Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11222 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 20/05/2011), n.11222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) P.I.M.G.;

2) P.S.;

3) P.M.;

4) P.P.;

tutti elettivamente domiciliati in Roma alla Via Muzio Clementi n. 68

lo studio dell’avv. Carluccio Francesco: i primi tre, rappresentati e

difesi dall’avv. Ermindo TUCCI (del Foro di Lucca) in forza del

“mandato” a margine del ricorso; l’ultima, rappresentata e difesa

dall’avv. Enrico CORTESE (del Foro di Pisa) in forza del “mandato”

rilasciato “in calce” al ricorso;

– ricorrenti –

CONTRO

l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

AVVERSO la sentenza n. 1868/06 depositata il 4 marzo 2006 dalla

Commissione Tributaria Centrale;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 gennaio 2011

dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Giuseppe

D’ALBENZIO (dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato all’AGENZIA delle ENTRATE il 21 novembre 2006 (depositato il primo dicembre 2006), P.I.M.G., P.S., P.M. e P.P. (tutti quali eredi di P.G.) – premesso che:

(1) “a suo tempo” l’Ufficio aveva “notificato alla ditta P. G. due avvisi di accertamento induttivo per gli anni d’imposta 1978 e 1980, motivati dall’omessa presentazione delle relative dichiarazioni annuali IVA, scadenti negli anni 1979 e 1981”;

(2) “il contribuente” (2a) “in data 8 novembre 1984 presentava le dichiarazioni annuali IVA a suo tempo omesse” e (2b) “impugnava …

gli avvisi” innanzi al giudice tributario che (“decisione n. 603 depositata il 18 luglio 1988”) “accoglieva il ricorso, considerando sanata l’omissione delle dichiarazioni a seguito della successiva presentazione”;

(3) l’appello dell’Ufficio era stato accolto dal giudice di secondo grado;

(4) “il contribuente” (4a) “in data 30 novembre 1990” aveva proposto “ricorso avanti alla Commissione Tributaria Centrale” e (4b) “in data 31 luglio 1991” aveva presentato “istanza di sanatoria ai sensi del D.L. n. 83 del 1991, art. 8 convertito nella L. 154 del … 1991 con la quale si sanava anche la tardiva presentazione delle dichiarazioni annuali IVA avvenuta in data 8 novembre 1984 per gli anni d’imposta 1978 e 1980” -, in forza di due motivi, chiedevano di cassare la sentenza n. 1868/06 della Commissione Tributaria Centrale (depositata il 4 marzo 2006) che aveva respinto il ricorso del loro dante causa.

Nel controricorso notificato il 2 gennaio 2007 (depositato il 19 gennaio 2007), l’Agenzia intimata instava per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto dell’avversa impugnazione.

Il 23 dicembre 2010 i ricorrenti depositavano memoria ex art. 378 c.p.c. (di cui davano “comunica(zione)” al difensore pubblico dell’Agenzia con atto notificato il 4 gennaio 2011) nella quale rappresentavano che “con nota Prot. 2010/104799 in data primo dicembre 2010 … l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Lucca” aveva “finalmente riconosciuto” che “l'”istanza presentata il 31 luglio 1991 … deve ritenersi idonea a regolarizzare le dichiarazioni annuali IVA tardivamente presentate dal …

contribuente per gli anni d’imposta 1989 e 1980”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nella decisione gravata la Commissione Tributaria Centrale premette:

(1) l’Ufficio, “non essendosi il contribuente presentato a seguito dell’invito”, con “avvisi di accertamento e rettifica” ha “proceduto” (1a) “a determinare induttivamente l’ammontare imponibile e l’aliquota applicabile, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 5, comma 1, sulla base del volume di affari dichiarati negli anni precedenti” e (1b) “alla irrogazione delle pene pecuniarie previste dall’art. 41, comma 1, e art. 43, commi 1 e 3, per la violazione dell’art. 21 (obbligo di fatturazione) e art. 28 (obbligo di dichiarazione annuale) del citato D.P.R.”;

