Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11191 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 20/05/2011), n.11191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MURANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GULFO NICOLA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI, 20, presso lo studio dell’avvocato BUCCICO ANGELA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SANTOCHIRICO VINCENZO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 792/2008 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 02/07/2008, R.G.N. 102/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 19/6 – 2/7/08 la Corte d’Appello di Potenza rigettò l’appello proposto il 26/1/06 da G.F., titolare della ditta “Bar Ristorante Esso”, avverso la sentenza n. 495/05 del giudice del lavoro del Tribunale di Matera del 16/2/05, con la quale era stato condannato a corrispondere al dipendente M.A. la somma di Euro 10.811,00 a titolo di differenze retributive, e lo condannò al pagamento delle spese del grado in favore dei difensori antistatari dell’appellato.

La Corte potentina addivenne a tale decisione sulla base delle seguenti considerazioni: l’eccepita estinzione del procedimento per intervenuta conciliazione era infondata, atteso che quest’ultima si era avuta limitatamente ai crediti afferenti all’ultimo periodo del rapporto lavorativo, così com’era infondata l’eccezione di prescrizione presuntiva di cui all’art. 2955 c.c., n. 5, in quanto applicabile solo ai rapporti di durata non superiore al mese;

inoltre, la sottoscrizione per sola “ricevuta”, apposta dal dipendente in calce alle buste paga, non poteva avere efficacia liberatoria del debito retributivo; infine, erano inammissibili i mezzi istruttori richiesti, cioè quelli di acquisizione dei libri paga e matricola, in quanto in possesso della parte datoriale autonomamente in grado di produrli, e di ammissione della prova testimoniale, atteso che un teste era stato già ascoltato in prime cure e la stessa richiesta non era funzionale alle esigenze probatorie emerse a seguito dell’impugnata decisione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G., affidando l’impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso il M.. Il ricorrente deposita, inoltre, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, vale a dire dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 2697 c.c., comma 2, e art. 1362 cod. civ., oltre che della insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente il giudice d’appello non avrebbe correttamente apprezzato il valore probatorio delle buste paga acquisite in atti, in quanto avrebbe erroneamente attribuito efficacia liberatoria solo a quelle firmate dal lavoratore “per quietanza” e non anche a quelle sottoscritte “per ricevuta”, così violando la disposizione di cui all’art. 116 c.p.c. in materia di valutazione di prove, i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., nonchè la regola del riparto degli oneri probatori di cui all’art. 2697 c.c., comma 2.

Spettava, quindi, al lavoratore, secondo tale prospettazione, dimostrare l’assunto della propria eccezione, vale a dire quella della non corrispondenza tra gli importi indicati nelle buste paga e quelli realmente percepiti, facendosi carico di chiedere l’accertamento della insussistenza del carattere liberatorio delle sottoscrizioni apposte su tali documenti.

A conclusione del motivo si chiede, pertanto, di accertare se il datore di lavoro sia tenuto all’onere probatorio sugli effettivi pagamenti eseguiti in favore del proprio dipendente, allorquando non abbia potuto provare la corresponsione delle retribuzioni mediante la normale documentazione liberatoria, e se questa possa ritenersi integrata nella fattispecie dalla produzione delle regolamentari buste paga recanti la firma del prestatore di lavoro; inoltre, si chiede di verificare se il lavoratore, il quale eccepisca la mancata o minore percezione delle somme indicate nelle buste paga da lui sottoscritte, sia tenuto a chiedere l’accertamento in ordine all’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni apposte e se la parte possa attivare il potere di controllo di legittimità dimostrando la mancanza di coerenza tra il convincimento del giudice e le fonti probatorie. Osserva la Corte che il motivo è improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Invero, l’architettura del motivo e del relativo quesito poggia sulla deduzione dell’asserito valore probatorio, ai fini della dimostrazione dell’esatto adempimento dell’obbligazione retribuiva, delle buste paga sottoscritte dal lavoratore nel periodo 1986 -1991, seppur con le diverse diciture “per quietanza” e “per ricevuta” e, tuttavia, il ricorrente non si è curato di produrre nel presente giudizio tali documenti, limitandosi ad annunciare, in calce al ricorso, il futuro deposito dei fascicoli di parte, in evidente spregio al principio della autosufficienza che deve contraddistinguere il giudizio di legittimità, così incorrendo nella sanzione di improcedibilità di cui al citato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. Infatti, come le Sezioni unite di questa Corte hanno già avuto modo di statuire (Sez. Un. Ordinanza n. 7161 del 25/3/2010), “in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto;

tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 cod. proc. civ., per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione dl documento, ai sensi dell’ari 369, comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento; e) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso”.

2. Col secondo motivo si deduce il vizio di insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e ci si duole del fatto che il giudice d’appello ha ritenuto tardiva ed inammissibile la richiesta di ammissione dei mezzi istruttori, rappresentati dalla acquisizione dei libri paga e matricola e dalla prova testimoniale, che erano diretti a dimostrare l’avvenuto pagamento delle somme indicate nelle buste paga.

Il motivo è infondato in quanto non investe la “ratio decidendi” della decisione di esclusione dei mezzi istruttori, decisione che si fonda, oltretutto, su presupposti immuni da vizi di carattere logico – giuridico.

Invero, il ricorrente non censura minimamente la ragione per la quale il giudice d’appello respinse la richiesta di acquisizione dei libri paga e matricola, vale a dire il fatto che tale richiesta proveniva proprio dalla parte datoriale, la quale ne doveva essere necessariamente in possesso e che avrebbe potuto tempestivamente produrli in giudizio. Nè, tanto meno, il ricorrente dice alcunchè sul fatto che uno dei motivi dell’esclusione della prova testimoniale fu proprio quello di ritenere superflua l’audizione di un teste già ascoltato in prime cure. Infine, nemmeno è spiegato dal ricorrente perchè sarebbe errata la restante parte della motivazione della sentenza impugnata che fa, invece, logicamente riferimento alla mancanza di funzionalità della prova orale richiesta rispetto all’esigenza probatoria rappresentata dall’appellante solo all’esito della decisione di prime, posto che il G. si limita semplicemente ad insistere sulla considerazione che si tratta di mezzi indispensabili ai fini della verifica della corrispondenza tra le somme indicate e quelle erogate. Tuttavia, tale apodittica affermazione non supera le ragioni logiche esplicitate in sentenza per il rigetto delle istanze istruttorie.

Ne consegue che sotto tale aspetto il ricorso va rigettato.

In definitiva, il ricorso va dichiarato improcedibile in relazione al primo motivo e rigettato per il resto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso improcedibile in relazione al primo motivo e lo rigetta per il resto. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario e di Euro 27,00 per esborsi, oltre IVA, C.P.A e spese generali ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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