Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11212 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. trib., 20/05/2011, (ud. 10/12/2010, dep. 20/05/2011), n.11212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

FARSURA COSTRUZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PO 9 presso lo studio

dell’avvocato NAPOLITANO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 82/2007 della COMM. TRIB. REG. di PALERMO,

depositata il 17/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2010 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15.6.2006 la Commissione tributaria provinciale di Palermo accoglieva il ricorso proposto dalla società Farsura Costruzioni spa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Palermo (OMISSIS), nel contraddittorio del Concessionario della riscossione, Montepaschi Serit, avverso il diniego di definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 12, con riferimento all’iscrizione a ruolo dell’IVA per il 1994.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale e la Commissione Tributaria Regionale dichiarava inammissibile l’appello in quanto non vi era prova che l’autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2, fosse intervenuta prima della notificazione del gravame alle altre parti del giudizio di primo grado.

Avverso la suddetta sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Palermo, l’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambe rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, hanno proposto ricorso per cassazione contro la Farsura Costruzioni Spa, concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata.

La Farsura Costruzioni Spa, resisteva con controricorso.

Il ricorso veniva discusso alla pubblica udienza del 10.12.010, in cui il PG concludeva per l’inammissibilità e, in subordine, l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo (nè di primo) grado, cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di questa Corte in tal senso si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Tanto premesso, si osserva che il ricorso si fonda su due motivi, entrambi peraltro rubricati con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 e, precisamente:

1) Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’evidente difetto di motivazione della sentenza.

2) Vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il primo motivo la ricorrente – premesso che nella sentenza impugnata si legge: “L’autorizzazione a proporre appello è priva sia della data che di ogni altro riferimento utile a risalire all’atto autorizzativo stesso” e che tale espressione dimostrerebbe che l’atto autorizzativo, per essere stato visionato dal giudice, era presente nel fascicolo e che tale presenza a propria volta dimostrerebbe l’anteriorità del rilascio di tale atto rispetto alla notifica dell’appello – lamenta che la Commissione Tributaria Regionale abbia omesso di motivare “la ragione per la quale quel documento, per tabulas antecedente alla notifica del gravame, non era idoneo ad impedire la gravissima sanzione della inammissibilità dell’atto d’appello, stante che in esso erano correttamente indicati sia la data che il protocollo nonchè la firma del dirigente dell’Ufficio Contenzioso”. Secondo la ricorrente, infatti, “acclarato il deposito del provvedimento con cui l’ufficio era stato preventivamente autorizzato alla proposizione dell’atto d’appello tra gli atti di causa, circostanza questa assolutamente pacifica” si dovrebbe concludere che il giudice si è sottratto all’obbligo di decidere causa cognita, non assumendo quel mezzi di prova necessari per una motivata sentenza.

Con il secondo motivo la ricorrente – premesso, in linea di fatto, che il provvedimento di autorizzazione all’appello era stato emesso in data 24.11.06, anteriore alla data (28.11.06) della notifica dell’atto di appello alle controparti – contesta le affermazioni contenute nella sentenza impugnata secondo cui l’autorizzazione sarebbe stata “priva sia della data che di ogni altro riferimento utile a risalire all’atto autorizzativo” e l’Ufficio non avrebbe “supportato con la produzione della relativa prova la mera affermazione dell’esistenza dell’autorizzazione”, sottolineando come nel fascicolo processuale risulterebbe “copia dell’autorizzazione con annotazione riportata a penna da chi ne ha curato il deposito “Prot.

Agenzia (OMISSIS) del 30 novembre 2006″, che evidentemente riguarda l’acquisizione al protocollo dell’Ufficio del documento autorizzativo”.

Entrambi i motivi sono inammissibili ex art. 366 bis c.p.c. (abrogato dalla L. n. 69 del 2009 ma applicabile nella fattispecie in esame, avendo il ricorso ad oggetto una sentenza depositata il 17.10.07 e, dunque, nel periodo compreso tra il 2 marzo 2006 e il 4 luglio 2009), perchè nella loro formulazione il ricorrente non ha assolto all’onere di offrire “la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”) tale indicazione infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve emergere da un momento di sintesi esposto in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata – del tutto assente in entrambi motivi proposti nel ricorso dell’Avvocatura Generale dello Stato – che circoscriva puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Si veda al riguardo Cass. 8897/2008: “Allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso nel quale la sentenza impugnata veniva censurata per avere integralmente recepito una consulenza tecnica d’ufficio, ma senza indicare in modo chiaro e sintetico le ragioni per cui tale motivazione fosse inidonea a sorreggere la decisione)”.

Per una efficace sintesi dei principi elaborati in proposito da questa Corte, si veda altresì il seguente stralcio della motivazione della ordinanza 27680/2009:

Questa Corte regolatrice, infatti – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 14 luglio 2009 (cfr. L. n. 69 del 2009, art 58, comma 5) – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366-bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie l’unico motivo di ricorso, formulato ex art. 360 c.p.c., n. 5, è totalmente privo di tale indicazione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

Conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna dell’Agenzia delle Entrate alla rifusione in favore della resistente delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in dispositivo con riferimento al valore della causa di Euro 10.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibili i ricorsi proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate.

Compensa le spese tra il Ministero e la resistente; condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.300,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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