(2) “con ricorsi del 10 novembre 1984 … P.G. …

impugnava gli anzidetti provvedimenti, facendo presente … che in data 8 novembre 1984 aveva presentato le dichiarazioni mancanti, con l’elenco dei clienti e dei fornitori, rilevando i dati dai registri delle fatture emesse e degli acquisti, regolarmente tenuti” per cui “chiedeva” (2a) che “il volume di affari venisse rettificato in conformità dei valori reali, risultanti dalle scritture contabili”, (2b) che “gli venissero calcolate le imposte detraibili, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 risultanti dalle liquidazioni effettuate ai sensi degli artt. 27 e 33 del D.P.R.” e (2c) che “venisse annullata la sanzione … per la violazione dell’obbligo di fatturazione, in quanto non sussistente”;

(3) “con decisione n. 603 depositata il 18 luglio 1988 la Commissione Tributaria di primo grado, confermava l’irrogazione della sanzione fissa di cui all’art. 43, comma 3, ed accoglieva per la rimanente parte il ricorso”, annullando “gli accertamenti induttivi”;

(4) “con decisione n. 406 del 25 settembre 1990 la Commissione di secondo grado accoglieva l’appello” dell’Ufficio “riconoscendo valide le argomentazioni” dello stesso;

(5) “con atto del 30 novembre 1990, ha ricorso il … P.G. … sostenendo l’illegittimità degli avvisi di accertamento e chiedendo” (5a) “che quale volume di affari sia dichiarato quello risultante dai libri contabili e dalle dichiarazioni annuali comunque presentate”, (5b) “che vengano dichiarate interamente spettanti le detrazioni ex art. 19” e (5c) “che venga dichiarata illegittima l’applicazione delle sanzioni di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, comma 1, e art. 43, comma 1”.

Lo stesso giudice, quindi, ritenuto che “i periodi di imposta in riferimento, il 1978 e 1980, non sono stati indicati dal contribuente nell’istanza di sanatoria delle irregolarità formali di cui al D.L. n. 83 del 1991,… art. 8 convertito nella L. n. 154 del 1991, e non possono pertanto ritenersi coperti da sanatoria”, ha rigettato il ricorso del “contribuente” osservando:

(1) “per quanto attiene alla … quantificazione del volume di affari …, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio per procedere all’accertamento dell’imposta dovuta”;

(2) “nel caso …, a fronte della prova presuntiva offerta dall’Ufficio” (“che ha tenuto conto … del volume di affari conseguito negli anni precedenti”) “nessuna prova di fatti impeditivi o estintivi o modificativi … è stata fatta valere dal ricorrente” che, “non comparso a seguito dell’invito inoltratogli”, “soltanto …

in sede di ricorso ha enunciato, senza … esibire alcuna documentazione, la regolare tenuta delle scritture contabili …

riservandosi di produrre in un successivo momento, cosa che poi non ha fatto, i registri delle fatture e le fatture stesse”;

(3) “a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 37, comma 6, all’epoca vigente, “le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a trenta giorni si considerano omesse a tutti gli effetti, ma costituiscono titolo per la riscossione dell’imposta che ne risulta dovuta” per cui “nessun effetto favorevole al contribuente può … farsi discendere dalle dichiarazioni IVA presentate nel 1984”;

(4) “le detrazioni previste dall’art. 19 … si rivelano soltanto enunciate, ma non sorrette da alcun supporto probatorio”;

(5) “deve essere confermata la legittimità dell’operato dell’Ufficio” quanto alla “irrogazione delle pene pecuniarie” sia “in riferimento alla sanzione per la violazione dell’obbligo di dichiarazione (art. 43, comma 1)” (“essendo incontestato che il contribuente ha presentato la dichiarazione IVA … dopo circa quattro anni”) sia “la violazione dell’obbligo di fatturazione (art. 41, comma 1), non essendo stato affatto documentato l’assolvimento dell’obbligo stesso”.

2. Gli eredi di P.G. censurano la decisione per due motivi.

A. Con il primo i ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione” del “D.L. n. 83 del 1991, art. 8 convertito nella L. n. 154 del 1991” formulando (a conclusione) questi “quesiti”:

– “sulla legittimità della indicazione da parte del contribuente dell’anno di commissione della violazione contestata (omessa dichiarazione IVA) nell’istanza di sanatoria dell’illecito ex art. 8, D.L. n. 83 del 1991 convertito nella L. n. 154 del 1991 e ciò anche nell’ipotesi in cui tale momento non coincida con il periodo di imposta cui la violazione si riferisce ovvero sulla illegittimità della decisione nella parte in cui si è ritenuto che nell’istanza ai fini della sanatoria dell’illecito ex art. 8 D.L. n. 83 del 1991, convertito nella L. n. 154 del 1991 debba indicarsi, come anno di riferimento, il periodo di imposta cui la violazione si riferisce anzichè l’anno di commissione della violazione contestata (omessa dichiarazione IVA) nell’ipotesi di non coincidenza tra tali due momenti”;

