Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11193 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 20/05/2011), n.11193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SELEX SISTEMI INTEGRATI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato DI PIETROPAOLO CLAUDIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIANI RENATO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

e sul ricorso 10409-2008 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato DI PIETROPAOLO CLAUDIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIANI RENATO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SELEX SISTEMI INTEGRATI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e sul ricorso 10977-2009 proposto da:

SELEX SISTEMI INTEGRATI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato DI PIETROPA0L0 CLAUDIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIANI RENATO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

FINMECCANICA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5893/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/05/2008 r.g.n. 10401/03 per il ricorso n. 10977/09;

avverso la sentenza n. 5700/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/04/07 r.g.n. 2062/03 per il ricorso n. 10409/2008;

avverso la sentenza n. 7915/04 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/06 r.g.n. 2062/03 per il ricorso n. 3678/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato MONICA GRASSI per delega MORRICO ENZO;

uditi gli avvocati DI PIERPOALO CLAUDIO, MARIANI RENATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Roma, B.S., premesso di essere dipendente della Alenia Marconi System spa e di essere inquadrato nella 7^ ctg. CCNL metalmeccanici, chiedeva dichiararsi:

1) l’illegittimità del provvedimento di collocazione in cig adottato nel corso del 1993 e 2) il suo diritto all’inquadramento nel profilo di dirigente, od in subordine nella 8^ categoria, con decorrenza dicembre 1984, con condanna della convenuta al pagamento delle relative differenze retributive, oltre ad accessori di legge.

A fondamento della domanda il ricorrente affermava di aver svolto le mansioni rivendicate, analiticamente descritte in ricorso, dalla data di cui sopra; sosteneva, poi, l’insussistenza dei requisiti di cui alla normativa relativa alla cassa integrazione, e ciò in sintesi:

1) per non essergli stati comunicati i criteri di scelta dei lavoratori interessati, 2) per la non avvenuta ristrutturazione aziendale, posta a base della richiesta di Cigs avanzata all’Alenia, 3) per l’insussistenza di interdipendenza tra la causa integrabile e la propria sospensione. La società si costituiva e contestava la fondatezza della domanda, concludendo per il rigetto della stessa.

Esaurita la fase istruttoria, l’adito Giudice rigettava le domande.

Avverso detta decisione proponeva appello il B. insistendo nelle proprie pretese.

Si costituivano Alenia Marconi System spa e Finmeccanica spa, chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza non definitiva, del 26 gennaio 2006, l’adita Corte d’appello di Roma, ritenuta la illegittimità della sospensione in Cigs per la omessa comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali (o, in mancanza, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia), in parziale riforma della gravata sentenza, condannava Alenia Marconi System spa alla corresponsione delle differenze tra l’importo della retribuzione spettante all’appellante e quella percepita nei periodi di sospensione Cigs oltre accessori, disponendo con separata ordinanza il prosieguo del giudizio. Avverso tale pronuncia la Selex -Sistemi Integrati spa (già denominata Alenia Marconi System spa) ha proposto ricorso per cassazione (R.G. 3678/07) con un unico motivo, al quale resiste Salvatore B. con controricorso. Frattanto, con sentenza definitiva del 7 luglio 2005-17 aprile 2007, la Corte d’appello di Roma, sulla base del materiale probatorio acquisito, confermava la sentenza di primo grado in ordine alla mancanza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla superiore qualifica (8^ categoria in luogo della 7^).

Tale pronuncia è stata impugnata per cassazione, con ricorso n. R.G. 10409/08, dal B. con due motivi, cui resiste la società con controricorso. Con un terzo ricorso per cassazione (R.G. 10977/09), infine, la Selex -Sistemi Integrati spa ha impugnato altra sentenza della Corte d’appello di Roma, del 17/9/2007- 8/5/2008 che, dopo aver dichiarato che il B. era stato pesantemente e per lungo tempo dequalificato, mediante assegnazione di mansioni notevolmente inferiori a quelle di appartenenza e dopo avere ordinato alla società di adibirlo a mansioni proprie del detto livello (7^ ex ccnl metalmeccanici), ha condannato quest’ultima al risarcimento del danno per l’illegittimo demansionamento, quantificato equitativamente in Euro 100.000,00 netti, oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla data della sentenza di primo grado. Avverso quest’ultima pronuncia la Selex – Sistemi Integrati spa (già Alenia Marconi Systems spa) ha proposto ricorso con cinque motivi. Resiste B.S. con controricorso.

