Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11218 del 11/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 11/06/2020), n.11218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 16829/2015 vertente tra:

Comune di Orosei, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, via Sicilia 66, presso lo studio degli avvocati

Altieri Roberto e Cutarelli Daniela, che lo rappresentano e

difendono in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente principale –

e

M.R. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Verona 9, presso lo

studio dell’avv. Onofri Luigi, che la rappresenta e difende in

virtù di procura speciale in calce al controricorso con ricorso

incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 298/04/14 della CTR di Cagliari, depositata il

17/09/14;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere REGGIANI ELEONORA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

AUGUSTINIS UMBERTO, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e il rigetto di quello incidentale; udito l’avv.

CUTARELLI DANIELA per il ricorrente e l’avv. GIOIA ALESSANDRO per

delega dell’avv. ONOFRI LUIGI, per la controricorrente;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con cartella di pagamento n. 07420070018172330, notificata in data 20/02/08, il Comune di Orosei chiedeva in pagamento alla M.R. S.R.L. la somma complessiva di Euro 11.469,46 a titolo di Tassa Rifiuti Solidi Urbani (di seguito, TARSU) per l’anno 2006, riguardante un complesso alberghiero munito di ristorante, a seguito di iscrizione a ruolo per pagamento inferiore al dovuto.

Quest’ultima proponeva ricorso avverso la cartella notificata, lamentandone il difetto di motivazione e l’erronea determinazione dell’imposta, effettuata senza tenere conto dell’uso stagionale dei locali e differenziando, senza motivazione, la categoria degli esercizi alberghieri rispetto agli immobili ad uso abitativo.

Il Comune di Orosei si costituiva, contestando integralmente il ricorso avversario.

La CTP di Nuoro, escluso il difetto di motivazione della cartella, accoglieva comunque il ricorso, disapplicando la delibera comunale che, ai fini della determinazione della tariffa applicabile, aveva distinto i locali ad uso abitativo dai locali degli esercizi alberghieri, così discostandosi da quanto stabilito dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, lett. c), senza adeguata motivazione.

Il Comune di Orosei proponeva appello avverso tale decisione, deducendo la legittimità del regolamento adottato e la contribuente riproponeva le censure dedotte in primo grado, eccependo anche l’inammissibilità dell’appello per vizio di procura.

Con sentenza n. 298/04/14, depositata il 17/09/14, la CTR di Cagliari, rigettata l’eccezione pregiudiziale della contribuente, respingeva comunque l’appello, evidenziando che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 contiene delle indicazioni di massima, da cui il Comune può certamente discostarsi, ma solo in presenza di adeguati presupposti, congruamente motivati, soprattutto quando, come nel caso di specie, viene operata una differenziazione macroscopica tra le tariffe applicate alle civili abitazioni e gli esercizi alberghieri. Il rigetto dell’appello, come espressamente affermato dalla CTR, si fonda sulla disapplicazione della delibera comunale della giunta di Orosei, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, ritenuta illegittima dal giudice del gravame, sotto il duplice profilo della ingiustificata disparità di trattamento per l’elevata differenziazione tariffaria fra categorie ritenute omologhe dalla legge, nonchè per omessa motivazione di tale scostamento.

Avverso tale sentenza il Comune di Orosei ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. La contribuente si è difesa con controricorso, sollevando anche eccezioni pregiudiziali, ed ha formulato un motivo di ricorso incidentale condizionato.

Il Comune ha depositato memorie illustrative delle proprie difese, in applicazione dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993l, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR ritenuto che il Comune fosse tenuto a indicare le ragioni specifiche, in virtù delle quali aveva previsto, per gli alberghi, una tariffa di gran lunga superiore rispetto a quella prevista per le abitazioni. La differenziazione delle tariffe è infatti ritenuta una scelta discrezionale, rimessa dal D.Lgs. cit. ai Comuni, da compiere tenendo conto dei costi del servizio (e il vaglio d legittimità viene effettuato in base a tale valutazione), senza la necessità di indicare specificatamente, per ogni categoria, le ragioni della tariffa applicata, tanto più quando si tratta di alberghi (e, in particolare, di alberghi dotati di servizio di ristorazione), ove, in base ai dati comuni d’esperienza, la maggiore capacità produttiva di rifiuti, rispetto alle civili abitazioni, è insita nell’attività dagli stessi esercitata. E’ dunque contestata la ritenuta illegittimità del menzionato atto del comune, con riferimento ad entrambi i profili censurati dal giudice di merito, perchè, secondo il ricorrente, non sussiste alcun obbligo di motivazione e non è ravvisabile una disparità di trattamento ingiustificata.

Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR annullato in toto la cartella di pagamento impugnata, a seguito della disapplicazione della delibera comunale di determinazione delle tariffe TARSU per l’anno 2006, così ottenendo l’ingiusto risultato di esonerare la contribuente dal pagamento della tassa per quell’anno nonostante la fruizione del servizio, mentre invece, nel disapplicare tale atto, avrebbe dovuto dichiarare la reviviscenza della tariffa in precedenza vigente, come previsto dal citato D.Lgs., art. 69 per il caso di mancata approvazione di quella nuova.

Con il terzo motivo si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del principio comunitario “chi inquina paga”, sancito dall’art. 175 Trattato CE (ora art. 192 TFUE) e attuato dall’art. 15 Direttiva 2006/12/CE, per avere la CTR annullato in toto la cartella di pagamento impugnata e perciò, di fatto, esonerato la contribuente dal pagamento dell’imposta per l’anno 2006, nonostante avesse fruito del servizio di smaltimento dei rifiuti.

Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in ragione della presenza di affermazioni tra di loro inconciliabili, tali da rendere la motivazione incomprensibile, tenuto conto che, da una parte, si ritiene irrilevante il dato di esperienza secondo il quale gli alberghi producono un quantitativo di rifiuti maggiore rispetto alle civili abitazioni e, dall’altra, si afferma che comunque la tassa è di regola sempre più alta per gli alberghi perchè hanno un’estensione superiore a quella delle civili abitazioni.

2. Nel controricorso, la M.R. s.r.l. ha preliminarmente eccepito che il Comune, nell’impugnare la sentenza della CTR, non ha censurato l’esercizio, in sè, del potere ufficioso di disapplicazione, di cui si è avvalso il giudice di merito, ritenendo conseguentemente intervenuto il giudicato interno sul punto, che impedisce l’esame del ricorso principale nella sua interezza.

Dopo aver contestato gli specifici motivi di impugnazione avversari, in alcuni casi prospettando anche l’inammissibilità degli stessi, la società ha proposto ricorso incidentale condizionato, deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), l’omessa pronuncia sul dedotto vizio di carenza o insufficienza di motivazione della cartella di pagamento, in violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7.

La contribuente ha, in particolare, affermato di avere fatto valere tale vizio sin dal primo grado di giudizio, ove ha evidenziato la mancata indicazione in cartella delle ragioni di fatto e di diritto dell’imposizione, e, a seguito dell’esplicito rigetto della censura, di averla riproposta in appello, senza però ottenere alcuna statuizione su di essa.

3. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale, sollevata dalla contribuente, in ragione del dedotto giudicato interno, relativo all’esercizio del potere di disapplicazione da parte del giudice di merito.

Dal tenore dei motivi di impugnazione, sopra riportati, si evince con chiarezza che il Comune, ha dapprima contestato i presupposti per l’esercizio di tale potere, ritenendo la deliberazione comunale disapplicata del tutto legittima (primo motivo di ricorso), e poi, evidentemente in via gradata, ha contestato le modalità con cui la disapplicazione è stata operata, ritenendo che il giudice, una volta disapplicata tale delibera, avrebbe dovuto dare applicazione a quella previgente (secondo motivo di ricorso).

Nessun giudicato interno può pertanto ritenersi intervenuto.