– “sulla necessità di autonomo accertamento da parte della Commissione Tributaria dell’avvenuta regolarizzazione delle infrazioni contestate con sanatoria art. 8, D.L. n. 83 del 1991, convertito nella L. n. 154 del 1991 senza alcun vincolo derivante da indicazioni dell’Amministrazione Finanziaria ai fini della declaratoria di estinzione del giudizio”.

B. Con l’altro motivo i medesimi eredi denunziano “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” in ordine alla “avvenuta sanatoria ex art. 8, D.L. n. 83 del 1991 convertito nella L. n. 154 del 1991” precisando (“ai fini dell’osservanza delle previsioni di cui all’art. 366 bis c.p.c., comma 2”) che “l’omissione e/o contraddittorietà della motivazione riguarda il fatto che i periodi di imposta in riferimento, il 1978 e 1980, non sarebbero stati indicati dal contribuente nell’istanza di sanatoria delle irregolarità formali di cui al citato art. 8, D.L. n. 83 del 1991, convertito nella L. n. 154 del 1991, e non potrebbero pertanto essere coperti dalla sanatoria malgrado il contribuente abbia fatto riferimento nell’istanza agli anni di commissione degli illeciti (1979 e 1981) ossia … i periodi in cui scadevano le dichiarazioni IVA, presentate tardivamente nell’anno 1984, per i periodi di imposta 1978 e 1980”, non potendo “costituire sufficiente motivazione” il “mero rinvio a “documentazione di recente esibita dalla parte attrice” ed a quanto “messo in evidenza dall’Ufficio … con nota pervenuta il 25 ottobre 2005″ … dovendo il giudice autonomamente verificare e motivare in merito all’avvenuta regolarizzazione degli illeciti indipendentemente da quanto comunicato dall’… Ufficio”.

3. Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse (art. 100 c.p.c.) dei ricorrenti attesa la dichiarata loro qualità di “eredi” del contribuente, deceduto in corso di causa.

A. In via preliminare va respinta la richiesta dei P. di dichiarare la cessazione della materia del contendere per effetto ed in conseguenza del contenuto della “nota Prot. 2010/104799 in data primo dicembre 2010 … l’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Lucca”, dagli stessi esibita.

L’affermazione finale di tale “nota” (redatta, come si evince dalla “richiesta di verifica di regolarità formale” datata “Lucca 9 novembre 2010” dello “studio legale Etruria”, prodotta insieme con le memorie depositate, in risposta a istanza del professionista accusato dai contribuenti, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento degli onorari professionali, di “scarsa diligenza”), peraltro diretta ad un terzo estraneo al giudizio (“studio legale Etruria … Lucca”), secondo la quale “poichè …

P.G. nell’istanza presentata il 31 luglio 1991 ha indicato quali periodi di imposta da sanare gli anni 1979 e 1981, la stessa deve ritenersi idonea a regolarizzare le dichiarazioni tardivamente presentate dallo stesso contribuente per gli anni d’imposta 1978 e 1980”, infatti, non contiene nessun “provvedimento” tanto meno incidente sulla presente controversia, perchè si risolve in un semplice “giudizio” sulla “diligente condotta professionale” del professionista che aveva assistito il dante causa dei P., quindi nella mera “opinione” dell’autore della nota sul fatto sottopostogli atteso che lo stesso (“capo area legale”) si è limitato alla riprodotta affermazione ma non ha adottato, come necessario per la declaratoria richiesta dai ricorrenti, nessuna aderente e conseguente determinazione, neppure implicita, nei confronti degli odierni ricorrenti, tale da far venire meno l’atto impositivo oggetto del presente contenzioso, neppure menzionato.

B. Con il loro ricorso gli eredi P., come riportato, denunziano unicamente (1) “violazione e falsa applicazione” dell'”art. 8, D.L. n. 83 del 1991 convertito nella L. n. 154 del 1991″ e (2) “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” in ordine alla “avvenuta sanatoria ex art. 8, D.L. n. 83 del 1991 convertito nella L. n. 154 del 1991” delle violazioni ascritte al loro dante causa.

