Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11211 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. II, 28/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 28/04/2021), n.11211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26853-2016 proposto da:

EMAFARM SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G.BELLI 39,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LEMBO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GUIDO PULITI, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., L.G.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DUILIO, 12, presso lo studio dell’avvocato MARCO SALVATI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ELDA ANGELA COLOMBO giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

L.G.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 537/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 07/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie della ricorrente.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. M.M. e L.G.C., quali proprietari di un immobile sito in (OMISSIS), adibito a laboratorio artigianale, alienavano il bene alla G.S. & C. s.a.s., poi divenuta Immobiliare Go. S.a.s., giusta atto per notaio S. del (OMISSIS).

Poichè tale bene era stato abusivamente trasformato in abitazione, con incremento di superficie, i venditori nell’atto di vendita, all’art. 5, si impegnavano al pagamento di qualsiasi spesa, imposta o tassa inerente al bene, obbligandosi a corrispondere anche quelle che sarebbero state successivamente accertate.

Con atto del 14/2/1997, l’immobile era successivamente venduto alla Emafarm S.r.l., ed il Comune di Firenze, nel valutare la domanda di condono a suo tempo presentata dal M., in data 7 luglio 1988 invitava il richiedente ad integrare la relativa documentazione.

Quindi stante l’inerzia del M., nel 2005 inoltrò tale richiesta anche alla Emafarm, che a sua volta si rivolse al M. per provvedere a soddisfare le richieste del Comune. Perdurando l’inerzia del richiedente, la società proprietaria regolarizzò il condono, riservandosi tuttavia di richiedere agli originari proprietari il rimborso di quanto speso.

M.M. e L.G.C. convennero quindi in giudizio la Emafarm per l’accertamento negativo del credito vantato dalla convenuta in sede stragiudiziale, rilevando che nell’atto di vendita in favore della dante causa della Emafarm si faceva riferimento al condono, ma che essi non avevano alcun rapporto contrattuale con la convenuta, sicchè nulla poteva essere loro richiesto per una domanda di condono risalente a molti anni addietro.

La società concludeva per il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale chiedeva la condanna degli attori al rimborso della somma spesa per il perfezionamento della procedura di condono, e ciò in quanto la domanda era stata inizialmente presentata in maniera incompleta.

Inoltre, poichè l’illecito era da ascrivere ai convenuti, agli stessi andava in ogni caso imputata l’obbligazione pecuniaria scaturente dalla domanda di condono.

Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 2826/2013, accoglieva la domanda riconvenzionale e ciò in ragione del fatto che la Emafarm era subentrata nel diritto, derivante dal contratto, concluso dalla propria dante causa, con la quale gli attori si erano impegnati a far fronte agli oneri scaturenti dalla domanda di condono.

Avverso tale sentenza proponevano appello gli attori, cui resisteva la società.

La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 537 del 7 aprile 2016, accoglieva il gravame, affermando l’inesistenza del credito vantato dalla società, condannando l’appellata alla restituzione delle somme incassate per effetto della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado, nonchè al rimborso delle spese del doppio grado.

Secondo i giudici di appello la società non poteva reputarsi subentrata nei diritti spettanti alla propria dante causa, atteso il mancato richiamo nel titolo della convenuta agli obblighi invece assunti dagli attori nel primo atto di compravendita.

Nè poteva configurarsi un’obbligazione propter rem, stante il requisito della loro tipicità, in assenza quindi di una previsione legale che potesse ricondurre a tale categoria anche l’obbligazione il cui adempimento era preteso da parte di Emafarm.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Emafarm S.r.l. sulla base di un motivo, illustrato da memorie.

Gli intimati resistono con controricorso.

2. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 31 comma 3, art. 37, comma 1, e dell’art. 1203 c.c., n. 3, artt. 1292,1294,1314 c.c., con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Si rileva che a seguito delle varie normative in materia edilizia, coloro che realizzano una costruzione e commettono abusi edilizi sono solidalmente obbligati per il pagamento degli oneri concessori, che costituiscono una prestazione di natura impositiva, correlata all’incremento patrimoniale che riceve il titolare del diritto di costruire a seguito dell’attività edificatoria. Ne deriva che l’acquirente del bene subentra nell’obbligazione de qua.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche per gli oneri relativi al condono edilizio, in quanto l’art. 31 prevede che la relativa domanda possa essere avanzata dai proprietari delle costruzioni abusive ovvero, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, da ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria.