4. Passando ad esaminare il primo motivo di ricorso principale, si deve prima di tutto valutare l’eccezione della contribuente, secondo la quale tale motivo è da ritenersi inammissibile per difetto di autosufficienza, per avere il Comune fatto valere indifferentemente la violazione e la falsa applicazione di legge, che invece costituiscono due profili diversi del motivo di impugnazione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Quest’ultimo avrebbe dovuto scegliere se prospettare la violazione o la falsa applicazione di legge, e non formulare la censura con riferimento ad entrambe, in questo modo lasciando al giudice il compito di ricostruire i presupposti giuridici e fattuali rilevanti.

L’eccezione è infondata.

Come di recente precisato da questa Corte (Cass., Sez. 1, n. 640 del 14/01/2019), le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, contenute nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della medesima norma, una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata. Il vizio di falsa applicazione di legge consiste, invece, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicono la pur corretta sua interpretazione (nello stesso senso, v. anche Sez. T, n. 23851 del 25/09/2019, Sez. 3, n. 18782 del 26/09/2005 e Sez. 2, n. 4698 del 25/05/1987).

In via generale, nell’enunciare il motivo d’impugnazione previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorrente deve indicare la norma interessata dalla censura, spiegando le ragioni in forza delle quali ritiene che vi sia stata la violazione o la falsa applicazione di legge. Proprio ai fini dell’autosufficienza del ricorso, egli è inoltre chiamato ad indicare, in maniera adeguata, la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo (così, da ultimo, Sez. 3, n. 14279 del 08/06/2017 e Sez. T, n. 11731 del 27/05/2011).

Nel caso di specie, il ricorrente ha chiaramente dedotto che il giudice di merito ha errato nel ritenere che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 richieda di esternare le ragioni specifiche, in forza delle quali viene prevista, per gli alberghi, una tariffa di gran lunga superiore rispetto a quella stabilita per le abitazioni, evidenziando che la differenziazione delle tariffe è una scelta discrezionale, rimessa dal D.Lgs. cit. ai Comuni, da compiere tenendo conto dei costi del servizio, senza la necessità di indicare specificatamente i motivi della differenziazione tra categorie, tanto più quando si tratta di alberghi (e, in particolare, di alberghi dotati di servizio di ristorazione), ove, in base ai dati comuni d’esperienza, la maggiore capacità produttiva di rifiuti, e dunque la ragionevole diversificazione, rispetto alle civili abitazioni, è insita nell’attività dagli stessi esercitata.

In altre parole, se da una parte la sentenza impugnata ha ritenuto che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68 consente all’ente impositore di differenziare le tariffe rispetto alle categorie in esso indicate come omogenee, purchè vi sia adeguata motivazione di tale scelta, tanto più nei casi in cui vi sia un divario notevole tra le tariffe, come nella specie avviene tra le abitazioni civili e gli alberghi, manifestandosi altrimenti una ingiustificata disparità di trattamento, da un’altra parte, il ricorrente ha allegato che l’art. cit. non impone, in via generale, tale obbligo di motivazione, neppure nelle ipotesi riconducibili a quella esaminata, ove la maggior produzione di rifiuti da parte degli alberghi rispetto alle civili abitazioni è da ritenersi insita nell’attività svolta.

E’ pertanto chiaro che il motivo di impugnazione si presenta strutturato su due profili, riconducibili all’erronea interpretazione dell’articolo menzionato, nella parte in cui il giudice di merito ha ritenuto la necessità di motivare la differenziazione della tariffa riferita alla categoria degli alberghi rispetto a quella prevista per le civili abitazioni, e all’erronea applicazione dello stesso articolo, nella parte in cui ha ritenuto sussistere una ingiustificata disparità di trattamento nella differenziazione della tariffa tra alberghi e civili abitazioni.

L’eccezione deve pertanto essere respinta.

5. Il primo motivo di ricorso principale risulta invece fondato.

Prima di illustrare le ragioni della decisione occorre richiamare brevemente la disciplina che regola la commisurazione della tassa in questione.

Com’è noto, la fonte di determinazione della TARSU è costituita dalla legge, quanto ai presupposti e ai soggetti (D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 63), e dai regolamenti e delibere comunali, quanto alle classificazioni, alle categorie e alle tariffe (artt. 65, 66, 68 e 69 D.Lgs. cit.).