Nei giudizi introdotti con i tre ricorsi, le parti hanno anche depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione al ricorso n. R.G. 3678/07 dei ricorsi nn. R.G. 10409/08 e 10977/09, riguardanti le stesse parti ed implicanti la risoluzione di questioni connesse, pur trattandosi di impugnazioni avverso distinte sentenze. Deve affermarsi, infatti, che il principio posto dall’art. 274 c.p.c. -secondo cui se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice questi, anche di ufficio, può disporne le riunione- è di carattere generale e trova, quindi, applicazione anche nel giudizio di legittimità.

Se, infatti, scopo della norma – analogamente a quanto previsto dall’art. 151 disp. att. c.p.c., come sostituito dalla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 9 – è quello di attuare, oltre che l’economia e il minor costo dei giudizi, anche la certezza del diritto, non può tacersi che a norma del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65 la Corte di cassazione, quale organo supremo di giustizia, è istituzionalmente preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale ed appare incongruo ritenere che la ricordata disposizione, che ha, appunto, di mira, un tale risultato, non trovi applicazione in tale sede.

Pertanto, anche di recente, è stato affermato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 cod. proc. civ., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonchè l’unità del diritto oggettivo nazionale (Cass. S.U. n. 18125/2005).

La riunione delle impugnazioni, obbligatoria ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., ove investano la stessa sentenza, può essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro diverse sentenze pronunciate fra le medesime parti, in relazione a ragioni di unitarietà sostanziale e processuale della controversia; ed invero dalle disposizioni del codice di rito prescriventi l’obbligatorietà della riunione, in fase di impugnazione, di procedimenti formalmente distinti, in presenza di cause esplicitamente ritenute dal legislatore idonee a giustificare la trattazione congiunta (artt. 335 cod. proc. civ. e art. 151 disp. att. cod. proc. civ.), è desumibile un principio generale secondo cui il giudice può ordinare la riunione in un solo processo di impugnazioni diverse, oltre i casi espressamente previsti, ove ravvisi in concreto elementi di connessione tali da rendere opportuno, per ragioni di economia processuale, il loro esame congiunto (Cass. S.U. n. 18050/2010).

Tanto chiarito, va per primo esaminata la censura avanzata dal B., con il ricorso n. 10409/08, avverso la sentenza definitiva della Corte d’appello di Roma, con cui il B., denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la Corte di appello, pur chiamata a decidere sulla nullità della sentenza di primo grado emessa nei confronti di un soggetto mai convenuto in giudizio e mai costituitosi, appunto la Alenia Marconi Systems spa, non si è pronunciata, così violando l’art. 112 c.p.c..

In particolare, osserva che il ricorso introduttivo era stato notificato alla Alenia – un’azienda Finmeccanica spa, regolarmente costituitasi nel giudizio di primo grado, con “memoria difensiva e di costituzione” datata 31/5/1996; che in una successiva memoria datata 14/9/1998 dello stesso difensore costituito per la parte convenuta – resistente, quest’ultima era stata indicata come FINMECCANICA S.p.A., ramo d’Azienda Alenia, senza spiegazione alcuna; che, infine, nella intestazione delle note autorizzate in data 26/4/2001 sempre dello stesso difensore della convenuta, la parte resistente era stata indicata come ALENIA MARCONI SYSTEMS S.p.A., senza che risultasse la costituzione in giudizio di una società così denominata e sempre senza spiegazione alcuna. Il motivo va disatteso.

Va, infatti, considerato che dalla lettura del ricorso per cassazione nessuna deduzione risulta essere stata fatta dal ricorrente in primo grado, mentre in secondo grado, il B., pur chiedendo la declaratoria di nullità della sentenza, ha fatto sempre riferimento alla parte convenuta e, comunque, “passivamente legittimata”, senza prendere posizione specifica sul punto. A ciò va aggiunto che nessuna contestazione viene mossa in proposito nel giudizio introdotto con il ricorso n. 10977/09 -e di cui si è disposta la sopra specificata riunione- con cui la Selex – Sistemi Integrati spa (già Alenia Marconi Sistems spa) ha impugnato la sentenza della Corte d’appello di Roma del 17/9/07-8/5/08 che aveva accertato e dichiarato che ” B.S. non è adibito a mansioni corrispondenti al livello di appartenenza” con conseguente condanna della medesima società alla adibizione dello stesso alle mansioni proprie del detto livello di appartenenza (7 ex ccnl metalmeccanici) oltre al risarcimento del danno per l’illegittimo demansionamento.