Ne deriva che l’obbligazione di pagamento si traferisce ai proprietari successivi del bene, e quindi anche alla società ricorrente.

Colui che provveda a pagare gli oneri de quibus ha poi diritto di rivalsa nei confronti del proprietario.

Ne deriva quindi che si tratta a ben vedere di un’obbligazione propter rem, e non rileva che l’obbligazione dei primi venditori non fosse stata richiamata nel secondo atto di acquisto, in quanto l’obbligo scaturisce dalla legge.

Quindi, avendo Emafarm pagato gli oneri di condono, era altresì legittimata a rivalersi verso i primi proprietari autori dell’abuso edilizio e che avevano in origine avanzato la domanda di condono.

Peraltro, la vicenda dovrebbe essere correttamente risolta a favore della ricorrente facendo applicazione della regola di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, in quanto essendo soggetto tenuto con gli attori al pagamento degli oneri in esame, aveva interesse a soddisfarli per ottenere il perfezionamento della procedura di condono, maturando quindi la surrogazione legale nei confronti degli obbligati originari.

3. Il ricorso è infondato.

La L. n. 47 del 1985, art. 31 mentre al comma 1 prevede che: “Possono, su loro richiesta, conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria i proprietari di costruzioni e di altre opere che risultino essere state ultimate entro la data del 10 ottobre 1983 ed eseguite:

a) senza licenza o concessione edilizia o autorizzazione a costruire prescritte da norme di legge o di regolamento, ovvero in difformità dalle stesse;

b) in base a licenza o concessione edilizia o autorizzazione annullata, decaduta o comunque divenuta inefficace, ovvero nei cui confronti sia in corso procedimento di annullamento o di declaratoria di decadenza in sede giudiziaria o amministrativa”; al successivo comma 3, invocato specificamente dalla ricorrente, dispone poi che: “Alla richiesta di sanatoria ed agli adempimenti relativi possono altresì provvedere coloro che hanno titolo, ai sensi della L. 28 gennaio 1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione nonchè, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima”.

Il richiamo all’art. 31, operato dal successivo art. 37 medesima Legge, consente quindi di identificare nei soggetti di cui al primo ed al comma 3 quelli tenuti al versamento delle somme dovute a titolo di oneri di concessione, come peraltro vale anche per le somme da corrispondere a titolo di oblazione, stante il rinvio operato sempre all’art. 31 dall’art. 34.

La tesi della ricorrente si fonda sul fatto che tale previsione normativa consentirebbe di affermare che, anche nel caso di successiva alienazione del bene, l’originario proprietario resti tenuto al pagamento degli oneri della procedura di condono sebbene abbia nelle more e successivamente alla presentazione della domanda di condono, provveduto al trasferimento della titolarità del bene da condonare.

Trattasi però di affermazione che non trova conferma nel dettato delle norme, le quali, come esplicitato dal tenore letterale delle stesse, identificano quali obbligati al pagamento degli oneri coloro che sono proprietari dei beni al momento del conseguimento della sanatoria, senza che possa portare ad opinare diversamente la previsione di cui al comma 3 che consente la rivalsa nei confronti del proprietario (da intendersi come colui che rivesta tale qualità sempre alla data del conseguimento della sanatoria) da parte dei soggetti diversi dal proprietario ai quali la legge comunque riconosca l’interesse al conseguimento della sanatoria (identificabili in via esemplificativa, nell’inquilino, nel creditore, nel titolare della concessione edilizia, nel committente delle opere, o ancora nel costruttore o nel direttore dei lavori, come affermato nella giurisprudenza amministrativa da Tar Ancona, Marche 12 maggio 2004 n. 297).

Nella fattispecie, è pur vero che gli attori avevano inizialmente presentato la domanda di condono, ma il perfezionamento dell’iter amministrativo è avvenuto allorquando la titolarità del bene era passata in capo alla società ricorrente, che per l’effetto era il proprietario, tenuto al pagamento dei relativi oneri, e nei cui confronti è possibile avanzare la richiesta di rivalsa da parte degli interessati che abbiano conseguito la sanatoria, previa presentazione della relativa istanza, come appunto esplicitato dalla previsione di cui all’art. 31.

