Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11209 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. II, 28/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 28/04/2021), n.11209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18756-2016 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE

FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI,

rappresentato e difeso dall’avvocato URBANO TANCREDI, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.M., S.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE

COGLITORE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSIMO CARDARELLI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

BO.LU.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 171/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con citazione dell’8 giugno 2010 C.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Padova B.M., S.D. e Bo.Lu., affinchè fosse accertata la sua proprietà sulla mezza familiare con terreno in Comune di (OMISSIS), meglio descritta in citazione, con la condanna dei convenuti al rilascio del bene, oltre al risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima a far data dal giugno 2000.

Deduceva che i convenuti a vario titolo si erano qualificati arbitrariamente proprietari del bene che invece era da reputarsi di proprietà dell’attore.

Questi, infatti, aveva acquistato nel 1973 un terreno, sul quale poi l’impresa edile di Co.Eg. aveva edificato il bene immobile oggetto di causa, che era stato quindi acquistato dall’attore per accessione.

Il Co., al quale l’attore aveva promesso di trasferire a titolo di compenso per l’attività costruttiva la metà del bene oggetto di causa previo conguaglio del prezzo, mai corrisposto al C., aveva poi promesso di vendere la porzione che gli sarebbe spettata a tal B.M. e che in seguito S.D. aveva venduto la stessa porzione ai coniugi Bi.Re. e Bo.Lu..

Tale ultimo contratto fu però oggetto di domanda di risoluzione del S., la quale venne definita con l’accoglimento della richiesta di risoluzione all’esito di un giudizio protrattosi sino al 1996.

Si costituivano i convenuti B. e S. che chiedevano il rigetto della domanda, ed in via riconvenzionale, accertarsi che il S. era proprietario della mezza bifamiliare, stante l’accertamento contenuto nella sentenza del Tribunale di Padova n. 775/1988, passata in giudicato, ovvero per usucapione.

Il Tribunale di Padova, con la sentenza n. 2814 del 15 ottobre 2013, rigettava la domanda dell’attore.

Avverso tale sentenza proponeva appello il C. cui resistevano il B. ed il S..

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 171 del 28 gennaio 2016 ha rigettato il gravame.

Premessa la qualificazione della domanda quale azione di rivendica, riteneva che non fosse stata offerta la prova necessaria, atteso che già la sentenza del Tribunale di Padova n. 775/1988 aveva accertato la proprietà del bene in capo al S..

In quel giudizio, il C. era stato chiamato in causa, ed è stato considerato solo titolare formale dell’immobile, rilevando che gli aventi causa del S., Bo. e Bi., già sapevano che l’immobile era stato venduto dall’intestatario formale a terzi e, quindi, acquistato dal S. per il tramite di B.. L’intestazione formale aveva poi carattere solo dichiarativo e non costitutivo.

Per l’effetto, era stata pronunciata la risoluzione del contratto di compravendita, escludendosi che sussistesse il dedotto difetto di legittimazione a disporre del S..

L’accertamento della proprietà contenuto in quella sentenza vincolava anche il C., che era stato parte di quel giudizio, e ciò anche in ragione del fatto che i convenuti avevano chiesto accertarsi che il bene oggetto della compravendita di cui si chiedeva la risoluzione non era del S. ma del C..

La sentenza del 1988 era sì stata appellata, ma non era stata riformata dalla Corte d’Appello, e la successiva pronuncia della Corte di cassazione (Cass. n. 10217/1996) si era imitata a dichiarare inammissibile il ricorso della Bo..

L’accertamento era poi confortato dal fatto che lo stesso C., in una missiva del 20/10/1980, aveva ammesso di essere il mero intestatario formale del bene (“per gentilezza”), e che acconsentiva a figurare venditore del bene al Bi., al fine di evitare il passaggio del terreno al Co. e poi successivamente dal Co. al B. e da quest’ultimo al Bi..

La Corte d’Appello rigettava poi l’impugnazione del B. e del S., evidenziando che ai fini della trascrizione doveva essere trascritta già la sentenza del Tribunale di Padova n. 775/1988.

Per la cassazione di tale sentenza propone C.M. sulla base di quattro motivi.

B.M. e S.D. resistono con controricorso. Bo.Lu. non ha svolto difese in questa fase.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 34 c.p.c. nonchè dell’art. 12 preleggi e dei principi in tema di giudicato esterno.

Deduce che la sentenza gravata ha ritenuto che l’accertamento della proprietà del bene fosse già contenuto nella sentenza del Tribunale di Padova n. 775/88, emessa all’esito di un giudizio al quale avevano preso parte sia il C. che il S., ed ha pertanto escluso che fosse possibile procedere ad un nuovo accertamento della proprietà.

Tale interpretazione del giudicato esterno è però erronea.