Va, infine, rilevato che il merito della controversia, al quale il B. ha dedicato il secondo motivo -con cui si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 4 sub 7^ e 8^ categoria del CCNL 20/4/1983 per i dipendenti delle aziende metalmeccaniche a partecipazione statale- va risolto in senso sfavorevole al ricorrente, essendo infondato tale motivo. La formulata censura, infatti, non può essere accolta perchè si risolve in un riesame del merito che è precluso ai giudici di legittimità.

Lamenta, infatti, il ricorrente come dalla deposizione resa dal teste C. fossero emerse circostanze decisive a ritenere che il B. svolgesse mansioni e attività descritte nella 8^ categoria. In particolare secondo il ricorrente sarebbe sufficiente a provare ciò il fatto che il B. teneva il collegamento tra ente cui era preposto e il capo del personale dello stabilimento per cui poteva ritenersi provata la circostanza prevista nella declaratoria dell’8^ di aver svolto attività di coordinamento di servizi, uffici ed enti produttivi fondamentali per l’azienda.

L’assunto è infondato se si considera che il B. -come ha rilevato la Corte territoriale- non era preposto ad un ufficio, ente o servizio fondamentale per l’azienda, ma soprattutto non aveva mai avuto il compito di coordinare ufficio, un ente o un servizio fondamentale per l’azienda. Correttamente la Corte territoriale, nella disamina delle prove raccolte, ha concluso che non era emersa in capo al B. nè una ampiezza di poteri discrezionali propri dell’8^ livello, nè una materiale esperienza acquisita con il prolungato esercizio delle mansioni, nè infine – come accennato – poteva ritenersi raggiunta la prova della preposizione del B. ad attività di coordinamento di servizi, uffici o enti fondamentali per l’azienda.

Orbene, poichè ^fee la disamina delle prove raccolte involge un apprezzamento di fatto riservato ai giudice di merito e poichè nella sentenza la Corte territoriale ha ampiamente e chiaramente specificato le ragioni che conducevano a ritenere congruo l’inquadramento attribuito al B. nel 7^, anche questo motivo va disatteso.

Passando ora ad esaminare gli ulteriori motivi articolati negli altri ricorsi va innanzitutto rilevata la infondatezza dell’unico motivo contenuto nel ricorso n. 3678/07, con il quale la Selex – Sistemi Integrati S.p.A. (già Alenia Marconi System S.p.A.), denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 ed 8 della L. n. 164 del 1975, art. 5 e dell’art. 2967 c.c., dell’art. 2724 c.c., nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, assume che:

a) erroneamente la Corte d’Appello, nella sentenza non definitiva n. 7915/04, avrebbe ritenuto che i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere non fossero stati comunicati, atteso che la L. n. 164 del 1975, art. 5 (richiamato dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7) prevede che l’imprenditore sia solamente “tenuto a comunicare” …. la durata prevedibile della contrazione o sospensione ed il numero dei lavoratori interessati, sicchè non vi era …. alcun obbligo di comunicare i criteri e che, peraltro, nell’accordo del 24/3/1993 (sottoscritto con le OO.SS., in cui era stata regolata la sospensione in cigs) le parti stipulanti avevano espressamente dato atto di avere adempiuto alle comunicazioni di cui alla L. n. 164 del 1975, art. 5″;

b) la Corte d’Appello inoltre non avrebbe tenuto conto del fatto che le norme sopra citate non prevedono la necessità che la comunicazione alle OO.SS. dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione siano effettuate con una forma specifica ed in particolare per iscritto.

La Corte d’Appello avrebbe dovuto ammettere, pertanto, la prova testimoniale richiesta dalla Selex S.p.A. per provare che le comunicazioni erano state effettuate e che di ciò si dava atto in un accordo del 24/3/1993 tra le parti. Il ricorso è infondato.

