Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11215 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/05/2017, (ud. 30/01/2017, dep.09/05/2017),  n. 11215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23766/2014 proposto da:

O.D., difeso da sè medesimo ed elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO TRIESTE 173, presso lo studio dell’avvocato TEODORA

MARCHESE, che lo rappresenta a difende per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BUTANGAS S.P.A., in persona del Vice Direttore Generale

T.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEI COLLI PORTUENSI

536, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA LUISA REVELLI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCA LUISA REVELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A seguito dell’introduzione del giudizio di merito all’esito di procedimento ex art. 700 c.p.c., il Tribunale di Sanremo, con sentenza n. 98/2009, dichiarò inammissibile sia la domanda proposta da O.D. contro Butangas S.p.A. – avente ad oggetto l’interpretazione delle condizioni contrattuali di cui al contratto di somministrazione di GPL intercorso tra le parti dal (OMISSIS), con particolare riferimento alle modalità di adeguamento del corrispettivo unitario -, sia la domanda riconvenzionale avanzata dalla Butangas S.p.A. contro l’ O..

2. – Avverso tale decisione proponeva gravame O.D., che la Corte di appello di Genova, nel contraddittorio con la Butangas S.p.A., rigettava con sentenza resa pubblica il 5 maggio 2014.

2.1. – La Corte territoriale osservava che, rispetto alle conclusioni rassegnate dall’attore con l’atto di citazione (“…accertare le corrette modalità applicative delle condizioni contrattuale contenute nel contratto di somministrazione di combustibile intercorso tra le parti il (OMISSIS), con particolare riferimento alle modalità di adeguamento del corrispettivo unitario…”), si palesava corretta la statuizione del Tribunale di inammissibilità della domanda per difetto di interesse ad agire, non avendo l’ O. chiesto l’accertamento “dell’esistenza del diritto nella specie fatto valere quale cliente-consumatore” come riconosciutogli, segnatamente, dalla clausola E) 12 del contratto inter partes, sulle variazioni che la società somministratrice poteva apportare “al corrispettivo unitario del bene fornito” e, dunque, avendo mancato l’attore di ancorare la richiesta interpretazione della disciplina contrattuale ad un suo diritto attualmente pregiudicato.

2.2. – Il giudice di appello riteneva, poi, nuova, e quindi inammissibile, la domanda proposta in sede di gravame, che si discostava da quella proposta in primo grado, avendo l’ O. chiesto “di accertare la sussistenza del suo interesse ad agire e di constatare così, con particolare riferimento ai modi e ai criteri di adeguamento del corrispettivo unitario, il corretto adempimento da parte sua del contratto stipulato nel (OMISSIS) (e la conseguente legittimità del suo rifiuto di adeguarsi alle variazioni di prezzo nella misura ex adverso impostagli, giacchè non conforme alla disciplina negoziale alla quale aveva a suo tempo aderito)”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre O.D. sulla base di cinque motivi (preceduti da una articolata premessa), illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Butan Gas S.p.A..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 100 c.p.c., sull’interesse ad agire, assumendosi la sufficienza, a tal fine, della pretesa di “corretta interpretazione di una clausola controversa tra le parti ed oggetto di contestato inadempimento”.

1.1. – Il motivo è (manifestamente) infondato.

Quanto con esso postulato – ossia la mera sufficienza di una richiesta giudiziale di quale sia la corretta interpretazione di una clausola contrattuale (non potendo, peraltro, la memoria ex art. 378 c.p.c., introdurre una prospettazione diversa da quella assunta con il ricorso) – urta, infatti, con le coordinate giuridiche (entro le quali si inscrive armonicamente la decisione della Corte di appello) che segnano l’ambito in cui è dato ravvisare l’interesse ad agire, quale possibilità di ottenere, con il giudizio, un concreto risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, giacchè il processo non può essere attivato soltanto in previsione dei possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte (tra le tante, Cass., 23 dicembre 2009, n. 27151; Cass., 28 giugno 2010, n. 15355; Cass., 27 gennaio 2011, n. 2051; Cass., 4 maggio 2012, n. 6749).

In tale prospettiva si colloca, del resto, il precedente richiamato (dunque, impropriamente) dal ricorrente, che – sul presupposto per cui la tutela giurisdizionale è tutela di diritti e, quindi, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè, per gli effetti possibili e futuri – ha affermato l’inammissibilità di questioni di interpretazioni di norme o di atti contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto (Cass., sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27187).

2. – Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “conclusioni delle parti – riformulazione in grado d’appello in ragione dei motivi della decisione di 1^ grado e della domanda introdotta dal convenuto – ammissibilità”.

