Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1119 del 18/01/2018


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Cassazione civile, sez. trib., 18/01/2018, (ud. 25/09/2017, dep.18/01/2018),  n. 1119

Fatto

RILEVATO CHE:

ritenuto che l’Agenzia dell’entrate ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr), che ha confermato la sentenza di primo grado, favorevole per la contribuente, in relazione a una istanza di rimborso del credito Iva risultante dall’ultima dichiarazione presentata dalla società (rimborso che l’Amministrazione finanziaria aveva negato in quanto la relativa istanza fu proposta oltre il termine biennale di decadenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, avendo la stessa Amministrazione disconosciuto la richiesta avanzata in sede di dichiarazione, assumendola effettuata in modo difforme dalle disposizioni all’epoca vigenti, che prevedevano la presentazione dell’apposito modello “VR”).

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il ricorso è proposto sulla base di due motivi, i quali pongono la questione se il diritto al rimborso del credito Iva per l’anno 2002, nel caso in cui la richiesta non fosse stata effettuata mediante la compilazione dell’apposito modello previsto dalle disposizioni all’epoca vigenti (modello “VR”), ma mediante l’esposizione nell’apposito rigo e colonna della dichiarazione Modello Unico 2003, dovesse essere fatto valere nel termine di decadenza previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, oppure nel termine ordinario di prescrizione decennale;

– la giurisprudenza di questa Corte è saldamente orientata nel senso che l’esposizione del credito Iva nella dichiarazione annuale, mediante la compilazione dell’apposito quadro e rigo “Importo di cui si chiede il rimborso”, pure nella vigenza del modello VR, costituiva idonea e rituale domanda di rimborso, idonea a mettere fuori gioco l’art. 21 cit., in linea di principio applicabile anche in materia di rimborso di credito Iva, qualora la richiesta sia fatta con modalità diverse da quelle previste nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (Cass. 20039 del 2011; Cass. 6986 del 2014; Cass. 4145 del 2016);

– occorre poi considerare che la presente fattispecie è pacificamente caratterizzata dal fatto che la dichiarazione contenente l’indicazione del credito fu l’ultima presentata dalla società;

– il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, dispone che, se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare dell’Iva detraibile, aumentato delle somme versate mensilmente, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero, in presenza dei presupposti di legge (commi terzo e quarto dello stesso art. 30) e comunque in caso di cessazione di attività, di chiederne il rimborso;

– il fondamento giuridico di tale previsione legislativa, secondo cui in caso di cessazione di attività il contribuente può chiedere “comunque” il rimborso dell’imposta (senza limiti di importo), è ravvisato nell’impossibilità di fatto, da parte dei contribuenti che abbiano cessato l’attività di impresa, di recuperare l’eccedenza di Iva a credito, emergente dalla dichiarazione annuale, attraverso l’esercizio del diritto di detrazione nell’anno successivo;

– quanto al termine applicabile per l’esercizio del diritto al rimborso correlato alla cessazione di attività, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, la relativa richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizioni specifiche;

– infatti “quella del rimborso dell’eccedenza d’imposta all’atto della cessazione dell’attività non è una ipotesi che può ritenersi non regolata da alcuna disposizione (con la conseguente applicabilità del termine biennale di decadenza cui fa riferimento l’amministrazione), poichè si tratta di fattispecie regolata, appunto, dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2”, in considerazione della materiale impossibilità dell’esercizio del diritto di detrazione nell’anno successivo (Cass. n. 25318/2010; n. 9794/2010; n. 5486/2003);

– in conclusione, da qualsiasi parte si consideri la vicenda, la decisione della Ctr, che ha ritenuto tempestiva l’istanza di rimborso nell’ottobre 2006 per l’anno 2002, è immune dalle censure mosse con il ricorso, che va conseguentemente rigettato;

tenuto conto della evoluzione registratasi nella giurisprudenza in questa materia, consolidatasi nel senso di cui sopra dopo la proposizione del ricorso, si ritiene di disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il ricorso; dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2018

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