Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11219 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. I, 07/05/2010, (ud. 03/06/2009, dep. 07/05/2010), n.11219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – rel. Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3315/2006 proposto da:

C.U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA

121, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi (avviso

postale Centro Direzionale G1 – 80143 Napoli), giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto n. 51590/04 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13.12.04, depositato il 25/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/06/2009 dal Consigliere Relatore Dott. ONOFRIO FITTIPALDI;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.

Libertino Alberto RUSSO che ha concluso visto l’art. 375 c.p.c., per

l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso per manifesta

fondatezza.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Visto il ricorso proposto il 17/1/06, da C.U., avverso il decreto del 25/1/2005 della Corte di Appello di Roma che ha solo parzialmente accolto il ricorso da lui avanzato, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, conseguente al mancato rispetto del termine ragionevole di durata di un procedimento di appello da lui introdotto, con ricorso del 11 novembre 1994, innanzi al giudice del lavoro, e definito con sentenza del 14 dicembre 1999, nonchè del successivo procedimento di determinazione del quantum introdotto con ricorso del 6 dicembre 2002 definito con sentenza del 25 marzo 2003;

rilevato come la Corte territoriale, esclusa ogni irragionevole durata del giudizio di “quantificazione”, abbia individuato un’irragionevole eccedenza di 3 anni della fase di appello, ed abbia liquidato in Euro 1.500,00 la misura dell’indennizzo, e in Euro 800,00 le spese;

rilevato come, la parte ricorrente, con i 5 motivi di gravame, lamenti, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, come, la Corte territoriale non abbia riconosciuto, al diritto alla ragionevole durata del processo, quel rango di “diritto fondamentale”, la cui violazione genera – ex se – il diritto al ristoro da liquidare secondo i parametri della Corte CEDU (compreso il “bonus” di Euro 2.000,00) e sulla base dell’intera durata del giudizio presupposto, ed, in ogni caso, abbia fissato in soli 3 anni il periodo di irragionevole durata del giudizio, nonchè illegittimamente abbia contenuto nell’insufficiente importo di Euro 1.500,00 l’indennizzo del “danno non patrimoniale”, liquidando in misura irrisoriamente illegittima le spese;

rilevato come l’Amministrazione non abbia depositato controricorso;

ritenuta l’inammissibilità del ricorso proposto in proprio dal difensore antistatario;

viste la richiesta del P.G. in data 15/09/06, di accoglimento del ricorso per quanto di ragione, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., attesa la sua manifesta fondatezza; ritenuta la accoglibilità della richiesta;

ritenuto, in particolare come, se abbia da ritenersi consolidata (per tutte: Cass. 8714/06) la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo la quale: “a) ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa, affidato al giudice del merito, sia sì segnato dal rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale, ma conservi egli un margine di salutazione che gli consente di discostarsi, dalle liquidazioni effettuate dalla Corte europea, in relazione alla particolarità delle fattispecie; b) la precettività, per il giudice nazionale, di tale indirizzo non concerna tuttavia anche il bonus di Euro 2.000,00, e neppure il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo e detta diversità di calcolo, peraltro, non tocchi la complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, e, dunque, non autorizzi dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione europea e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione medesima (art. 111 Cost., comma 2, nel testo fissato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), ragion per cui sfuggono a censura tutti i profili dell’impugnata decisione relativi all’avvenuta fissazione in 3 anni del periodo d’irragionevole durata del “giudizio presupposto”, nonchè alla mancata attribuzione del “bonus” ed alla correlazione dell’indennizzo al solo arco temporale di irragionevole durata del “giudizio presupposto”, risulti peraltro altrettanto vero come ogni scostamento dai parametri della Corte della CEDU debba risultare adeguatamente motivato, il che non appare di certo predicabile in ordine all’avvenuta individuazione del parametro di indennizzo di Euro 500,00 annui; ritenuto pertanto che – sotto tale profilo ed in tali limiti – il ricorso vada accolto (con assorbimento delle censure sollevate in ordine alla liquidazione delle spese) e che, conseguentemente, in tal senso l’impugnato decreto vada cassato, ma che, non rendendosi necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa possa essere decisa nel merito, e conseguentemente l’Amministrazione vada condannata all’indennizzo del “danno non patrimoniale” in una misura che si liquida – in ragione di 3 anni di irragionevole durata del procedimento – in Euro 2.250,00 (Euro 750,00 per anno), oltre interessi legali dalla domanda, nonchè alla refusione delle spese di giudizio che compensa per la metà per questa fase, atteso il solo parziale accoglimento del ricorso, e che si liquidano come da dispositivo, e che vanno distratte a favore del difensore avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario;

visto l’art. 375 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa l’impugnato decreto e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere, alla parte ricorrente, la somma di Euro 2.250,00 per indennizzo, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè le spese del giudizio che determina, per il giudizio di merito, in Euro 100,00 per esborsi, Euro 385,00 per diritti ed in Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, e che compensa per la metà per il giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione della residua metà, e che determina per l’intero in Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge; spese tutte che distrae in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 3 giugno 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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