Va in primo luogo rilevato che la sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi più volte espressi da questa Corte, secondo cui l’omissione della comunicazione dei criteri di individuazione del lavoratore da sospendersi in Cigs, alle organizzazioni sindacali non solo integra una vera e propria ipotesi di condotta antisindacale, ma – investendo anche un elemento della complessa fattispecie integrante la messa in cassa integrazione – configura pure un’ipotesi di illegittimità del provvedimento autorizzativo della cassa stessa (così, in un caso analogo, Cass. n. 26356/2005 e, più di recente Cass. n. 13240/2009). Correttamente, pertanto, la Corte di merito, constatato che nella specie non risulta “ex actis” che tale informativa sia stata fornita, non essendo sufficiente, al contrario di quanto dedotto da parte appellata, che sugli accordi le parti abbiano previsto e pattuito, in relazione alle persone da porre in CIGS, che queste avrebbero ruotato in base alle esigenze tecniche ed organizzative e alla fungibilità professionale, ha ritenuto illegittimo il provvedimento di sospensione con conseguente condanna del datore alla rifusione delle differenze retributive. Nessuna decisiva rilevanza assume il richiamo (più volte fatto nel ricorso dalla Selex S.p.A.) all’accordo in cui le parti si sarebbero date atto di avere esperito la procedura prevista dalla L. n. 164 del 1975, art. 5.

Sul punto la Corte ha osservato che “certamente l’obbligo di indicare nella comunicazione i criteri di scelta per l’individuazione dei lavoratori da sospendere non è soddisfatto con un generico rinvio alle esigenze tecnico – organizzative dell’impresa”. Va poi considerato che la società ricorrente non ha riportato nel ricorso – in violazione del principio di autosufficienza – il testo dell’accordo da cui dovrebbe evincersi la denunciata insufficienza di motivazione della sentenza impugnata.

Quanto alla mancata ammissione del mezzo di prova richiesto dalla società, si osserva che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci la mancata ammissione in appello di una prova testimoniale, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze che formano oggetto della prova, al fine di consentire il controllo sulla decisività dei fatti da provare in ordine alla risoluzione della controversia e sulle prove stesse. Infatti, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, siffatto controllo deve essere effettuato in base alle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative, non potendo svolgere una funzione sostitutiva il riferimento per relationem ad atti o scritti difensivi depositati nel giudizio di merito (così Cass. n. 12025/2000).

Nella specie, la parte ricorrente in violazione di tale principio si è limitata ad affermare che, non essendo richiesta ad substantiam la prova scritta della comunicazione dei criteri di scelta, del tutto erroneamente i giudici di appello di Roma non hanno ammesso la prova testimoniale sul contenuto della comunicazione, impedendo così alla Corte di legittimità il controllo sulla decisività dei fatti da provare in ordine alla risoluzione della controversia e sulle prove stesse.

La stessa Corte di merito, quindi, ha respinto l’istanza istruttoria anche in quanto genericamente formulata.

Anche su questo punto la sentenza è dunque esaurientemente e correttamente motivata.

Infondato è altresì il ricorso proposto dalla Selex Sistemi Integrati S.p.A. avverso la sentenza dell’8 maggio 2008 della Corte di merito, formulando cinque motivi di impugnazione.

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) lamenta che la Corte d’Appello avrebbe esaminato la sola condotta del datore di lavoro e non anche quella del lavoratore (più specificatamente l’asserito rifiuto del B. di prestare le nuove mansioni) e questo perchè – sostiene sempre la ricorrente – se il lavoratore è rimasto inoperoso, ciò era imputabile a suo comportamento.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., sostiene che la Corte territoriale, di fronte alla denuncia del lavoratore di avere subito una dequalificazione, non avrebbe svolto la doverosa indagine volta a verificare i contenuti concreti dei compiti precedenti e di quelli nuovi assegnati al B., non essendo sufficiente il mero riferimento in astratto al livello di categoria, con conseguente onere di quest’ultimo di allegare e precisare le mansioni svolte prima e dopo il cambiamento e di fornire la prova del proprio assunto.

