Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11192 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. II, 28/04/2021, (ud. 12/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 739/2016 proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO VITTORIO

MUZIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CO.LA.MA.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1646/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2021 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.A., già conduttore dell’immobile ad uso abitativo sito in (OMISSIS), di proprietà di T.V., aveva agito nei confronti della locatrice per ottenere il risarcimento del danno da mancata restituzione dei beni contenuti nell’abitazione, che in seguito all’esecuzione dello sfratto per finita locazione in assenza del C., erano stati affidati in custodia alla T..

La convenuta aveva resistito e proposto domanda riconvenzionale per ottenere il rimborso delle spese legali e di sgombero sostenute nella fase esecutiva.

1.1. Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 13841 del 2012, rigettò la domanda dell’attore e accolse la riconvenzionale

2. La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 21 maggio 2015, ha rigettato l’appello proposto dal C. nel giudizio riassunto nei confronti di Co.La.Ma., erede dell’originaria attrice.

2.1. La Corte territoriale ha ritenuto irrilevanti le prove orali dedotte dal C., evidenziando poi che nel giudizio di primo grado era stato accertato che la T. aveva invitato più volte il C. a concordare il prelievo dei beni che si trovavano nell’appartamento, e che l’efficacia probatoria ei documenti sui quali il Tribunale aveva fondato tale giudizio non era stata specificamente contestata.

2.2. Per altro verso, il C. si era limitato a dolersi che la T. gli aveva fornito l’indirizzo sbagliato della ditta che si era occupata dell’asporto dei beni, ma non aveva dimostrato di avere contattato la ditta depositaria, sicchè non v’era prova del nesso causale tra l’errore, colposo o intenzionale, della T. ed il danno azionato.

2.3. La Corte d’appello ha inoltre rilevato che le spese sostenute dalla T. relativamente alla procedura di rilascio non erano mai state contestate, mentre il gravame che investiva l’an della spesa sostenuta per l’intervento del fabbro era inammissibile per difetto di specificità.

2.4. La stessa Corte ha quindi confermato la valutazione del Tribunale in ordine sia all’assenza di ricadute – sul giudizio civile di responsabilità per cose in custodia – della sentenza di patteggiamento emessa nei confronti della T. per il reato di appropriazione indebita, sia alla riconosciuta efficacia di atto di messa in mora alla missiva in data 21 settembre 2006, recapitata anche alla parte personalmente oltre che al difensore.

3. Per la cassazione della sentenza C.A. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, Non ha svolto difese in questa sede l’intimata Co.La.Ma..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata violazione o falsa applicazione degli artt. 1768,1771,1177,1206,1209,1210,1211,1212,1214,1218 c.c. e art. 2697 c.c., comma 2.

Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa in errore nella parte in cui ha ritenuto sufficiente la comunicazione unilaterale della depositante, con arbitraria indicazione di un termine, per sollevare la T. dalla responsabilità che le incombeva in qualità di custode dei beni di proprietà del C..

In particolare, la comunicazione in data 21 settembre 2006 non costituiva atto di messa in mora del creditore, con effetti liberatori dell’obbligazione restitutoria del custode, e la violazione della disciplina del contratto di custodia.

2. Il motivo è inammissibile perchè si risolve nella sollecitazione di un nuovo esame del compendio probatorio.

2.1. La Corte d’appello, come già il Tribunale, ha ritenuto corretto il comportamento tenuto dalla T., in qualità di custode dei beni rimasti nell’immobile di sua proprietà dopo l’esecuzione del provvedimento di rilascio, stante l’indisponibilità del C. a riprenderseli.

L’accertamento è basato sulla valutazione della documentazione prodotta nei gradi di merito, dalla quale, secondo quanto si legge nella sentenza impugnata, emerge che la T. aveva invitato l’ex conduttore a provvedere all’asporto dei beni dall’appartamento, e solo dopo aveva provveduto a far sgomberare l’immobile a sue spese.

Si tratta di accertamento non sindacabile in questa sede, tanto più in assenza di specificità del ricorso, che non riporta neppure in stralcio i documenti richiamati.

3. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata nullità della sentenza ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

Il ricorrente censura la mancata valutazione della sentenza di patteggiamento come elemento di prova a suo favore, e la conseguente erronea applicazione della regola di riparto dell’onere probatorio.

3.1. Il motivo è privo di fondamento.

Non sussiste il vizio di motivazione denunciato ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4.

Tale vizio, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, è configurabile soltanto in caso di mancanza grafica della motivazione, o di motivazione del tutto apparente, oppure di motivazione perplessa od oggettivamente incomprensibile, oppure di manifesta e irriducibile sua contraddittorietà e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè, esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie (per tutte, Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053).

Nella specie, la sentenza impugnata è argomentata con riferimento a tutti i motivi di gravame, e sono enucleabili le ragioni poste alla base del rigetto o alla declaratoria di inammissibilità dei motivi stessi.

Risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte l’argomento con il quale è stato disatteso il terzo motivo di appello, che insisteva per la valutazione della sentenza ex art. 444 c.p.p., che ha definito il procedimento penale instaurato a carico della T. per il reato di appropriazione indebita, come elemento di prova a sostegno della domanda del C..

Il principio affermato da Sezioni Unite n. 17289 del 2006, richiamata dal ricorrente (confermata, tra le altre, da Cass. Sez. U. n. 21591 del 2013; Cass. Sez. L n. 30328 del 2017), riguarda soltanto i giudizi disciplinari, nei quali effettivamente la sentenza ex art. 444 c.p.c., esonera la controparte dall’onere della prova dei fatti ammessi in sede di patteggiamento.

Non sussistono, di conseguenza, le denunciate violazioni dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c..

4. Al rigetto del ricorso non fa seguito pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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