Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11194 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. II, 07/05/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 07/05/2010), n.11194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C., R.L. e R.M.M. –

rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale a margine del

ricorso dall’avv. Boccia Michele presso il quale sono elettivamente

domiciliati in Ottaviano, alla piazza Duca d’Aosta, n. 33 personale;

– ricorrenti –

contro

Casa di Salute Santa Lucia S.r.l. – in persona del legale

rappresentante sig. M.M. – rappresentata e difesa in

virtu’ di procura speciale a margine del controricorso dall’avv.

Ferraro Nicola, unitamente al quale sono elettivamente domiciliati in

Roma, alla piazza di Novella, n. 1, presso l’avv. Luca Tutolo c/o

studio Torre;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3438 dell’1

dicembre 2003 – non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

marzo 2010 da Consigliere Dott. ODDO Massimo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 6 luglio 1987, il Presidente del Tribunale di Napoli ingiunse alla Casa di Salute Santa Lucia S.r.l. il pagamento della somma di L. 191.333.928 in favore del consulente del lavoro R. M., di cui L. 18.559.725 come corrispettivo dell’amministrazione del personale nell’anno 1986, e L. 172.374.203 della contabilizzazione di sgravi contributivi, ex L. n. 1089 del 1968 e segg., per il periodo settembre 1968 – settembre 1986.

La societa’ si oppose al decreto ed il Tribunale di Napoli con sentenza del 9 novembre 2000, in parziale accoglimento dell’opposizione, revoco’ l’ingiunzione e condanno’ l’opponente al pagamento in favore del R. della somma di L. 10.123.485 per l’amministrazione del personale nell’anno 1986, oltre interessi legali dal 2 luglio 1987 al soddisfo, rigettando le ulteriori pretese dell’opposto e la domanda riconvenzionale dell’opponente di condanna dello stesso al risarcimento dei danni per il suo recesso senza preavviso dal rapporto di collaborazione professionale.

La decisione, gravata da P.C. e da L. e L. e R.M., quali eredi di Ra.Mi., deceduto nelle more del giudizio, venne confermata l’1 dicembre 2003 dalla Corte di appello di Napoli, che rigetto’ l’impugnazione.

Premesso che nella disciplina delle professioni intellettuali il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso e la tariffa professionale costituisce una fonte suppletiva e sussidiaria, osservarono i giudici di secondo grado che il R. non poteva invocare la disposizione di cui al D.M. 20 marzo 1981, art. 23, u.c. che nelle zone ove operava la legislazione sugli sgravi del mezzogiorno prevedeva la corresponsione al consulente del lavoro incaricato dell’amministrazione del personale di un ulteriore compenso percentuale sugli importi degli sgravi contabilizzati, giacche’ l’opposto aveva specificato, sin dalla prima fattura emessa nel 1976, che il compenso annuale era stato determinato dalla parti convenzionalmente in modo forfetario e non vi era prova che l’originaria convenzione fosse stata modificata negli anni successivi. La P. ed i R. sono ricorsi per la cassazione della sentenza con un solo complesso motivo, illustrato da successiva memoria, e la Casa di Cura ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, il ricorso denuncia la nullita’ della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 1, dell’art. 23, u.c., della tariffa dei consulenti del lavoro approvata con D.M. 30 marzo 1981, dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., e per omessa o insufficiente motivazione su di un fatto decisivo controverso, giacche’:

1. ha escluso il diritto del consulente al compenso tariffario per la contabilizzazione degli sgravi contributivi relativi al periodo dal settembre 1968 al settembre 1986 sul rilievo che il corrispettivo della sua attivita’ di amministrazione del personale era stato determinato convenzionalmente in modo forfetario, benche’ l’esistenza di un preciso patto contrattuale sul quantum del corrispettivo fosse stata esclusa dalla decisione di primo grado relativamente all’attivita’ di amministrazione svolta nei primi nove mesi dell’anno 1986 e sul punto la mancata impugnazione aveva comportato la formazione di un giudicato;

2. non ha valutato che la determinazione convenzionale nell’anno 1976 del compenso forfetario per l’attivita’ di amministrazione del personale non poteva riguardare anche quella di contabilizzazione degli sgravi contributivi, essendo stato il diritto della societa’ a bene fidarvi riconosciuto solo nel 1982, e che l’onere della prova di una convenzione gravava sull’opponente e l’esistenza di essa era smentita dalla variazione del compenso corrisposto al consulente nei vari anni in base al numero dei dipendenti amministrati.

