Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11208 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. II, 28/04/2021, (ud. 18/02/2021, dep. 28/04/2021), n.11208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 27303/16) proposto da:

A.M., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso in virtù di

procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Elena

Adele Fracassi, Vanessa Maria Andreoli, Antonio Trifone e Valerio

Bartocci, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, alla Via Panama, n. 86;

– primo ricorrente e controricorrente –

e

MOROSOLO PRIMA s.r.l., (P.I.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Jean

Jacques Prati Lucca e Pio Corti ed elettivamente domiciliata presso

lo studio del secondo, in Roma, al Viale Parioli, n. 79/H;

– ricorrente successiva e controricorrente –

contro

N.S., (C.F.: (OMISSIS)), e D.L. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale

apposta a margine al controricorso (contenente ricorso incidentale),

dagli avv.ti Claudia Antonetti, e Federico Caldesio, ed

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Ilaria Romano,

in Roma, Via delle Milizie, n. 144;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3284/2016

(depositata il 22 agosto 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18 febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.,

nell’interesse dei ricorrenti incidentali.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. i sigg. N.S. e D.L., con atto di citazione notificato il 16 aprile 2008, convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Varese, il sig. A.M., dal quale avevano acquistato, con atto del 2 luglio 2004 un appartamento sito in (OMISSIS) facente parte del complesso immobiliare residenziale “(OMISSIS)”, lamentando di aver appreso, solo dopo l’acquisto, che fin da (OMISSIS) era pendente presso il Comune di quella città una pratica edilizia per la sanatoria dell’intero edificio e, in particolare, con specifico riferimento all’immobile oggetto di compravendita, delle difformità del sottotetto dell’abitazione consistenti in formazione di tavolati divisori non previsti in progetto, aumento delle dimensioni del locale sottotetto, sopralzo della copertura del tetto, destinazione d’uso diverso da accessorio ad abitativo.

Sulla scorta di tale rappresentazione fattuale chiedevano, quindi, che il convenuto venisse condannato al risarcimento del danno, quantificato in un primo momento in Euro 48.332,57 e, successivamente, dopo che nel mese di dicembre avevano autonomamente richiesto ed ottenuto dal Comune l’agibilità, ammontante ad Euro 49.081,92, corrispondente alla somma impiegata per oneri e sanzioni relativi alla procedura di sanatoria.

Si costituiva in giudizio il convenuto A.M., il quale eccepiva, in primo luogo, il suo difetto di legittimazione passiva sul presupposto che per l’assolvimento della pratica di sanatoria si era obbligata la ditta costruttrice Morosolo Prima s.r.l. (della quale chiedeva l’autorizzazione a chiamarla in causa per essere manlevata in relazione ad ogni eventuale accoglimento di pretese risarcitorie) e, in ogni caso, instava per il rigetto della domanda, evidenziando che gli acquirenti avevano fatto un uso diverso del sottotetto.

Autorizzata la chiamata in causa della menzionata ditta costruttrice, la stessa si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto di ogni avversa domanda, sostenendo di aver venduto all’ A. il locale sottotetto con destinazione non abitativa e che la relativa difformità era stata sanata solo con la definizione del relativo procedimento amministrativo nel giugno 2006.

All’esito dell’esperita istruzione probatoria, l’adito Tribunale di Varese, con, sentenza n. 77/2014, affermava la responsabilità solidale, ai sensi degli artt. 1218,1223 e 2055 c.c., dell’ A. e della Morosolo Prima s.r.l., condannandoli in solido e in pari misura, al risarcimento dei danni in favore degli attori, quantificato in Euro 46.493,70, oltre interessi legali, nonchè condannando il solo A. al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 50.000,00.

2. La citata sentenza veniva impugnata, con separati atti di appello, dall’ A.M. e dalla Morosolo Prima s.r.l. e, previa riunione dei relativi giudizi, la Corte di appello di Milano, nella costituzione di entrambi gli appellati, con sentenza n. 3284/2016 (pubblicata il 22 agosto 2016), accoglieva parzialmente il gravame formulato dall’ A. e riformava la sentenza di prime cure nella parte in cui lo aveva condannato al pagamento della somma di Euro 50.000,00, oltre accessori in favore dei N. – D., confermando nel resto detta sentenza regolando, di conseguenza, le relative spese processuali.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte milanese riteneva, innanzitutto, ingiustificata la domanda (ulteriore) di condanna a carico dell’ A. nella misura di Euro 50.000,00, siccome nessuna riduzione del valore dell’immobile sarebbe stata ipotizzabile e la richiesta condanna era da considerarsi relativa a domanda non autonomamente svolta dagli originari attori.

