Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1121 del 21/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/01/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 21/01/2021), n.1121

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 124/2019 R.G. proposto da:

T.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Dario Cuomo, con

domicilio eletto in Roma, Via Ugo D Carolis, n. 34/B, presso lo

studio dell’Avv. Maurizio Cecconi;

– ricorrente –

contro

T.P.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, n. 2268/2018,

depositata il 18 maggio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 dicembre

2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 3666 depositata in data 8 novembre 2010 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado, condannò T.P. al pagamento in favore di T.D. della somma di Euro 15.744,47, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento in relazione ai lavori di ristrutturazione di due appartamenti siti in (OMISSIS) da quest’ultimo eseguiti su incarico del primo.

2. Con sentenza n. 17957 del 13 settembre 2016 questa Corte cassò tale decisione, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Premesso che, secondo pacifico insegnamento, l’indennizzo per ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., deve essere determinato nella minor misura tra l’entità della diminuzione patrimoniale subita e quella dell’arricchimento ricavato dalla persona nei cui confronti l’azione e stata proposta, la S.C. ha rilevato che, nella specie, la Corte territoriale aveva parametrato l’indennizzo al costo sopportato dall’appaltatore per l’esecuzione delle opere, omettendo però del tutto di chiarire quale fosse stato l’arricchimento ricevuto dal committente per effetto dell’esecuzione dell’opera e di effettuare il conseguente, necessario raffronto tra il lucro conseguito dal soggetto nei cui confronti era stata esperita l’azione e la perdita economica sofferta dalla parte attrice.

3. Pronunciando in sede di rinvio la Corte d’appello di Napoli ha confermato l’ammontare dell’indennizzo come determinato nella sentenza d’appello cassata dalla Suprema Corte, ritenendo che lo stesso rappresentasse la minor somma rispetto al vantaggio conseguito da T.D..

Ha infatti rilevato che “gli immobili oggetto dei lavori edili… sono stati adibiti l’uno, in via (OMISSIS), a sede dell’azienda CIAR SUD, dedita alla produzione di serramenti ed infissi in alluminio, del geometra T.L., figlio di T.D., nonchè a studio di quest’ultimo; l’altro immobile, in via (OMISSIS), è stato adibito ad abitazione dove nel tempo hanno risieduto vari nuclei familiari”: circostanze, queste, si rimarca in sentenza, riportate da T.P. nella propria comparsa in riassunzione e non specificamente contestate da T.D..

Il vantaggio economico conseguito dal predetto va dunque identificato – secondo i giudici a quibus – “con i redditi che ne ha ricavato e continuerà a ricavare dal godimento, diretto o indiretto, delle suddette unità immobiliari” ed è un vantaggio che – si legge ancora in motivazione – “secondo dati di comune esperienza, è senza dubbio ben maggiore rispetto al depauperamento dell’esecutore delle opere, tanto più che detto vantaggio è suscettibile di proiezione nel tempo con progressivo adeguamento ai dati di mercato e dell’inflazione”.

Detratto quindi, dal predetto importo, quello già anteriormente versato, la Corte d’appello ha condannato T.D. al pagamento, in favore di T.P., della residua somma di Euro 9.546,99, maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma via via annualmente rivalutata dal giugno 1993, per complessivi Euro 25.935,29.

Ha altresì condannato T.D. alla rifusione, in favore di controparte, delle spese di lite, in esse comprese anche quelle relative al giudizio di cassazione.

4. Avverso tale sentenza T.D. propone ricorso per cassazione, con tre mezzi.

L’intimato non svolge difese nella presente sede.

5. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “nullità della sentenza, per violazione dell’art. 383 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” (così nell’intestazione).

Lamenta che, non rispettando quanto disposto nella sentenza di cassazione, che aveva espressamente individuato il giudice di rinvio in altra sezione della corte d’appello di Napoli, il giudizio è stato riassunto davanti alla medesima terza sezione.

Sostiene che tanto comporta violazione dell’art. 383 c.p.c., e la conseguente nullità della sentenza.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c..

Lamenta che, reiterando l’erronea impostazione già eseguita nella prima sentenza, la Corte d’appello ha ritenuto che la diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore, così come quantificata dal c.t.u. in relazione al costo dei lavori effettuati, in sè non contestato, costituisse senza dubbio la minor somma rispetto al vantaggio patrimoniale del committente.

Censura la valutazione al riguardo operata dalla Corte partenopea, indicandola come superficiale ed immotivata, osservando che: quanto al primo immobile, nulla certifica, nè controparte lo ha allegato, che prima della ristrutturazione esso fosse inidoneo all’uso odierno, nè vi è prova di quando tale destinazione abbia avuto inizio; quanto al secondo immobile che, parimenti, nulla certifica che, prima della ristrutturazione, esso fosse inidoneo ad essere concesso in locazione.

Soggiunge che “a nulla rileva che tali allegazioni non siano state oggetto di specifica contestazione, dal momento che la propria difesa aveva impugnato la comparsa di costituzione di T.P. in sede di riassunzione, per il principio “onus probandi incumbit ei qui dicit””.