La riconducibilità dell’obbligazione in oggetto a colui che sia attualmente proprietario del bene soggetto a sanatoria ha portato la giurisprudenza amministrativa a configurare tale obbligazione come una sorta di obbligazione propter rem, connessa alla proprietà del bene (Tar Napoli 8 marzo 2013 n. 1379), e ciò attesa la stretta connessione sussistente tra titolarità di un immobile e gli obblighi e i benefici derivanti dalla concessione in sanatoria (Tar Bari sez. II, 4 giugno 2010 n. 2250, che in motivazione assume che la presentazione della domanda di sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 31, implica, in caso di vendita dell’immobile, il subentro del nuovo acquirente negli obblighi derivanti dalla sanatoria, a fronte del fatto che egli sarà anche beneficiario dei diritti conseguenti al rilascio della sanatoria, aggiungendo che l’alienazione dell’immobile comporta l’automatico subentro dell’acquirente nella posizione del venditore – richiedente la sanatoria, il quale, correlativamente, perde la disponibilità della relativa posizione).

La critica alla sentenza impugnata di parte ricorrente, quanto all’affermazione dell’inesistenza di un’obbligazione propter rem, non si confronta con il reale contenuto della decisione stessa, la quale ha escluso che tale qualifica dovesse essere attribuita, non già all’obbligo di pagamento degli oneri economici del condono in capo al successivo acquirente del bene, ma alla diversa obbligazione, specificamente invocata dalla ricorrente, del primo proprietario del bene, ed autore dell’illecito, di tenere indenne il proprio avente causa dalle conseguenze economiche derivanti dal dover far fronte nei confronti del Comune agli oneri concessori e di oblazione.

Correttamente è stato quindi escluso, in assenza di una specifica pattuizione contenuta nel contratto intervenuto tra la prima acquirente e la ricorrente, che i primi venditori del bene potessero essere chiamati a rispondere nei confronti dell’ultima avente causa, che materialmente aveva fatto fronte alle obbligazioni correlate alla procedura di condono, dovendosi escludere che tale impegno effettivamente assunto dai controricorrenti nel primo atto di alienazione potesse automaticamente trasferirsi in favore di tutti i successivi acquirenti del bene in assenza di un espresso impegno contrattuale.

A tal fine deve essere richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui (Cass. n. 3464/2012) l’art. 1489 c.c., sulla vendita di cosa gravata da oneri o da diritti di terzi, non trova applicazione con riferimento al pagamento di oneri derivanti da procedimenti di regolarizzazione urbanistico-edilizia, dei quali il venditore abbia fatto menzione nell’atto di compravendita, trattandosi di pesi che non limitano il libero godimento del bene venduto (in senso conforme Cass. n. 1084/2020, non massimata, che però riconosce la validità di una clausola contrattuale che impegni il venditore a frasi carico degli oneri economici derivanti dal successivo perfezionamento della procedura di condono).

La corretta interpretazione delle norme invocate dalla ricorrente impone quindi di affermare che l’individuazione come soggetto obbligato al pagamento degli oneri economici legati al condono di colui che rivesta la qualità di proprietario alla data di conseguimento del provvedimento di sanatoria (e rispetto al quale è possibile la rivalsa da parte degli altri soggetti cui la legge riconosce l’interesse a presentare la domanda di condono), esclude che gli attori rivestano ancora la qualità di (co)obbligati rispetto al credito dedotto in giudizio, potendo la loro responsabilità solo derivare da una esplicita pattuizione contrattuale, il che esclude anche la correttezza del richiamo alla previsione di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, in quanto non può assegnarsi alla ricorrente la qualità di soggetto tenuta con altri o per altri al soddisfacimento del debito verso il Comune.

Deve essere pertanto data continuità alla giurisprudenza di questa Corte che già in passato ha affermato che (Cass. n. 11322/1997) gli acquirenti di un bene immobile edificato in difformità dalla concessione edilizia, che abbiano chiesto (ed ottenuto) la sanatoria di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 31 in qualità di proprietari del bene, possono agire in giudizio per la riduzione del prezzo, giusta il disposto degli artt. 1490 e 1492 (e quindi nei confronti del loro diretto dante causa), ma non anche esercitare il diritto di rivalsa di cui all’art. 6 Legge citata, qualora le lamentate difformità non risultino essenziali o totali rispetto alla rilasciata concessione, e senza che rilevi, per quanto sopra esposto, la circostanza di fatto qui sussistente, e rappresentata dall’avvenuta presentazione della domanda di condono non già direttamente ad opera della ricorrente ma da parte del M..

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, dovendosi regolare le spese in base al principio della soccombenza.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, se dovuti;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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