Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11214 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. III, 09/05/2017, (ud. 30/01/2017, dep.09/05/2017),  n. 11214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23739/2014 proposto da:

BUSINESS PROMOTER S.R.L., in persona del Presidente sig.

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LORENZO MAGALOTTI 15,

presso lo studio dell’avvocato BARBARA MIOLI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LUIGI NIZZA, giusta procura speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AUTRONIK S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

sig. MO.AN., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato GIANDOMENICO RIGGIO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUALTIERO COSTA

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 347/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/01/2017 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato BARBARA MIOLI;

udito l’Avvocato GIANDOMENICO RIGGIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il 5 settembre 2008 la Autronik s.r.l. emise nei confronti della Business Promoter s.r.l. – società, entrambe, operanti nel settore della telefonia in qualità di agenti Telecom e la Autronik avvalendosi dei “venditori” C.A., M.D., S.C. e Mi.Ma. – la fattura n. (OMISSIS) per la causale “acconto consulenze commerciali” e tra le stesse parti venne concluso “accordo commerciale” del seguente tenore: “la ditta Autronik autorizza ad assumere i seguenti venditori C.A., M.D., S.C. e Mi.Ma.. Per tale accordo vengono versati Euro 10.000,00 + Iva già fatturati ai quali saranno aggiunti altri Euro 10.000,00 + Iva a condizione che i predetti stiano lavorando per la ditta Business Promoter alla data del 30 novembre 2008. Per ogni singolo venditore che non rispetti questa condizione verranno decurtati Euro 2.500,00”.

Sulla base della predetta fattura la Autronik s.r.l., sostenendo che l’importo da essa recato non fosse stato pagato, ottenne decreto ingiuntivo per la somma di Euro 12.000,00, avverso il quale propose opposizione la Business Promoter s.r.l., deducendo l’inefficacia, la nullità e l’annullabilità del predetto accordo commerciale.

L’adito Tribunale di Torino, con sentenza del febbraio 2012, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, ritenendo l’accordo commerciale inter partes sia nullo per indeterminatezza dell’oggetto, sia inefficace per mancanza di prova dell’avveramento della “condizione” e del “termine sospensivo” circa l’esistenza, alla data del 30 novembre 2008, di un valido rapporto lavorativo tra i quattro anzidetti “venditori” e la Business Promoter s.r.l..

2. – Avverso tale decisione interponeva gravame l’Autronik s.r.l., che la Corte di appello di Torino, nel contraddittorio con la Business Promoter s.r.l., accoglieva con sentenza resa pubblica il 19 febbraio 2014, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo e condannando la società opponente a restituire all’opposta le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado.

2.1. – La Corte territoriale evidenziava che, dal tenore della scrittura intervenuta tra le parti, si evinceva, anzitutto, che questa era successiva alla fattura ed era volta a chiarire “il precedente accordo orale, che non risultava, in maniera precisa e completa, dalla sola fattura”; inoltre, dal combinato tenore di fattura e scrittura, emergeva chiaramente la volontà delle parti nel senso che l’importo di Euro 10.000, oltre iva, “si riferiva ad un’attività che i “venditori” avrebbero cessato di svolgere per Autronik, e di cui Business Promoter si sarebbe avvalsa”, ciò trovando conforto sia nei contratti (di procacciamento di affari o collaborazione, con patto di non concorrenza e preavviso) conclusi da Autronik con i quattro venditori, sia nei moduli di proposta di abbonamento TIM che riportavano i nomi e i codici del M. e della S. negli spazi destinati all’indicazione del “Funzionario di vendita” e del codice agente, sia nei contatti intercorsi tra la Business Promoter e il Centro per l’impiego per la stipula di contratti a progetto con i suddetti venditori.

2.2. – Il giudice di appello osservava, quindi, che, in base ad una interpretazione secondo buona fede, “rispettosa della volontà che traspare dai citati documenti e dalla condotta tenuta successivamente al contratto”, tenuto conto anche della qualità delle parti negoziali (imprenditori esperti del settore della telefonia, consapevoli della differenza tra agenti, procacciatori di affari e “venditori”), le due società si erano “limitate a concordare in Euro 10.000,00, oltre iva, la sola immediata perdita della collaborazione dei n. 4 “venditori”, che rappresentava sicuramente una risorsa per Autronik, perchè le procurava contratti”, potendo così Business Promoter operare “immediatamente con i 4 venditori”, esperti nella telefonia mobile TIM, “senza il timore di ostacoli da parte di Autronik”, essendo stata liberamente valutata “la perdita, con il corrispondente vantaggio”, in Euro 2.500,00 per ciascun venditore.

2.3. – La Corte territoriale soggiungeva, poi, che l’accordo prevedeva altresì l’obbligo di Business Promoter di pagare ulteriori Euro 10.000,00, oltre iva, “e solo tale obbligo venne sottoposto alla condizione sospensiva dell’esistenza del rapporto con i 4 venditori alla data del 30.11.2008”, là dove, quindi, l’importo recato dal decreto ingiuntivo non riguardava tale ulteriore obbligazione.

2.4. – Del resto, osservava ancora il giudice di secondo grado sulla scorta dei “documenti contrattuali” e della attività svolta dalla due società, l’Autronik s.r.l. non era interessata “a procurare lavoro ai quattro venditori e/o la concorrente, e la “genericità” del testo sul rapporto tra i 4 venditori e la Business Promoter, sottolineata dal Tribunale, (era) una conseguenza del disinteresse degli imprenditori verso la forma negoziale che avrebbe dato origine al rapporto di collaborazione tra i 4 venditori e Business Promoter”.