Il giudice di appello rilevava, per il resto, l’infondatezza del gravame dell’ A. nonchè la totale infondatezza di quello avanzato dalla società Morosolo Prima.

La Corte osservava, in particolare, che avendo l’ A. e già prima la ditta Morosolo Prima assunto ogni onere connesso con il rilascio del certificato di abitabilità e non avendolo ricevuto, i sigg. N. – D., essendosi essi attivati per ottenerlo, avevano diritto al riconoscimento del relativo risarcimento del danno da correlare al pagamento in loro favore dell’importo sopportato per il conseguimento della sanatoria degli abusi afferenti al loro immobile (dovendosi respingere anche l’assunto della ditta costruttrice sull’addebitabilità ad essi acquirenti del diverso uso fatto del sottotetto).

3. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno formulato distinti ricorsi per cassazione la s.r.l. Morosolo Prima, affidato a tre motivi, e A.M., riferito ad un unico motivo.

Hanno resistito con un congiunto controricorso N.S. e D.L., contenente anche ricorso incidentale basato su un solo motivo.

Entrambi i ricorrenti principali hanno anche formulato separati controricorsi avverso il ricorso incidentale avanzato dai sigg. N. – D..

La difesa dei ricorrenti incidentali ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

RICORSO DELLA S.R.L. MOROSOLO PRIMA.

1. Con il primo motivo la s.r.l. Morosolo Prima ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, artt. 1363 e 1371 c.c., nonchè del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 34 e 36, con riferimento della L.R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, artt. 35 e 36.

In particolare, con questa censura, detta ricorrente ha sostenuto l’erroneità dell’interpretazione del contratto di vendita del 9 ottobre 1996 intercorso tra essa e A.M., soprattutto con riguardo alla clausola n. 3 dei patti speciali, in ordine alla quale la Corte di appello ha implicitamente ritenuto che fosse obbligo del venditore di richiedere ed ottenere il certificato di abitabilità (sino al D.P.R. n. 380 del 2001) del sottotetto, inteso non come locale accessorio (e, quindi, agibile ma non abitabile) ma come mansarda (locale agibile e abitabile). Al contrario – secondo la prospettazione della ricorrente – i criteri ermeneutica contrattuale di cui ai citati artt. 1362,1363 e 1371 c.c., avrebbero dovuto condurre a ritenere che l’obbligazione della costruttrice-venditrice avesse un contenuto limitato alla regolarizzazione delle difformità progettuali (maggiori altezze e altezza media, con conseguente aumento di superficie) del sottotetto e non anche a consentirne il recupero e lo sfruttamento a fini abitativi. In altre parole, la Corte di appello aveva erroneamente ricollegato ad un’unica fattispecie di “sanatoria” di irregolarità edilizie situazioni giuridiche eterogenee, aventi struttura, presupposti e finalità diversi: la prima, la difformità del permesso di costruire (nella specie variazione delle quote del tetto e aumento di superficie) regolata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 34, la seconda, il recupero del sottotetto (disciplinata dello stesso D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, con riferimento della L.R. Lombardia n. 12 del 2005, artt. 35 e 36).

2. Con la seconda doglianza la menzionata ricorrente ha dedotto – relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame, da parte del giudice di appello, circa plurimi fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di discussione tra le parti, ovvero che: – il Comune di Varese, in data 27/31 luglio 2001, aveva constatato il diverso uso abitativo, da parte dell’acquirente A. del sottotetto, risultato arredato ed abitato, e che per tale ragione lo stesso Comune in un primo momento, il 5 febbraio 2004, aveva negato provvisoriamente ad essa ricorrente il rilascio del permesso di costruire in sanatoria; – che l’acquirente A. il 29 giugno 1999 aveva presentato al Comune di Varese la D.I.A. riconoscendo che il sottotetto era un locale accessorio, agibile e non abitabile e che con contratto preliminare del 2 gennaio 2004 aveva promesso in vendita ai coniugi N. – D. il sottotetto individuato, invece, come “sovrastante mansarda con salone, camino, cucina, servizio e due balconi”, e cioè come unità abitativa; – che, da un lato, essa ricorrente aveva adempiuto agli obblighi contrattualmente assunti ottenendo nel 2006, il permesso di costruire in sanatoria e che, dall’altro lato, il mancato rilascio del relativo certificato era imputabile prima all’acquirente A. e poi ai predetti coniugi per aver rispettivamente mutato, il primo, e conservato, i secondi, la destinazione d’uso del sottotetto.