In particolare, il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, comma 2, fissa dei criteri tassativi per la determinazione del tributo, prevedendo che la TARSU debba essere corrisposta in base a tariffe – determinate dai Comuni per ogni categoria (o sottocategoria) omogenea di utenti – risultanti dalla moltiplicazione del costo di smaltimento per unità di superficie imponibile accertata per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa dei rifiuti.

Prima di tutto, dunque, ai sensi del citato D.Lgs., art. 68, comma 1, i Comuni devono provvedere, con apposito regolamento, alla classificazione delle categorie (ed eventuali sottocategorie) di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti, tassabili con la medesima misura tariffaria.

In applicazione del citato D.Lgs., art. 68, comma 2, l’articolazione di tali categorie deve essere effettuata tenendo conto “in via di massima” dei gruppi di attività o di utilizzazione indicati dallo stesso articolo, tra cui, alla lett. c), sono compresi, come appartenenti allo stesso gruppo, “i locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri”.

Poi, come previsto dall’art. 65 e in attuazione del successivo citato D.Lgs., art. 69, i Comuni deliberano ogni anno le tariffe da applicare, in base alla classificazione e agli altri criteri di graduazione contenuti nel regolamento, precisando al comma 2 che “Ai fini del controllo di legittimità, la deliberazione deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica, nonchè i dati e le circostanze che hanno determinato l’aumento per la copertura minima obbligatoria del costo”.

5.1. Si deve subito precisare che, come più volte affermato dal questa Corte, la disposizione appena riportata, che richiede di indicare nella delibera di determinazione delle tariffe alcuni elementi di riscontro, non va riferita alla differenza tra le tariffe di ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio, discriminati in base alla loro classificazione economica, e cioè alla relazione tra tariffe e costi all’interno di ogni categoria (v. ancora Cass., Sez. T, n. 8308 del 04/04/2018; Cass., Sez. 6-T, n. 24072 del 24/11/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22248 del 03/11/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22116 del 31/10/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22115 del 31/10/2016; Cass., Sez. T, n. 16175 del 03/08/2016; Cass., Sez. T, n. 14758 del 15/07/2015; v. già Cass., Sez. T, n. 302 del 12/01/2010 e Sez. T, n. 5722 del 12/03/2007).

A tali conclusioni conduce, non solo l’inequivoco tenore letterale della norma, ma anche la correlazione esistente tra la stessa e il precedente citato D.Lgs., art. 65, comma 2, dal quale si evince la stretta dipendenza tra determinazione della tariffa e costi di smalti mento.

5.2. Nel caso di specie, la materia del contendere si incentra invece tutta sul fatto che, con la Delib. n. 49 del 2006, il Comune ha applicato una tariffa molto più alta di quella prevista per le abitazioni civili, così derogando al criterio di massima stabilito dal menzionato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, lett. c), che accomuna le due tipologie di locali, senza alcuna particolare motivazione.

La critica non attiene dunque ad una ingiusta relazione tra tariffa e costi del servizio, riferita ai servizi alberghieri, ma all’operata differenziazione, ai fini della determinazione della tariffa, tra civili abitazioni e alberghi, in contrasto con le indicazioni di massima contenute nel citato D.Lgs., art. 68, comma 2.

5.3. Tuttavia, questa Corte ha più volte, e condivisibilmente, affermato che deve ritenersi legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime, tenuto conto che la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, (in tal senso, v. da ultimo Cass., Sez. T, n. 8308 del 94/04/2018; Cass., Sez. 6-T, n. 24072 del 24/11/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22248 del 03/11/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22116 del 31/10/2016; Cass., Sez. 6-T, n. 22115 del 31/10/2016; Cass., Sez. T, n. 16175 del 03/08/2016; Cass., Sez. T, n. 14758 del 15/07/2015; v. già Cass., Sez. T, n. 302 del 12/01/2010 e Sez. T, n. 5722 del 12/03/2007; cfr. Cass., Sez. 6-T, n. 33545 del 18/12/2019, con riferimento alla ritenuta legittima delibera comunale che assoggetta le carceri a una tariffa superiore a quella prevista per le civili abitazioni, in quanto suscettibili di essere assimilate agli esercizi alberghieri).