Il motivo e’ infondato.

Quanto al primo assunto, perche’ il giudice di primo grado non ha escluso neppure relativamente all’anno 1986, nel quale il consulente era receduto dal rapporto con la societa’, che l’attivita’ di amministrazione del personale fosse stata svolta in regime di abbonamento, ma, dopo avere preso atto dell’assenza di un preciso patto contrattuale che consentisse la determinazione del compenso per i soli nove mesi di attivita’ che avevano preceduto il recesso del consulente, ha ribadito l’operativita’ di tale regime, affermando che per la determinazione del compenso doveva essere fatta proporzionale applicazione dell’art. 23, tab. B, della tariffa professionale, il quale “prevede per l’attivita’ in abbonamento una percentuale variabile dall’1,5% al 4%, da applicarsi sull’ammontare delle retribuzione del personale amministrato, ove sia superiore a 50 unita’, come nella specie”.

Quanto al secondo, perche’ caratteristica peculiare del regime di abbonamento annuale e’ la previsione di un sistema di retribuzione forfetario, omnicomprensivo e prefissato ex ante, che prescinde dal rigoroso conteggio a consuntivo delle prestazioni effettivamente erogate, e non anche l’immutabilita’ del compenso nel tempo, ben potendo, e rientrando anzi nella fisiologia del rapporto, un suo adeguamento annuale ove previsto in base a parametri predeterminati, quali il numero dei dipendenti o l’importo lordo delle retribuzioni erogate, mutuati dalla tariffa professionale (vedi ora D.M. 15 luglio 1992, n. 430, art. 24).

Considerato, nel caso di specie, che le prestazioni professionali del consulente erano iniziate nella vigenza della tariffa approvata con D.P.R. 22 febbraio 1971, n. 256, che non prevedeva un compenso aggiuntivo agli onorari per gli adempimenti relativi all’amministrazione del personale nelle zone in cui operava la legge n. 1089/68 sugli sgravi del Mezzogiorno, il mero richiamo alla sopravvenienza del D.M. 30 marzo 1981, che tale compenso prevedeva, non valeva, quindi, a superare il rilievo che il meccanismo retributivo da quest’ultimo disciplinato trovava applicazione soltanto nell’ipotesi in cui il compenso per l’attivita’ di amministrazione del personale – nel quale la norma stessa fa rientrare, pur prevedendone una separata retribuzione, quella espletata per il riconoscimento di sgravi contributivi – non fosse stato gia’ concordato, all’atto dell’assunzione del relativo incarico, “in regime di abbonamento annuale” (cfr.: D.M. cit., art. 16) e non potesse conseguentemente farsi ricorso alla tariffa professionale (cfr.: cass. civ., sez. 2^, sent. 30 gennaio 1997, n. 935). La sentenza impugnata, da un lato, ha fatto corretta applicazione di tali principi e, dall’altro, ha dato esaustiva e coerente ragione di tale applicazione, giacche’ ha evidenziato che il consulente con il suo comportamento aveva originariamente riconosciuto e successivamente confermato nelle fatture emesse per i compensi annuali la pattuizione del regime di abbonamento annuale sia esplicitamente e sia implicitamente con l’omissione di qualsiasi riferimento alla tariffa professionale e specificazione delle proprie spettanze e delle spese sostenute, come imposto dal D.M. 20 marzo 1981, art. 14 e che nessuna prova egli aveva fornito per superare la presunzione dell’art. 16, comma 2, di tacito rinnovo dell’abbonamento non disdettato alla sua scadenza.

All’infondatezza del motivo seguono il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali, iva, cpa ed altri accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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