La sentenza indicata come giudicato si era limitata a dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita immobiliare intercorso tra il S., quale venditore, ed i coniugi Bi. e Bo., quali acquirenti, non avendo rilevanza il fatto che alla risoluzione si fosse accompagnato l’ordine di rilascio.

Nella motivazione della sentenza de qua non si rileva l’esistenza di un reale accertamento sulla proprietà, essendosi peraltro esplicitamente affermato che non vi era una domanda in tal senso indirizzata verso il ricorrente.

La portata del giudicato è quindi limitata al solo contratto di compravendita, e la verifica della proprietà era al più un mero accertamento incidentale, ma strumentale ai soli fini della decisione sulla risoluzione, privo tuttavia di efficacia esterna.

Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che (cfr. Cass. n. 17175/2020) in tema di giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in un diverso giudizio, la deducibilità con ricorso per cassazione della violazione dell’art. 2909 c.c., ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è possibile solo nel caso in cui il giudice di merito abbia erroneamente accertato ed interpretato il giudicato.

Inoltre (cfr. Cass. n. 21165/2019) l’interpretazione della portata del giudicato, sia esso interno od esterno, va effettuata alla stregua di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendo farsi riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione.

E’ stato quindi più volte ribadito che (Cass. n. 30838/2018) il giudicato esterno, in quanto provvisto di “vis imperativa” e indisponibilità per le parti, va assimilato agli “elementi normativi”, sicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 e ss. preleggi, con conseguente sindacabilità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (conf. Cass. S.U. n. 11501/2008; Cass. S.U. n. 24464/2007).

E’ stato poi affermato che (Cass. n. 11314/2018) qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano fatto riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica, ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, e ciò anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (conf. Cass. n. 15339/2016), semprechè vi sia stata effettivamente la soluzione delle questioni di fatto o di diritto sulle quali si pretende intervenuto il giudicato.

Poste tali premesse, nella specie, ed avuto riguardo al contenuto della decisione avente asseritamente efficacia di giudicato, si rileva che in quel giudizio, definito appunto con la sentenza del Tribunale di Padova n. 775/1988, S.D. aveva convenuto in giudizio i coniugi Bi. e Bo., ai quali aveva venduto l’immobile oggetto di causa, assumendo che non fosse stato versato il prezzo secondo le scadenze concordate.

I convenuti, nel difendersi, oltre a contestare il proprio inadempimento, assumevano che il bene venduto in realtà appartenesse al C., che chiedevano di essere autorizzati a chiamare in giudizio.

Il C., a seguito della chiamata, interveniva nel processo, ribadendo di essere proprietario del bene, e chiedendo il rigetto di ogni domanda proposta nei suoi confronti.

Il Tribunale, in dispositivo, si è limitato a dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita per l’inadempimento dei compratori, con la conseguente condanna al risarcimento dei danni ed al rilascio del bene.

Pur in assenza di uno specifico capo in dispositivo concernente la questione della proprietà, la necessità di dover leggere unitariamente motivazione e dispositivo in vista del riscontro di un giudicato esterno, impone quindi di verificare anche il contenuto della motivazione.

Detta sentenza, nella parte che rileva in questa sede, così motiva:

“In particolare è privo di pregio l’assunto secondo cui l’immobile compravenduto non sarebbe stato di proprietà dell’attore, dovendo tale osservazione venire riferita alla sola titolarità formale del bene risultante dei registri immobiliari, già che gli stessi convenuti hanno aggiunto di sapere che l’immobile de quo è stato venduto dall’attuale intestatario a terzi e che da questi ultimi sarebbe stato acquistato dall’attore. Al riguardo, infatti è sufficiente rilevare la funzione di pubblicità dichiarativa e non già costituita (rectius costitutiva) svolta dai registri immobiliari e, comunque, qualora l’acquisto del bene da parte dell’attore venga riferito ad un momento successivo al contratto, l’ammissibilità della vendita di cosa altrui (1478 c.c.).

Nè, in questo contesto, assume rilievo la chiamata in causa del C., giustificata non dalla proposizione di una vera e propria domanda, ma solo dall’intento di estendere nei suoi confronti non meglio precisati effetti della sentenza pronunciata nel presente giudizio.”.

Ad avviso della Corte non può inferirsi da tale sentenza, e più specificamente dalla sua motivazione, l’esistenza di un accertamento circa la proprietà del bene in capo al S..

In primo luogo, deve essere valorizzata l’affermazione dello stesso Tribunale secondo cui la chiamata del C. era giustificata dalla sola volontà di estendere gli effetti del giudizio intentato dal S. nei confronti dei coniugi acquirenti, anche al C., e ciò alla luce del fatto che una delle deduzioni difensive spese dai compratori per conseguire il rigetto dell’avversa domanda, si fondava sulla pretesa carenza di potere dispositivo in capo al venditore, in quanto non proprietario del bene.