Osserva ancora che la Corte di merito ha omesso di considerare che gli immobili hanno continua necessità di ristrutturazione e manutenzione “sicchè è ragionevole immaginare che lo stato attuale degli stessi sia la risultante di ulteriori interventi di manutenzione e non certo di quelli realizzati ben 20 anni or sono da T.P.”.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione nonchè falsa applicazione e interpretazione dell’art. 91 c.p.c.,” per avere la Corte d’appello, in sede di rinvio, liquidato in favore di controparte anche le spese del giudizio di cassazione, benchè in questo essa fosse risultata totalmente soccombente.

4. E’ pregiudiziale il rilievo della improcedibilità del ricorso.

Lo stesso risulta infatti notificato a mezzo posta elettronica certificata ma, per comprovarne la regolare esecuzione, parte ricorrente ha depositato in atti copia cartacea del ricorso e della procura, della relazione di notifica, del messaggio di posta elettronica certificata e dei relativi messaggi comprovanti l’accettazione di quest’ultimo da parte del sistema e la consegna alla casella di posta elettronica certificata del destinatario, omettendo però di rendere la prescritta asseverazione di conformità con sottoscrizione autografa (adempimento, come noto, prescritto dalla L. 21 gennaio 1994, n. 53), art. 9, commi 1-bis e 1-ter.

Al riguardo, come noto, questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 22438 del 24/09/2018, ha bensì affermato – superando precedente più rigoroso orientamento di cui è espressione Cass. 22/12/2017, n. 30918, predicativo della non rimediabile improcedibilità del mancato deposito ex art. 369 c.p.c., nel termine di 20 giorni dalla notifica del ricorso, della detta asseverazione – che detta improcedibilità non consegue tutte le volte in cui, pur in mancanza di detta asseverazione o della sua sottoscrizione autografa, possa comunque aversi aliunde certezza dell’effettività della notifica telematica, “in assenza di “ritardi apprezzabili” nell’attivazione della sequenza procedimentale”, e dunque:

a) nel caso in cui il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso autenticata dal proprio difensore o non ne disconosca la conformità all’originale notificatogli;

b) nel caso in cui – rimasto intimato il destinatario della notifica telematica del ricorso – il ricorrente depositi, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., (e senza necessità di notificazione ai sensi della medesima disposizione, comma 2), l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica depositata sino all’udienza di discussione (art. 379 c.p.c.) o all’adunanza in camera di consiglio (art. 380-bis c.p.c.; art. 380-bis.1 c.p.c., comma 1; art. 380-ter c.p.c.).

Nessuna di tali ipotesi ricorre però nella specie, nella quale, essendo il destinatario della notifica rimasto intimato, parte ricorrente ha omesso di integrare, entro i termini predetti, il deposito iniziale con la richiesta asseverazione debitamente sottoscritta con firma autografa.

5. Può comunque rilevarsi che il ricorso, ove fosse stato procedibile, sarebbe comunque andato incontro ad una pronuncia di rigetto.

5.1. Il primo motivo è infatti infondato.

Il fatto che, sebbene nella sentenza di cassazione il giudice di rinvio fosse stato individuato in altra sezione della Corte d’appello di Napoli, il relativo giudizio sia stato incardinato davanti alla stessa sezione che aveva emesso la sentenza cassata, non comporta la dedotta nullità, una volta che sia stata comunque osservata – come nella specie è indiscusso che sia avvenuto – l’alterità dei componenti del collegio, intesi come magistrati persone fisiche, rispetto a quelli che avevano pronunciato il provvedimento cassato (v. Cass. Sez. U. n. 5087 del 27/02/2008; conff. Cass. n. 1527 del 02/02/2012; n. 24042 del 12/11/2014; n. 11120 del 05/05/2017).

5.2. Il secondo motivo è inammissibile.

Lungi dal far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie, esso impinge esclusivamente nella ricognizione fattuale della stessa, in astratto sindacabile solo sul piano della motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò che si contesta invero non è l’applicazione di una erronea regola di giudizio ai fini della determinazione dell’indennizzo spettante a titolo di ingiustificato arricchimento, quanto piuttosto l’esito applicativo di quel criterio nel caso concreto, censurato sull’assunto che non sarebbe adeguatamente motivata la valutazione del peso minore del costo dei lavori rispetto ai vantaggi economici derivatine in favore del committente.

Altrettanto eccentrica, rispetto all’error iuris denunciato, è la censura riferita alla ritenuta non contestazione delle circostanze fattuali valorizzate in sentenza ai detti fini: censura, peraltro, del tutto generica e che comunque non si confronta con l’intera motivazione della sentenza che le dette circostanze afferma essere anche documentate in atti.

5.3. Il terzo motivo è infondato.

La condanna dell’odierno ricorrente alle spese processuali, in esse comprese anche quelle del precedente giudizio di legittimità (che in accoglimento del suo ricorso, aveva cassato la sentenza d’appello con rinvio ad altro giudice), è da ritenersi del tutto legittima, in quanto coerente con l’esito finale della lite che lo vede soccombente.

Costituisce, invero, jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicchè non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte” (v. e pluribus Cass. n. 20289 del 09/10/2015; n. 19345 del 12/09/2014; n. 2634 del 07/02/2007; n. 4909 del 10/03/2004).

6. Il ricorso deve essere dunque dichiarato improcedibile.

Non avendo controparte svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.

P.Q.M.

dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2021

 

 

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