Entrambi i motivi sono infondati, avendo la Corte d’Appello espressamente preso in esame la condotta tenuta nella fattispecie dal B., osservando come prima della dequalificazione il B. aveva svolto mansioni di Responsabile del personale di Zona con compiti di gestione quantomeno amministrativa di un certo numero di persone, mentre al rientro dalla prima Cigs (gennaio 1996) veniva trasferito all’ufficio contabilità clienti, “affiancato” ad un’impiegata di 5^ livello, incaricata di insegnargli la registrazione delle fatture; lo stesso, inoltre non aveva nemmeno una propria scrivania, ma era “appoggiato” a quella della stessa impiegata; a seguito delle rimostranze dell’impiegata, veniva spostato in altra stanza “con un grande bancone e tanta carta” ad archiviare documenti relativi alla contabilità clienti, mentre ad attività non dissimili venne adibito dal marzo 1997. Opportunamente il Giudice a quo, oltre a descrivere minuziosamente l’attività svolta dal B., ha anche rimarcato come fossero del tutto irrilevanti alcune circostanze, quali l’insufficienza dell’apporto dato dallo stesso nello svolgimento delle “nuove” mansioni “fatto più che normale per mansioni così lontane dalle proprie attitudini ed oltretutto svolte in condizioni psico – fisiche precarie ovvero il fatto che un teste abbia affermato che mai con lei il predetto si era lamentato del fatto che non avesse nulla da fare.

Così come del tutto ininfluente è stata ritenuta la circostanza, relativa al fatto che il B. avesse “sempre frapposto difficoltà ed ostacoli allo svolgimento degli incarichi affidati” essendo tale atteggiamento non solo spiegabile, ma anzi del tutto legittimo, di fronte al palese demansionamento.

Quindi non vi è stata alcuna omissione di motivazione, nè risulta ignorato dal Giudice il presunto fatto controverso e neppure risulta in tale iter motivazionale una violazione degli artt. 2103 e 2697 c.c. Con gli ulteriori tre motivi la società censura, sotto vari profili, la sentenza impugnata in ordine al danno riconosciuto al B., denunciando:

violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte territoriale avrebbe pronunciato oltre la domanda; violazione degli artt. 115, 414 e 420 c.p.c. in relazione agli artt. 2697 e 2729 c.c., art. 432 c.p.c., artt. 1223 e 1226 c.c. in quanto la Corte avrebbe riconosciuto il danno senza prova adeguata e sconfinando dai limiti posti dal codice di rito; violazione dell’art. 432 c.p.c., degli artt. 1223 e 1226 c.c. per avere, il Giudice d’appello, liquidato il danno in via equitativa senza che ne ricorressero i presupposti.

Anche queste censure vanno disattese.

Come emerge dalla parte espositiva della sentenza impugnata, il B. ha chiesto il risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti dalla dequalificazione subita.

Orbene, proprio facendo riferimento a tale forma di danno causato dall’accertato notevole demansionamento, il Giudice a quo, in mancanza di criteri tabellari o codificati e in presenza di una richiesta in tal senso, sia pure in via subordinata, ha proceduto ad una valutazione equitativa tenendo conto della particolare penosità e pesantezza del demansionamento (dalla settima alla quarta categoria), della sua durata (“circa cinque anni, dal rientro dal primo periodo di c.i.g.s. e sotto detrazione del secondo, di circa due anni”), della sostanziale inoperosità cui il B. era stato costretto per lunghi periodi, delle modalità di comportamento aziendale particolarmente afflittive (privazione di strumenti di lavoro essenziali e, per certi periodi, per sino di una stanza o di una scrivania autonoma, sottoposizione ad impiegati di livello anche di molto inferiore) e, infine, dell’assoluta violazione dell’ordine inibitorio emesso dal Tribunale in sede di reclamo avverso il richiesto provvedimento ex art. 700 c.p.c..

Sulla base di tali accertate circostanze ; coerentemente la Corte di merito ha ritenuto equo e ragionevole quantificare il danno in un importo economicamente significativo, corrispondente a due terzi della retribuzione lorda percepita, calcolata su una media presuntiva (stimata sulla base delle buste – paga prodotte) per il periodo di cinque anni, per un totale di Euro 100.000,00 oltre accessori.

In conclusione, nel caso in esame non vi è stato alcun illegittimo assolvimento dall’onere della prova, avendo la Corte d’Appello giudicato sulla base di plurime e circostanziate allegazioni documentali nonchè utilizzando con apprezzamento motivato lo strumento specifico della prova presuntiva.

Per quanto precede i ricorsi vanno rigettati.

L’esito dei giudizi induce a compensare tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce al ricorso n. 3678/07 quello con il n. 10409/08 e l’altro con il n. 10977/09, e li rigetta tutti. Compensa le spese in relazione a tutti e tre i procedimenti.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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