La sentenza invocata, tuttavia, sebbene sulla base di non del tutto perspicue affermazioni in diritto, ha nella sostanza ritenuto che fosse irrilevante verificare se la proprietà del bene fosse effettivamente in capo al S., valorizzando il dato della conoscenza soggettiva degli acquirenti circa il fatto che, pur sussistendo ancora un soggetto intestatario del bene (e, quindi, il C., come appunto emergeva dalle formalità immobiliari, stante il richiamo alla funzione della pubblicità immobiliare), nella sostanza la proprietà sarebbe poi pervenuta al S., che avrebbe quindi potuto provvedere all’acquisto del bene anche in un momento successivo alla vendita, come confermato dalla disciplina della vendita di cosa altrui (e di qui il richiamo in motivazione alla norma di cui all’art. 1478 c.c.). Nel ragionamento del Tribunale diveniva quindi irrilevante accertare se la proprietà del bene fosse effettivamente passata in capo al S., in quanto gli acquirenti erano consapevoli del fatto che l’intestazione formale della proprietà era riferita ad un soggetto diverso, e che nella sostanza il S. (sulla base di non meglio indicati passaggi traslativi), sarebbe stato comunque nelle condizioni di alienare il bene (avendo la disponibilità materiale, il che legittimava la condanna al rilascio a seguito della risoluzione), ben potendo acquisirne la proprietà anche in un momento successivo alla vendita.

Manca una puntuale indagine però circa l’effettiva esistenza di validi atti traslativi, e ciò in quanto, pur volendosi superare la portata della trascrizione, trattandosi di alienazione di beni immobili, sul piano sostanziale ed a fine di validità dell’atto stesso, si impone l’adozione di un atto munito di forma scritta ad substantiam, e tale carenza si giustifica proprio in considerazione del fatto che, a quanto accertato dal Tribunale, l’assenza di una titolarità formale in capo al venditore era ben nota agli acquirenti che non potevano quindi addurre la stessa a giustificazione del loro inadempimento all’obbligo di pagamento del prezzo.

La sentenza gravata ha, quindi, proceduto ad un’erronea interpretazione del giudicato esterno, ritenendo in contrasto, con quanto emerge dalla combinata lettura del dispositivo e della motivazione, che lo stesso contenesse un accertamento della proprietà del bene in capo al S., suscettibile di vincolare anche la soluzione del successivo giudizio introdotto dal C., e specificamente finalizzato all’accertamento della proprietà.

Il tema della proprietà del bene, sebbene dedotta come questione pregiudiziale dai convenuti in quel giudizio, è stato nella sostanza eluso dal Tribunale che, come detto, ha annesso rilevanza decisiva alla consapevolezza degli acquirenti di un (non meglio precisato, quanto alle modalità) acquisto dell’attore, che peraltro anche dopo la formale conclusione della vendita, avrebbe potuto provvedere a divenire proprietario del bene venduto.

Nè vale a sovvertire tale conclusione il richiamo, espressamente fatto dai giudici di appello, “per mere ragioni di completezza”, alla missiva del 20/10/1980 del C., la quale nel ribadire la disponibilità del C. a figurare come parte venditrice verso i coniugi Bi., conferma che la proprietà era ancora a sè formalmente intestata, ed implicitamente che non vi era stato alcuna passaggio in favore del Co. (che gli stessi S. e B. individuano come loro dante causa), attesa anche l’opportunità di evitare un doppio passaggio di proprietà, con le inevitabili maggiori conseguenze di carattere fiscale.

La circostanza che la ratio fondante il rigetto della domanda del C. sia rappresentata dal solo giudicato esterno, senza quindi la possibilità di attribuire al richiamo a tale documento il carattere di autonoma ratio decidendi, si ricava poi dalle successive affermazioni della Corte d’Appello che ha rigettato l’impugnazione incidentale del B. e del S. che chiedevano di decidere sulla loro domanda di accertamento della proprietà, sul presupposto che non vi era spazio per una pronuncia di tal genere, una volta che l’accertamento della proprietà era già contenuto nella sentenza del 1988, e che era proprio tale ultima sentenza a dover essere trascritta.

Il motivo deve quindi essere accolto, con la cassazione della sentenza impugnata.

3. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia la violazione o falsa applicazione degli art. 948 e 2697 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. e dei principi in materia di prova del diritto di proprietà in materia di rivendica, per non avere la Corte valutato i fatti storici addotti dal ricorrente a sostegno della propria domanda, il terzo motivo, che denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio rappresentati dalle circostanze di fatto allegate dall’attore nel corso del giudizio, ed il quarto motivo di ricorso, che lamenta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per l’omessa pronuncia sulle domande di rivendica, di condanna al rilascio e di risarcimento dei danni, sono evidentemente assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo, trattandosi di questioni che restano devolute alla valutazione del giudice di rinvio, chiamato ad un nuovo esame della vicenda.

4. Il giudice del rinvio, che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Venezia, provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso e, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Venezia, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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