Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11198 del 24/04/2019

Cassazione civile sez. III, 24/04/2019, (ud. 17/12/2018, dep. 24/04/2019), n.11198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28386/2015 proposto da:

B.G., B.F., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 106, presso le studio dell’avvocato

VACCARO PAOLA, rappresentati e di:lesi dagli avvocati MASSIMO

GARZILLI, SALVATORE COPPOLA giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

TUA SPA, in persona del suo Procuratore Speciale Dott.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERIOLCNI, 55,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MARIA CORSO’, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO MARIA CORBO’

giusta procura speciale in calce al controricorso;

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIUSEPPE FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE

CORONAS, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO NAPOLI,

GIUSEPPE DE CARLO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

S.M., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1812/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/24/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Nel 2010, B.F., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul minore P.A., e B.G. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, S.M., C.G., S.L. e la Duomo Unione Assicurazioni S.p.a., per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti in proprio e iure hereditatis in conseguenza del decesso di D.B.M.B. (madre dei B. e nonna del P.) a seguito del sinistro stradale provocato dal minorenne S.M., alla guida del motoveicolo di proprietà del padre, S.L..

Esposero gli attori che il sinistro era da ricondursi a responsabilità esclusiva del ragazzo, che teneva una condotta di guida inidonea a salvaguardare il traffico dei pedoni in uscita dalla chiesa, come la D.B. e che la stessa aveva riportato un gravissimo trauma cranico encefalico che ebbe a portarla a decesso dopo 282 giorni di permanenza in ospedale in coma vegetativo subentrato alle lesioni.

Si costituirono in giudizio S.M. e C.G., madre del minore, contestando l’addebito di responsabilità mosso dagli attori e chiedendo il rigetto delle pretese attoree. All’udienza di precisazione delle conclusioni si costituì anche la Duomo Unione Assicurazioni chiedendo, in via principale il rigetto delle domande proposte dagli attori e, in via subordinata, la liquidazione del danno che fosse provato nei limiti del massimale di polizza. S.L. rimase contumace.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3034/2013, accertò la responsabilità esclusiva del minore nella causazione del sinistro e perciò condannò i convenuti S.M., S.L. e Duomo Assicurazioni S.p.a., nella qualità di conducente, proprietario e assicuratore del veicolo, a risarcire il danno subito dagli attori.

Quanto alla convenuta C.G., chiamata a rispondere in solido con il marito per fatto illecito del figlio ai sensi dell’art. 2048 c.c., il Tribunale respinse la domanda, ritenendo che non ne ricorressero i presupposti poichè la stessa, separata da diversi anni dal marito, non conviveva con il minore e non avrebbe potuto esercitare alcun controllo sull’utilizzo del motociclo da parte del figlio, peraltro abilitato ad esercitarsi nella guida del mezzo.

Relativamente alla liquidazione del danno, per quel che qui rileva, il Tribunale riconobbe agli attori il danno non patrimoniale sofferto dalla D.B. nel periodo tra investimento e decesso in termini di inabilità temporanea, escludendo invece la sussistenza di un danno biologico della D.B. in termini di postumi permanenti, posto che dalla documentazione medica e dalle perizie medico legali prodotte dagli attori risultava che la D.B. entrò in coma appena giunta al pronto soccorso e non ne uscì fino al decesso, nonostante i ripetuti interventi di neurochirurgia susseguitisi nel corso della degenza.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 1812/2015 del 27 aprile 2015.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione i signori B.F. e G., sulla base di due motivi.

3.1. Resistono con controricorso la Tua Assicurazioni S.p.a. (già Duomo Unione Assicurazioni S.p.a.) e la signora C.G.. Gli intimati S.M. e S.L. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 2059 e 2597 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c.”, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo”.

Secondo i ricorrenti la ricostruzione in fatto operata dal giudice dell’appello, divergente rispetto a quello operato in primo grado – perchè quest’ultimo ha rigettato la domanda di danno biologico permanente, mentre la Corte di Appello non si è espressa su tale voce di danno, argomentando solo sul danno morale – sarebbe carente e superficiale. La Corte d’appello, infatti, non avrebbe tenuto conto delle risultanze di documenti medici depositati agli atti, dai quali emergerebbe che la signora D.B. non sarebbe rimasta in condizioni di coma vegetativo ininterrotto per l’intero arco temporale dal sinistro alla morte, ma avrebbe avuto diversi periodi di risveglio, caratterizzati anche da movimenti finalistici. La Corte d’appello, inoltre, avrebbe erroneamente rigettato le istanze istruttorie volte a dimostrare tali circostanze.

