiarne.

Conseguentemente, il ricorso va rigettato, senza provvedimenti sulle spese, attesa la inammissibilità del controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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