La differenziazione della tariffa degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, operata dai Comuni, è peraltro stata considerata legittima da questa Corte;

anche alla luce della conformità al principio unionale “chi inquina paga”, espresso dall’art. 15 della direttiva 2006/12/CE e dall’art. 14 della direttiva 2008/98/CE, che, nell’osservanza del principio di proporzionalità, consentono al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti (Cass., Sez. T, n. 15041 del 16/06/2017).

Si deve inoltre precisare che, nell’adottare tali statuizioni, contrariamente a quanto dedotto dalla contribuente, la Corte non ha valutato il mancato uso del fatto notorio nella valutazione delle prove, tipico accertamento in fatto, ma ha verificato la correttezza della differenziazione tariffaria operata dal Comune, ritenuta legittima, in base alla notoria maggiore produzione di rifiuti da parte degli alberghi rispetto alle civili abitazioni.

5.4. Nè può ritenersi che tale differenziazione possa essere effettuata a condizione che il Comune motivi con precisione le ragioni della stessa e, in particolare, dello scostamento dalla classificazione operata dal legislatore al citato D.Lgs., art. 68, comma 2.

Come sopra evidenziato, tale norma prevede che l’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie sia effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, solo “in via di massima”, dei gruppi di attività o di utilizzazione ivi riportati, senza prevedere alcun particolare obbligo di motivazione, nel caso in cui il Comune ritenga di non seguire tale indicazione.

In base alle regole generali, si deve pertanto considerare che la motivazione dei provvedimenti amministrativi, richiesta dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, a cui rinvia la L. n. 212 del 2000, art. 7, non riguarda gli atti normativi e quelli di carattere generale, che il successivo comma 3 esenta dall’obbligo di motivazione.

Come peraltro già affermato da questa Corte, non è dunque configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale che classifichi diversamente abitazioni civili e alberghi, ai fini della determinazione delle tariffe da applicare, poichè quest’atto, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (così Cass., Sez. T, n. 8077 del 03/04/2018; Cass., Sez. T, n. 8308 del 94/04/2018; Cass., Sez. T, n. 22521 del 27/09/2017; Sez. T, n. 7044 del 26/03/2014; Cass., Sez. T, n. 22804 del 23/10/2006).

5.5. Si deve solo precisare che non assume rilievo, in senso contrario a quanto appena affermato, il disposto dal citato D.Lgs., art. 69, comma 2, sopra riportato, che attiene, non alla diversa classificazione dei locali, ma alla determinazione della tariffa, tenuto conto che, come già evidenziato, tale disposizione riguarda la determinazione della tariffa applicabile a ciascuna delle diverse categorie, e non la formazione delle diverse categorie a cui applicare le diverse tariffe, e attiene alla necessità di esternare gli elementi di riscontro che hanno portato alla determinazione di quella tariffa in rapporto ai costi del servizio (v. supra).

5.6. Ovviamente, una spropositata differenza tra la tariffa applicata agli alberghi e quella stabilita per le civili abitazioni può essere espressione di una spropositata disparità di trattamento, che renderebbe l’atto di determinazione delle tariffe illegittimo per eccesso di potere, ove tale diversificazione non fosse giustificata dalla differenza dei costi del servizio tra le due categorie.

Ma tale aspetto non è stato dedotto e non sono stati prospettati elementi concreti perchè possa essere valutato.

La contribuente ha semplicemente allegato che, in attuazione della determinazione tariffaria effettuata, la tassa pagata dagli alberghi è quasi tre volte quella prevista per le abitazioni, ma non vi è la prova che tale diversificazione sia ingiustificata.