2.5. – La Corte di appello, pertanto, riteneva l’oggetto del contratto determinato, senza necessità, dunque, di ammettere le prove richieste dall’appellante e, di conseguenza, escludendo di dover esaminare “le prove dedotte dall’appellata, in quanto richieste per il solo caso di rimessione in istruttoria”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Business Promoter s.r.l. sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la Autronik s.r.l..

Il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed errata applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg..

La Corte territoriale, nell’interpretare l’accordo commerciale inter partes – oltre ad essere incorsa in numerose incongruenze (sulla precedenza della fattura alla formalizzazione dell’accordo; sul supposto chiarimento ad opera della fattura del precedente accordo verbale; sulla mancanza di rinuncia al mandato Telecom da parte di Autronik; sulla esclusa necessità di ammettere le prove offerte dall’appellante) avrebbe fatto, in ogni caso, erronea applicazione dei criteri di esegesi contrattuale, accorpando l’interpretazione di buona fede a quella testuale e mancando di operare quella necessaria graduazione, che impone di considerare dapprima i criteri soggettivi e poi quelli oggettivi.

2. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione.

La Corte di appello avrebbe omesso di considerare il fatto decisivo della mancanza “di qualsivoglia vincolo di stabilità e continuità” delle prestazioni che legavano i quattro venditori alla Autronik s.r.l., tale da giustificare l’autorizzazione all’assunzione di essi da parte di Business Promoter s.r.l., nonchè “l’assenza di una determinata area territoriale in cui operare”, come provato documentalmente dal mandato Telecom all’art. 2, punto 3, con conseguente possibilità per gli agenti Telecom di operare su tutto il territorio nazionale.

Il giudice di secondo grado avrebbe poi incongruamente valutato, in base alla documentazione in atti, le professionalità dei quattro venditori, altresì trascurando il fatto della mancata collaborazione di questi ultimi con Business Promoter (che non ebbe mai modo di assumerli), nonostante avesse ritenuto possibile, in base all’accordo, “operare immediatamente” con essi, nè potendosi trarre contrari elementi valutativi dalla fattura emessa dalla stessa Autronik, sempre contestata dall’opponente.

Infine, la Corte territoriale avrebbe “frettolosamente” respinto, perchè non provata, l’eccezione di annullabilità del contratto per dolo o errore, nonostante essa società appellata avesse riproposto in sede di gravame le istanze istruttorie idonee a fornire dimostrazione dei fatti a fondamento dell’eccezione.

3. – I motivi – che possono essere congiuntamente scrutinati non possono trovare accoglimento.

3.1. – Come emerge dalla stessa sintesi delle ragioni della decisione assunta dalla Corte territoriale (cfr. p.p. da 2.1. a 2.4. dei “Fatti di causa”, che precedono; pp. 10, 12/14 della sentenza impugnata), non è apprezzabile alcuna violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, giacchè il giudice di appello ha, ampiamente, motivato, in primo luogo, sul tenore dei patti scritti e della condotta complessiva delle parti negoziali (precedente e successiva all’accordo commerciale raggiunto), indagando, dunque, sulla intenzione comune dei contraenti in forza delle regole imposte dagli artt. 1362 e 1363 c.c., per poi utilizzare, in un contesto non del tutto risolto circa detta intenzione, anche il criterio della esegesi secondo buona fede, di cui all’art. 1366 c.c., che, sebbene da includersi tra quelli di tipo oggettivo-integrativo, costituisce, comunque, per il suo coonestarsi con il dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. (operante in ogni fase del contratto e, quindi, anche in quella della sua interpretazione: Cass., 5 marzo 2009, n. 5348), una cerniera immanente rispetto all’interpretazione da svolgersi in base ai criteri c.d. soggettivi.

3.2. – Per il resto, le ulteriori doglianze (veicolate con entrambi i motivi), non facendo emergere l’effettivo omesso esame di “fatti storici decisivi” (essendosi la Corte di appello soffermata, peraltro, sulle circostanze materiali indicate nel secondo motivo e, comunque, avendo effettuato una valutazione complessiva, e non superficiale, delle risultanze istruttorie), si risolvono, essenzialmente, in una diversa lettura del materiale probatorio al fine di pervenire ad una interpretazione del regolamento contrattuale alternativa a quella fornita dal giudice del merito; ossia prospettano, in definitiva, delle critiche che non sarebbero state scrutinabili (perchè inammissibili) neppure sotto il vigore del precedente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comunque inapplicabile ratione temporis al presente giudizio di legittimità.

Con l’ulteriore precisazione che, sebbene non fatta oggetto di puntuale e specifica denuncia, la doglianza sulla reiezione, per difetto di prova, dell’eccezione di annullabilità del contratto per dolo o errore si palesa, comunque, inammissibile. La società ricorrente non ha, infatti, impugnato la ratio decidendi esibita sul punto dalla sentenza della Corte territoriale (cfr. sintesi al p. 2.5. dei “Fatti di causa”) e cioè che, non essendo stata ammessa la prova richiesta da parte appellante, neppure era stata ammessa quella richiesta dalla parte appellata, giacchè quest’ultima istanza era espressamente subordinata all’eventuale ammissione della prova di controparte.

4. – Il ricorso va, quindi, rigettato e la società ricorrente condannata, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 3.500,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 magio 2017

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