Ad avviso della ricorrente, detti elementi probatori relativi ai fatti indicati, il cui esame era stato omesso dal giudice di appello, hanno carattere decisivo, perchè, se considerati, avrebbero evitato la sua condanna a rimborsare agli acquirenti finali N. – D.: a) la somma complessiva di Euro 36.513,90, da loro pagata, a titolo di sanzione amministrativa per il recupero del sottotetto ai fini abitativi, che essa società non aveva alcun obbligo contrattuale di conseguire ed assicurare; b) la somma di Euro 9.979,80 per le difformità edilizia già da essa sanate, con corresponsione della relativa sanzione.

3. Con la terza censura l’indicata ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e 1294 c.c., per aver la Corte di appello erroneamente ritenuto sussistente il vincolo di solidarietà tra la stessa e l’acquirente successivo venditore A.M. in favore degli acquirenti finali N. – D. in violazione del principio della solidarietà passiva, che presuppone, oltre che la pluralità di debitori e la “eadem causa obligandi”, anche la “eadem res debita”, nella specie insussistente. Si aggiunge che, a parte l’autonomia del primo contratto di vendita (tra essa società e l’ A.) rispetto al secondo (tra l’ A. e i coniugi N. – D.), è diversa l’obbligazione rispettivamente assunta da essa Morosolo Prima nei confronti dell’ A. (regolarizzazione del sottotetto come locale agibile ma non abitabile) e da questi nei riguardi dei N. – D. (regolarizzazione del sottotetto come mansarda abitabile).

RICORSO DI A.M..

1. Con l’unico complesso motivo formulato l’ A.M. ha denunciato che la Corte di appello non ha esaminato le dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c. e che, pertanto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, andrebbe ritenuto sussistente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti.

In concreto, questo ricorrente ha inteso evidenziare che la Corte di appello non ha rilevato che le somme richieste ed ottenute dai coniugi N. – D. a titolo di risarcimento del danno emergente per l’asserito inadempimento di esso venditore non riguardavano il conseguimento del certificato di agibilità-abitabilità dell’unità immobiliare, bensì il cambio di destinazione d’uso richiesto dai medesimi coniugi per ottenere l’abitabilità del sottotetto, aumentando valore commerciale della proprietà da loro acquistata, così come emergente anche dalle risultante della c.t.u..

RICORSO INCIDENTALE N. – D..

1. Con il motivo del loro ricorso incidentale i coniugi N. – D. hanno denunciato – ponendo riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione delle norme in tema di corrispondenza tre “petitum” e “causa petendi” ai sensi dell’art. 112 c.p.c., sul presupposto che la Corte di appello aveva erroneamente ritenuta sussistente la violazione del suddetto principio (ad opera della sentenza di primo grado) malgrado essi avessero modificato e precisato ritualmente la domanda nei termini concessi ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, ragion per cui la causa non doveva intendersi limitata solo alla domanda di rifusione delle sanzioni da essi sopportate per la regolarizzazione del sottotetto con destinazione divenuta abitativa ma estesa anche alla riduzione del valore commerciale del bene immobile oggetto di causa, che aveva giustificato la condanna dell’ A., per tale titolo, al pagamento, in loro favore, dell’ulteriore importo di Euro 50.000,00.

Esame del ricorso della s.r.l. MOROSOLO PRIMA.

1. Ritiene il collegio che i primi due motivi di questo ricorso – esaminabili congiuntamente perchè tra loro connessi – sono fondati e vanno, quindi, accolti per le ragioni che seguono.

Occorre osservare che, sulla scorta della clausola n. 3 dei patti speciali (specificamente trascritta a pag. 18 del ricorso) contenuta nel contratto di compravendita intercorso tra la ricorrente (quale alienante) e A.M. (in qualità di acquirente), si desume che, in effetti, la società venditrice si era assunta l’obbligo di assolvere ad ogni onere connesso con il rilascio del decreto di abitabilità relativo al fabbricato in parte del quale si trovavano le unità immobiliari oggetto di vendita.