La circostanza che la differenza si riveli di una certa consistenza percentuale non è, infatti, sintomatica di illogicità valutativa, poichè si tratta di un giudizio relativo, che per essere monitorato andrebbe confrontato con le tariffe stabilite per le altre categorie di beni mediante l’introduzione di un principio di prova in ordine alla irragionevolezza del metro valutativo e applicativo della tariffe medesime poste a confronto.

5.7. In conclusione, deve essere accolto il primo motivo di ricorso principale.

La classificazione dei locali, effettuata dai Comuni ai fini dell’applicazione della TARSU, che si discosti da quella operata, in via di massima, dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, comma 2, non richiede alcuna motivazione, trattandosi di atto sottratto all’obbligo previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 3.

Inoltre, la previsione nelle delibere comunali di tariffe molto più alte per gli alberghi rispetto a quelle stabilite per le civili abitazioni non costituisce di per sè ingiustificata disparità di trattamento, tenuto conto della notoria maggiore capacità di produrre rifiuti degli alberghi rispetto alle civili abitazioni, potendo ritenersi sussistente tale vizio solo qualora risulti che la differenza non sia giustificata dalla relazione tra tariffa e costi del servizio all’interno di ciascuna categoria.

6. L’accoglimento del primo motivo rende superflua ogni statuizione sugli ulteriori motivi di ricorso principale, da ritenersi assorbiti.

7. Deve invece essere esaminato il motivo di ricorso incidentale condizionato, dedotto dalla contribuente.

Tale motivo è inammissibile.

Come sopra evidenziato, la M.R. s.r.l. ha dedotto di avere prospettato il vizio di motivazione della cartella di pagamento già nel primo grado di giudizio, aggiungendo che la CTP ha rigettato tale censura, poi riproposta nel giudizio di secondo grado, ove la CTR ha però omesso ogni statuizione sul punto.

La parte ha allegato di avere solo riproposto tale censura, conformemente a quanto risulta dal testo della costituzione in grado di appello di quest’ultima, riportato nel controricorso (“La Società, nel costituirsi in giudizio, ribadiva la eccezione di nullità della cartella per difetto di motivazione, deducendo quanto segue…” (p. 31-34), senza neppure dedurre di avere proposto appello incidentale contro la decisione espressa di rigetto.

Com’è noto, nel processo tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento, come il corrispondente art. 346 c.p.c., all’appellato, in quanto l’onere dell’espressa riproposizione riguarda, nonostante l’impiego della generica espressione “non accolte”, non le domande o le eccezioni respinte in primo grado, bensì solo quelle su cui il giudice non abbia espressamente pronunciato (ad esempio, perchè ritenute assorbite), non essendo ipotizzabile, in relazione alle domande o eccezioni espressamente respinte, la terza via – riproposizione/rinuncia rappresentata dal detto D.Lgs., art. 56 e art. 346 c.p.c., rispetto all’unica alternativa possibile dell’impugnazione – principale o incidentale – o dell’acquiescenza, totale o parziale, con relativa formazione di giudicato interno (così da ultimo Cass., Sez. T, n. 14534 del 06/06/2018-e Cass., Sez. T, n. 7702 del 27/03/2013).

Nel caso di specie, in mancanza dell’impugnazione in appello dello specifico capo che ha rigetto la censura relativa alla dedotta mancanza di motivazione della cartella di pagamento, deve ritenersi intervenuto giudicato interno sul punto e la conseguenze inammissibilità della riproposizione di tale censura quale motivo di ricorso per cassazione.

Il motivo è comunque infondato.

Com’è noto, in tema di TARSU, il D.Lgs. n. 507 del 1993, all’art. 70 pone a carico del contribuente l’obbligo di presentare una denuncia unica, riguardante i locali e le aree tassabili, nonchè, in generale, le condizioni di tassabilità (denuncia originaria od integrativa), che deve essere effettuata anche nel caso in cui si verifichino dei cambiamenti (denuncia di variazione).

Il rapporto tributario è dunque connesso ad una dichiarazione ultrattiva del contribuente, che ha efficacia fino ad una successiva denuncia di variazione ovvero ad un accertamento dell’ente (vedi Cass., Sez. T, n. 20646 del 01/10/2007).