B.1. L’art. 8, D.L. 16 marzo 1991, n. 83 (convertito in L. 15 maggio 1991, n. 154), infatti, come ripetutamente statuito da questa sezione (sentenze: 11 maggio 2009 n. 10701 per la quale “il versamento…

previsto dal comma 1 … consente la sanatoria non già delle irregolarità sostanziali, ma unicamente di quelle formali”;

18 giugno 2008 n. 16419 che ha ritenuto erroneo “il rimborso anche degli interessi iscritti” disposto dal giudice tributario per non aver questi tenuto conto “del tenore letterale della norma” qui in esame la quale, “nell’escludere l’applicazione delle sole sanzioni”, “non fa cenno agli interessi, i quali sono in ogni caso dovuti”;

15 gennaio 2007 n. 671, da cui gli excerpta che seguono), “prevede al comma 1 ed al comma 2 due distinte ipotesi di sanatoria”:

– “la prima attiene alle violazioni richiamate del D.L. 2 marzo 1989, n. 69, art. 21, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 aprile 1989, n. 154, commesse fino alla data di entrata in vigore del decreto che possono essere definite con il pagamento, per ciascuno dei periodi d’imposta cui si riferiscono, della somma di L. un milione, che deve essere versata contestualmente alla presentazione di apposita istanza”: “si tratta sostanzialmente di irregolarità formali “che non rilevano ai fini della determinazione del reddito e dell’imposta sul valore aggiunto” o di ritardi in adempimenti, sempre di carattere formale, richiesti dalla legge”;

– “la seconda concerne le sanzioni amministrative previste nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 44 e nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 92 le quali non si applicano ai contribuenti ed ai sostituti di imposta che hanno provveduto entro il 31 dicembre 1990 al pagamento delle imposte o delle ritenute risultanti dalle dichiarazioni annuali e dalle dichiarazioni o liquidazioni periodiche dell’imposta sul valore aggiunto relative ai periodi di imposta chiusi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto”.

Siffatta “normativa di favore”, come specificato nella richiamate decisioni del 2009 e del 2007, “non consente di definire l’omesso versamento delle imposte, che restano dovute, ma unicamente le sanzioni amministrative che da tale omissione derivano è che possono essere sanate a condizione che all’omissione si sia posto rimedio entro il termine fissato dal decreto”.

B.2. Dall’esposto contesto normativo (unico investito dal ricorso degli eredi P.) discende che le doglianze svolte nel ricorso per cassazione investono esclusivamente il punto con il quale il giudice a quo ha ritenuto (nei confronti del contribuente in vita) la “legittimità dell’operato dell’Ufficio” quanto alla “irrogazione delle pene pecuniarie” sia “in riferimento alla sanzione per la violazione dell’obbligo di dichiarazione (art. 43, comma 1)” (“essendo incontestato che il contribuente ha presentato la dichiarazione IVA … dopo circa quattro anni”) sia “la violazione dell’obbligo di fatturazione (art. 41, comma 1), non essendo stato affatto documentato l’assolvimento dell’obbligo stesso”.

I ricorrenti, però, non hanno nessun concreto interesse (art. 100 c.p.c.) all’eliminazione (quand’anche eventualmente erroneo) di detto specifico punto (unico impugnato) perchè per espressa ed univoca previsione dell’art. 8, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – certamente applicabile alla specie – “L’obbligazione al pagamento delle sanzioni non si trasmette agli eredi” e, quindi, (anche) le specifiche sanzioni in contestazione debbono intendersi definitivamente estinte per effetto ed in conseguenza della morte del contribuente (loro dante causa).

L’interesse ad agire, necessario anche ai fini dell’impugnazione del provvedimento giudiziale, come noto (Cass., 2^, 25 giugno 2010 n. 15353, tra le recenti), “va apprezzato in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento dell’impugnazione e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente”, come nel caso, “riflessi pratici sulla decisione adottata (Cass., Sez. 5^, 8 settembre 2003, n. 13091; Cass., Sez. 1^, 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass., Sez. 1^, 19 maggio 2006, n. 11844;

Cass., Sez. lav., 23 maggio 2008, n. 13373)”.

4. Le spese processuali del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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