La Corte di appello, al riguardo, prescindendo da ogni indagine sull’effettivo significato del contenuto di tale clausola, ha ritenuto che, per il solo fatto dell’adozione dell’obbligo di munirsi del certificato di abitabilità (poi considerato trasferito in capo al primo acquirente A.M.); essa ricorrente fosse responsabile anche degli oneri conseguenti alla successiva trasformazione del vano sottotetto dell’immobile venduto ai coniugi N. – D., che era stato poi reso abitabile (con la creazione di una mansarda), con la corresponsione dei relativi oneri edilizi e delle sanzioni conseguenti alla (evidentemente possibile, secondo gli strumenti urbanistici vigenti) sanatoria dipendente dal mutamento della destinazione d’uso del sottotetto.

Alla stregua di questa ricostruzione sommaria il collegio rileva che la Corte di appello sia incorsa nella violazione dei denunciati criteri ermeneutici poichè, sulla scorta del tenore e della “ratio” sottesa alla suddetta clausola (riferentisi ad una parte del fabbricato in cui erano inseriti alcuni appartamenti, tra i quali quello venduto all’ A.), gli oneri che si era accollata la società costrittrice-venditrice si sarebbero dovuti considerare, tra gli altri, attinenti alla mera regolarizzazione del sottotetto, ma solo con riferimento alle difformità realizzate rispetto all’originario progetto approvato (ovvero avuto riguardo alle maggiori altezze e all’altezza media, da cui era scaturito un aumento di superficie) ma non anche a consentirne il recupero e lo sfruttamento a fini abitativi, le cui relative opere erano state eseguite solo in un secondo tempo, quando era intervenuti i successivi trasferimenti dell’immobile.

A tal proposito, prendendo in considerazione – ai fini interpretativi – anche il contenuto complessivo del primo atto di vendita (tra la Morosolo Prima e l’ A.), la Corte di appello non avrebbe potuto prescindere dal conferire il corretto significato al termine sottotetto (che di regola non è abitabile e non si identifica con la mansarda), nè dalle risultanze della pratica amministrativa posta in essere dalla ricorrente laddove si faceva riferimento allo stato di fatto del sottotetto con le (sole) difformità relative alle quote, senza alcuna aggiunta di un (eventuale) mutamento di destinazione d’uso del sottotetto stesso.

Infatti, la Corte di appello, nell’impugnata sentenza, si limita essenzialmente ad affermare che la responsabilità della Morosolo Prima si sarebbe dovuta desumere per il solo mancato riferimento ad atti dai quali dedurre che il certificato di abitabilità non fu rilasciato proprio per il diverso uso del sottotetto da parte di una o di entrambe le altre parti. Poi, altrettanto apoditticamente, la Corte sostiene che anche la lettura degli atti (senza specificare quali) non consentiva di avere certezza in relazione alla sicura addebitabilità al “diverso uso del sottotetto fatto dagli acquirenti” del mancato rilascio del certificato di abitabilità.

Pertanto, la motivazione della sentenza della Corte milanese si prospetta del tutto carente, non facendo idoneamente trasparire l’applicazione di alcun univoco criterio ermeneutico per giungere alla soluzione adottata, implicando il percorso argomentativo operato una pretermissione della valutazione di tutti i passaggi dei procedimenti amministrativi di regolarizzazione e sanatoria delle difformità, sul piano della sequenza cronologica e dei relativi distinti oggetti, fino all’atto di sanatoria del mutamento di destinazione d’uso del sottotetto quando l’immobile è pervenuto ai coniugi N. – D., i quali, non potendosi escludere tale circostanza dal complesso dei rapporti come succedutisi, si erano verosimilmente attivati loro, ottenendo dal Comune Varese il 9 dicembre 2008, il permesso di costruire in sanatoria per il recupero del sottotetto a fini abitativi (conseguendo, pertanto, un distinto ed autonomo certificato di abitabilità), con la relativa trasformazione del relativo locale costituente originariamente un accessorio (agibile ma non abitabile) in una mansarda (agibile ed abitabile).

La mancata – o, comunque, erronea – applicazione dei criteri interpretativi denunciati comporta l’accoglimento del primo motivo, così come l’omesso esame di tutte le anzidette circostanze configura anche il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, stante la loro decisività, perchè, se valutate, avrebbero potuto condurre ad una pronuncia diversa, con la conseguente fondatezza anche della seconda censura.