Inoltre, avrebbe omesso qualsiasi riferimento alle risultanze di un referto di primo soccorso, dal quale emergerebbe che la signora D.B. “presentava gli occhi aperti in modalità spontanea, rispondeva alle domande, localizzava il dolore”.

Il motivo è inammissibile sotto vari profili.

Innanzitutto, le censure svolte dai ricorrenti sono inammissibili perchè mirano ad introdurre un diverso apprezzamento del fatto, rispetto a quello effettuato dal giudice di merito, risolvendosi in una diversa lettura delle risultanze processuali, effettuata dalla ricorrente, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità

Ciò senza contare che i ricorrenti non specificano neppure la fase e sede processuale in cui sarebbe stato prodotto il referto di primo soccorso il cui esame sarebbe stato asseritamente trascurato dalla Corte di Appello. D’altra parte, la deduzione del vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, è inammissibile perchè i ricorrenti non dimostrano che l’esclusione, da parte di entrambi giudici del merito, dell’assunto fattuale in questione (ovvero del fatto che la D.B., durante il corna, fosse in grado di percepire il proprio stato fisico) si basa su ragioni diverse (cfr. tra le più recenti Cass., sez. I, 24 agosto 2017, n. 20335).

4.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la “violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 2048,2054 e 2697 c.c., e degli artt. 115 e 166 c.p.c.”.

La sentenza impugnata sarebbe censurabile anche per aver escluso la responsabilità della madre di S.M. per il fatto illecito del figlio.

In primo luogo, la circostanza che il minore fosse munito di foglio rosa non sarebbe rilevante perchè il possesso di tale documento, non equivalente alla patente, gli avrebbe consentito solo di esercitarsi in luoghi poco frequentati e non quindi di circolare vicino ad una chiesa di domenica.

Inoltre, anche a non voler ritenere provata la convivenza tra i genitori del minore (i quali si sono affidati al medesimo difensore e hanno ricevuto le notifiche allo stesso domicilio), la madre non sarebbe comunque sottratta alla responsabilità ex art. 2048 c.c., non avendo la stessa fornito la prova della correttezza dell’educazione impartita.

Al contrario, emergerebbe dai documenti agli atti e, in particolare, dalla relazione dei servizi sociali, un quadro rappresentativo della responsabilità di entrambi i genitori per culpa in educando.

Infine, la Corte avrebbe errato nel non considerare che, dalla stessa relazione dei servizi sociali, emergerebbero indizi dell’effettiva convivenza dei coniugi, non facendosi in tale relazione alcun cenno allo stato di separazione personale di questi ultimi.

Ti motivo è infondato.

Secondo l’orientamento di questa Corte, la responsabilità del genitore per il danno cagionato dal fatto illecito del figlio minore non emancipato, a norma dell’art. 2048 c.c., è subordinata al requisito della coabitazione, perchè solo la convivenza può consentire l’adozione di quelle attività di sorveglianza e di educazione, il cui mancato assolvimento giustifica la responsabilità medesima (Cass. civ. Sez. III, 13/04/1979, n. 2195).

Di conseguenza, in mancanza del requisito della coabitazione, non può ritenersi sussistente la responsabilità diretta del genitore per fatto illecito del figlio di cui all’art. 2048 c.c..

Risultano poi irrilevanti, ai fini della configurazione della responsabilità della madre non convivente, sia la circostanza che il minore fosse in possesso del foglio rosa e non della patente, sia le risultanze della relazione dei servizi sociali.

Del resto, anche in questa sede i ricorrenti tendono in realtà ad una rilettura dei documenti e ad un riesame del merito della causa, e dunque ad una nuova e diversa valutazione da parte del giudice di legittimità, allo stesso preclusa.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità che liquidava ciascuno dei ricorrenti in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2019

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