Il ricorrente assume che, in forza degli “elementi emersi dalla sentenza impugnata e dalle argomentazioni proposte dal convenuto e fatte proprie dal Giudice di prima istanza”, sarebbe possibile “arricchire le conclusioni in grado di appello”, là dove, peraltro, non vi sarebbe stato alcun effettivo scostamento tra le conclusioni rese in sede di impugnazione (ossia: “…accertata la sussistenza dell’interesse ad agire da parte dell’attore, previa conferma del provvedimento cautelare adottato il 15/07/05 per garantire la fornitura all’attore stesso del combustibile domestico, determinate le modalità operative della clausola contrattuale E)12 contenuta nel contratto di somministrazione di combustibile intercorso tra le parti il (OMISSIS) e tutt’oggi vigente, con particolare riferimento ai modi ed ai criteri di adeguamento del corrispettivo unitario, constatare il corretto adempimento contrattuale dell’attore appellante”) e quelle rassegnate in primo grado, da individuarsi nelle conclusioni precisate all’apposita udienza (ossia: “…previa conferma del provvedimento cautelare adottato per garantire la fornitura all’attore del combustibile domestico, accertare la corretta interpretazione e le conseguenti corrette modalità applicative delle condizioni contrattuale contenute nel contratto di somministrazione di combustibile intercorso tra le parti il (OMISSIS), con particolare riferimento alle modalità di adeguamento del corrispettivo unitario”), avendo la Corte di appello erroneamente fatto riferimento alle conclusioni indicate nell’atto di citazione.

2.1. – Il motivo è in parte (manifestamente) infondato e in parte inammissibile.

2.1.1. – E’ (manifestamente) infondato là dove con esso si assume una sorta di “arricchimento” della domanda in sede di gravame alla luce degli esiti del giudizio di primo grado, giacchè la domanda sulla quale il giudice è tenuto a pronunciare (art. 112 c.p.c.) è soltanto quella – nei suoi elementi costitutivi di un petitum (mediato ed immediato) sorretto da una causa petendi – ritualmente introdotta con l’atto di citazione e (semmai) precisata (o modificata con la memoria ex art. 183 c.p.c., alla luce del principio enunciato da Cass., sez. un., 15 giugno 2015, n. 12310), conseguendone, per l’appunto, il divieto di introdurre in grado di appello domande “nuove” (art. 345 c.p.c., comma 1), ossia domande che non siano state già (ritualmente) proposte nel primo giudizio, senza possibilità (salvo quanto fatto palese dello stesso art. 345 c.p.c., comma 1, u.p.) di prospettarne di diverse.

2.1.2. – E’ inammissibile là dove si assume che la Corte di appello abbia errato a considerare la domanda indicata nell’atto di citazione e non già precisata in sede di conclusioni di primo grado, mancando il ricorrente sia di indicare puntualmente quale fosse la portata della domanda originariamente proposta, sia di localizzare processualmente (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) quella stessa resa all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Con l’ulteriore precisazione per cui, in ogni caso, la domanda originaria (riportata nella sentenza impugnata: cfr. anche sintesi in “Fatti di causa”) e quella che l’ O. assume precisata all’esito del giudizio di primo grado (innanzi trascritta) non si discostano affatto, se non per elementi marginali e inessenziali, mentre risulta sensibile la divergenza rispetto alle conclusioni veicolate in sede di gravame, che, a tacer d’altro, richiedono l’accertamento sul corretto adempimento del contratto da parte dello stesso O..

3. – Con il terzo mezzo è si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “conclusioni delle parti – riformulazione in grado di appello – introduzione di domanda nuova non esclude l’obbligo di delibazione delle ulteriori domande”.

Il ricorrente sostiene che, seppure fosse stata introdotta una domanda nuova in appello, il giudice di secondo grado avrebbe comunque dovuto “affrontare le residue tematiche già oggetto del precedente giudizio”, che muoveva da un ricorso d’urgenza e postulava come indispensabile la corretta interpretazione della clausola contrattuale, anche a fronte del dedotto inadempimento del consumatore.

3.1. – Il motivo è (manifestamente) infondato.

Premessa l’ovvia considerazione che il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., a pronunciarsi sulle domande (ed eccezioni) delle parti e non su “tematiche” comunque veicolate nel processo (in tale prospettiva, cfr. anche Cass., 22 dicembre 1986, n. 7849), una volta che la Corte territoriale ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale sull’unica domanda proposta dall’attore e avendo essa stessa reputato nuova, e quindi inammissibile, la domanda prospettata con l’atto di appello, il thema decidendum si era ormai esaurito e non vi era da affrontare e statuire su alcuna altra domanda.

4. – Con il quarto mezzo è censurata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “mancata delibazione della domanda di merito – nullità di clausola di adeguamento del prezzo in contratto di somministrazione demandato alla arbitraria decisione del contraente professionale in danno del consumatore – interpretazione della clausola in favore del consumatore”.

5. – Con il quinto mezzo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “mancata delibazione della domanda di merito – nel contratto di somministrazione a prezzo variabile lo sconto applicato sul prezzo base deve intendersi salvo diversa espressa pattuizione di natura percentuale – interpretazione della clausola in favore del consumatore”.

6. – Il quarto e quinto motivo – che attengono alla mancata delibazione della “domanda di merito” – sono inammissibili in conseguenza dell’esito sfavorevole dello scrutinio dei motivi che li precedono, che ha ormai precluso ogni esame “nel merito” della controversia.

7. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in conformità ai parametri introdotti dal D.M. n. 55 del 2014.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, che liquida in Euro 7.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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