Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11202 del 08/05/2017

Cassazione civile, sez. VI, 08/05/2017, (ud. 05/04/2017, dep.08/05/2017),  n. 11202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13219-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.G.;

– intimato –

avvero la sentenza n. 13572015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il

15/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/04/2017 dal Consigliere Dott. GIULIA IOFRIDA.

Fatto

FATTI di CAUSA

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, nei confronti di F.G. (che non resiste), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia Sezione staccata di Messina n. 135/02/2015, depositata in data 15/01/2015, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento per IRPEF dovuta in relazione all’anno 1995, a seguito di rideterminazione dei ricavi d’impresa, – è stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione di sentenza della C.T.R. che aveva ritenuto inammissibile il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate, in quanto proposto “oltre il termine breve” per impugnare, decorrente dalla data “del 23/10/2003” (nella quale il contribuente aveva consegnato direttamente all’Ufficio copia della sentenza di primo grado).

In particolare, i giudici della C.T.R., investiti del giudizio per revocazione, hanno sostenuto che non ricorreva l’errore percettivo di fatto, in quanto la questione della mancata rituale notifica della sentenza di primo grado aveva costituito un “punto controverso” tra le parti, sul quale il giudice si era pronunciato, risolvendo una questione di diritto (“la corretta applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38”).

A seguito di deposito di proposta ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti; il Collegio ha disposto la redazione della ordinanza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto i giudici non avevano considerato che la C.T.R., nella decisione oggetto di revocazione, non aveva “espresso una valutazione giuridica su atti esaminati” ma aveva soltanto dato per certa una notifica mai avvenuta.

2. La censura è infondata.

Invero, se l’errore revocatorio consiste “nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati”, l’aver ritenuto inammissibile l’appello, siccome notificato oltre il termine breve, sul presupposto, erroneo, della rituale notifica della sentenza di primo grado (effettuata invece, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, con consegna diretta di copia all’Ufficio), non costituisce un errore di fatto, bensì un errore di diritto, posto che l’applicazione dei principi in tema corretta notifica della sentenza, ex art. 38 citato, implica lo svolgimento di un processo argomentativo logico-giuridico che, di per sè, esclude il presupposto stesso della revocazione (Cass. 16136/2009; Cass. 26278/2016; Cass. 6511/2005).

Peraltro, come rilevato dai giudici della C.T.R., la questione aveva rappresentato un punto controverso tra le parti.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

Essendo l’amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore dei ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte soccombente).

PQM

Rigetta il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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