2. Il terzo motivo del ricorso formulato dalla Morosolo Prima s.r.l. rimane assorbito per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi attinenti specificamente all’aspetto della responsabilità della ricorrente con riferimento al recupero delle somme richieste dagli originari attori (a titolo risarcitorio) in cui solo eventuale accertamento in sede di rinvio legittimerebbe una possibile condanna in via solidale (ove sussistenti i relativi presupposti, pure giustamente contestati dalla ricorrente) della stessa Morosolo Prima con l’ A..

Esame del ricorso di A.M..

1. Anche l’unico complesso formulato dall’ A. merita accoglimento per le stesse ragioni sostanziali indicate con riferimento all’omesso rilievo di fatti decisivi come esaminati rispetto alla posizione della ricorrente Morosolo Prima s.r.l., dal momento che la Corte territoriale, nell’impugnata sentenza, non ha considerato e preso in debita valutazione tutte le circostanze relative al trasferimento della proprietà dell’immobile in favore degli acquirenti N. – D., avuto riguardo specificamente allo svolgimento dei passaggi delle pratiche amministrative di sanatoria degli abusi riguardanti il sottotetto, alla natura degli stessi e alla effettiva imputazione dell’ultimo intervento di rendere abitabile il sottotetto, originariamente costruito ed alienato come vano accessorio ma non sfruttabile a fini abitativi, ancorchè con le già richiamate irregolarità per le quali era stato intrapreso il pregresso procedimento dl sanatoria.

La Corte di appello, a fronte delle specifiche contestazioni dell’appellante A., sostiene genericamente che il dato imprescindibile addotto a sostegno della domanda dei coniugi acquirenti era costituto dalla cessione di un immobile privo dell’essenziale requisito del certificato di abitabilità e che la Morosolo Prima e l’ A. avevano assunto ogni onere connesso, il che giustificava la loro condanna in favore degli stessi coniugi N. – D.. Senonchè questo percorso argomentativo si prospetta del tutto superficiale e contraddittorio in modo irrisolvibile laddove si afferma che non era ben chiaro a quale parte in causa si dovesse attribuire il diverso uso fatto del sottotetto (potendo essere rivolta la responsabilità ad ognuna di esse, compresi gli ultimi, acquirenti che, di fatto, avevano adibito il sottotetto a mansarda) e tutto ciò senza dar minimamente conto dei complessivi sviluppi – sul piano soggettivo, oggettivo e cronologico – delle pratiche amministrative di sanatoria riguardanti lo specifico immobile sia nell’esaminare la relativa documentazione pubblica sia nell’offrire una coerente interpretazione del contenuto degli atti di trasferimento dalla Morosolo Prima all’ A. e poi da quest’ultimo ai coniugi N. – D., al fine di pervenire all’individuazione di quale atto sanatoria avessero ottenuto i primi due (o uno dei due) e quale successivamente gli ultimi acquirenti e se, in particolare, questi ultimi due avessero ricevuto l’immobile con il sottotetto non abitabile (con l’indicazione di quando era intervenuta la sanatoria delle irregolarità originarie) e se fossero, poi, stati loro a trasformarlo in mansarda abitabile, procedendo al relativo mutamento di destinazione d’uso con l’ottenimento dell’inerente sanatoria nel 2008 e l’assunzione dei relativi oneri urbanistici.

L’esigenza di una puntuale ricostruzione nell’esaminare i predetti fatti (rimasta, invece, omessa) avrebbe decisivamente consentito alla Corte di appello di comprendere se la somma pretesa con l’atto di citazione dei coniugi N. – D. atteneva o no alla sanatoria per l’ottenimento del certificato dell’immobile in questione o se riguardava o meno la richiesta di sanatoria proposta dagli stessi coniugi, poi rilasciata, per il sopravvenuto mutamento di destinazione del sottotetto da accessorio agibile a residenziale abitabile (i cui oneri non avrebbero potuto, quindi, essere riversati sulla Morosolo Prima e sull’ A., ove dai relativi atti di trasferimento fosse emersa che la destinazione del sottotetto, prima dell’alienazione ai medesimi coniugi, era comunque rimasta non abitabile).

Per tali ragioni deve essere accolto anche il motivo proposto dall’ A..

Esame del ricorso incidentale di N.S. e D.L..