Il Comune può infatti procedere alla notifica di atti di accertamento, qualora il contribuente non presenti la menzionata denuncia, oppure quando quest’ultima risulti incompleta o infedele.

Tuttavia, ai sensi del citato D.Lgs., art. 72, comma 1, l’importo del tributo (con addizionali, accessori e sanzioni), liquidato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, delle denunce presentate o degli accertamenti notificati, deve essere iscritto in ruoli principali ovvero, con scadenze successive, nei ruoli suppletivi, da formare e consegnare al concessionario della riscossione.

Ciò significa che, quando l’importo del tributo e delle altre voci sopra indicate viene determinato sulla base dei ruoli dell’anno precedente, o in forza di denunce presentate (anche in variazione), e non contestate, ovvero a seguito di accertamenti già notificati, il Comune, ove la tassa sia in tutto o in parte non pagata, può subito procedere alla liquidazione e alla riscossione mediante ruolo.

Questa Corte ha più volte affermato che il citato D.Lgs., art. 72, comma 1, attribuisce ai Comuni una facoltà eccezionale, non suscettibile di applicazioni estensive, di procedere direttamente alla liquidazione della tassa e alla conseguente iscrizione a ruolo sulla base dei ruoli dell’anno precedente, senza che sia preventivamente notificato l’atto di accertamento, purchè in forza di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione, salvi i casi di omessa denuncia o infedele dichiarazione del contribuente (così Cass., Sez. T, n. 22248 del 30/10/2015 e Cass., Sez. T, n. 19120 del 28/09/2016; su requisiti dell’atto di accertamento in rettifica, v. da ultimo Cass. Sez. T, n. 20620 del 31/07/2019 e Cass., Sez. 6-T, n. 22470 del 09/09/2019).

In tali ipotesi, in applicazione della norma speciale sopra menzionata, ai fini della legittimità della cartella, deve ritenersi sufficiente la presenza dei requisiti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25. Nè potrebbe essere diversamente, tenuto conto che la tassa, in mancanza di diversa allegazione e prova, è da ritenersi determinata sulla base di dati già noti al contribuente, perchè da lui denunciati o comunque già applicati nell’anno precedente, anche a seguito di accertamento, e adattati alle nuove tariffe, determinate con atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), che si presumono da quest’ultimo conosciute, o almeno conoscibili, in quanto soggetti a pubblicità legale (cfr., con riferimento ad un altro tributo, Cass., Sez. T, n. 30052 del 21/11/2018).

Nel caso di specie è incontestato che la cartella non sia stata preceduta da alcun avviso di accertamento per l’anno in questione, ma la contribuente non ha neppure allegato che gli importi sono stati richiesti a seguito di un’attività di accertamento relativa a quell’anno. Anzi, da quanto si legge negli atti riportati nel controricorso, si evince che il contenzioso è sorto quando, alcuni anni prima, il Comune aveva notificato alla contribuente un avviso di accertamento, riguardante la superficie tassabile.

8. In conclusione, deve essere accolto il primo motivo di ricorso principale e, dichiarati assorbiti gli altri, deve essere rigettato il ricorso incidentale condizionato e cassata la sentenza impugnata, nei limiti del motivo accolto.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, può procedersi alla decisione della causa nel merito, con il rigetto del ricorso originario proposto dalla contribuente.

9. Le spese dei giudizi di primo e di secondo grado devono essere compensate in considerazione della peculiarità della materia del contendere.

La statuizione sulle spese di lite segue invece la soccombenza nel presente giudizio di legittimità.

Pertanto la M.R. s.r.l. deve essere condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal Comune di Orosei, liquidate in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

– accoglie il primo motivo di ricorso principale e, assorbiti gli altri motivi, rigettato il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente;

– compensa le spese di lite dei gradi di merito;

– condanna la M.R. s.r.l. alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità, sostenute dal Comune di Orosei, che liquida in Euro 3.000,00 per compenso, oltre rimborso forfettario e accessori di legge;

– dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002l, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, se dovuto.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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