1. Il motivo del ricorso dei citati coniugi deve essere, innanzitutto, considerato autonomo (e, quindi, non dipendente) rispetto ai due ricorsi principali, perchè non attiene alla pretesa risarcitoria principale azionata nei confronti di entrambi i ricorrenti Morosolo e A. bensì investe il solo rapporto sostanziale intercorso tra gli stessi coniugi e l’ A., con riferimento alla dedotta spettanza di una somma richiesta in via alternativa nei confronti di quest’ultimo.

Partendo dal presupposto fattuale che all’atto della domanda introduttiva da parte dei coniugi N. – D. l’immobile dagli stessi acquistato aveva ottenuto il certificato di abitabilità fatta eccezione che per l’abitabilità del sottotetto (poi rilasciata in favore degli originari attori successivamente), è risultato appurato che con la sentenza di primo grado era stata emessa la condanna dei convenuti sia della somma di Euro 49.081,92, in via solidale, che dell’importo, equitativamente determinato in Euro 50.000,00, per la prospettata riduzione del valore del bene alienato dall’ A. ai predetti coniugi.

Decidendo sull’appello dell’ A. sul punto, la Corte di secondo grado, nell’interpretare correttamente – fornendone un’adeguata motivazione – la complessiva domanda proposta dai suddetti coniugi (con a quale gli attori avevano chiesto, per l’appunto, la condanna dell’ A. e della terza chiamata in causa al pagamento della citata somma di Euro 49.081,02 “a titolo di manleva delle sanzioni comminate dal Comune di Varese comprensive delle spese sostenute come determinate in atti, ovvero a titolo di risarcimento dei danni e riduzione di valore del bene”) e rapportandola al “decisum” del giudice di primo grado, ha rilevato l’errore commesso da quest’ultimo nel ritenere che fossero state proposte due domande cumulative, mentre appariva evidente che proprio l’adozione dell’avverbio “ovvero” avrebbe dovuto lasciare intendere che erano state formulate due domande alternative (ricondotte a due diversi titoli).

E, proprio sulla scorta di questa condivisibile impostazione, la Corte di appello rilevando che la domanda di riduzione del prezzo non era qualificabile come una domanda che si aggiungeva a quella di ristoro degli importi corrisposti ha pronunciato sulla stessa, ritenendola infondata poichè detta riduzione non sarebbe stata ipotizzabile (potendo avere un possibile fondamento nel caso in cui il certificato di abitabilità non fosse stato ottenuto). In tal senso, perciò, il giudice di secondo grado – rilevando l’errore del giudice di prime cure – non è incorso nella dedotta violazione processuale nell’escludere la fondatezza della domanda di riduzione e nel pronunciarsi sulla domanda relativa al pagamento della somma di Euro 49.081,92, confermandone la fondatezza, in conformità, per tale verso, a quanto ritenuto con la sentenza di primo grado del Tribunale di Varese.

Conclusioni.

In definitiva, pronunciando sui tre distinti ricorsi delle parti, ne consegue.

– l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso proposto dalla Morosolo Prima s.r.l., con assorbimento del terzo;

– l’accoglimento del ricorso di A.M.;

– il rigetto del ricorso incidentale di N.S. e D.L..

Da queste statuizioni deriva la cassazione con rinvio dell’impugnata sentenza in relazione ai ricorsi e ai relativi motivi accolti, mentre va respinto il ricorso dei suddetti coniugi N. – D., i quali, risultando definito con questa sentenza il rapporto processuale intercorso tra essi e l’ A. rispetto alla pretesa condanna di Euro 50.000,00 per il titolo prima indicato (l’unico oggetto del contendere sul quale è stato proposto il ricorso incidentale), devono essere condannati al pagamento, con vincolo solidale, delle spese del presente giudizio in favore dell’ A., che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Bisogna dare, altresì, atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei medesimi ricorrenti in via incidentale e con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

La regolazione delle spese dipendenti dalla cassazione dell’impugnata sentenza vanno rimesse al giudice di rinvio che si designa in una diversa Sezione della Corte di appello di Milano.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso proposto da Morolo Prima S.r.l. e ne dichiara assorbito il terzo; accoglie il ricorso formulato dal A.M. e rigetta il ricorso incidentale avanzato da N.S. e D.L..

Cassa l’impugnata sentenza in relazione ai ricorsi ed ai relativi motivi accolti e rinvia, anche per le spese concernenti i rapporti processuali ancora pendenti; ad una diversa Sezione della Corte di appello di Milano.

Condanna N.S. e D.L., in solido fra loro, al pagamento a favore di A.M., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali N.S. e D.L., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

 

 

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