Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11189 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 20/05/2011, (ud. 17/01/2011, dep. 20/05/2011), n.11189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., L.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VTA MARIO FANI 37, presso lo studio dell’avvocato CAUDULLO

RAFFAELE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PES

FABIO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. CROCE IN

GERUSALEMME 55, presso lo studio dell’avvocato MASSAFRA PAOLA, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 151/2 006 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 24/06/2006 r.g.n. 180/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/01/2011 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato MASSAFRA PAOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

L.F. e M.A. dipendenti dell’INPDAP hanno convenuto in giudizio il loro datore di lavoro per ottenere il riconoscimento del diritto ad essere inquadrati nella posizione economica C1.

Hanno esposto di essere stati comandati presso l’INPDAP quali dipendenti dell’Ente Poste divenuto poi Poste Italiane S.p.A., dove erano inquadrati in Area operativa provenendo dalla sesta categoria, e quindi, non essendovi corrispondenza tra i profili professionali previsti nei due enti, di aver diritto al momento del definitivo passaggio all’INPADP all’inquadramento nel settimo livello del personale dell’ente poi divenuto area C professionale, livello retributivo C1.

La domanda nella resistenza dell’INDAP è stata rigettata, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di Brescia.

La Corte territoriale motiva il rigetto del gravame osservando anzitutto che l’inquadramento superiore richiede una completa valutazione delle mansioni non essendo decisive per la loro genericità le relative declaratorie. Quindi mette in evidenza che al momento del passaggio dei lavoratori all’INPDAP era in vigore presso l’Ente Poste la nuova classificazione introdotta dal CCNL del 1994, sicchè non poteva più farsi riferimento alle qualifiche quarta, quinta e sesta, tutte confluiti, ormai nell’Area operativa, con previsione di equivalenza di tutte le diverse mansioni esigibili.

La Corte nota ancora che il comando e il definitivo trasferimento dei lavoratori presso l’ente previdenziale erano stati disposti in forza di un DPCM in base al quale l’inquadramento presso l’ente di destinazione sarebbe avvenuto, avendo riguardo alle qualifiche di provenienza come indicate dal datore di lavoro, nella corrispondente qualifica funzionale individuata nel provvedimento senza che l’INPDAP potesse discostarsi datali indicazioni.

La Corte sottolinea che i ricorrenti avevano chiesto l’inquadramento superiore postulando una formale equivalenza tra l’inquadramento da essi ricevuto presso l’Ente Poste, e la settima qualifica, senza allegare però quali fossero state le mansioni da essi svolte in concreto presso il precedente e il nuovo datore.

Tali indicazioni, ad avviso della Corte, sono essenziali ed è inutile per contro il riferimento in astratto alle precedenti classificazioni. Al riguardo il giudice del merito mette in luce che sull’inquadramento attribuibile ai ricorrenti vi era una stata una duplice valutazione di carattere ricognitivo da parte di Poste italiane, effettuata una prima volta al momento del comando, disposto infatti per gli specifici profili professionali richiesti dall’INPDAP, ed una seconda volta al momento del trasferimento definitivo in base al DPCM. Secondo la Corte non sarebbe sufficiente a dar fondamento alla domanda la considerazione della diversa professionalità espressa dall’Area operativa a seguito dell’accorpamento in essa dei tre precedenti livelli 4^, 5^ e 6^, dal momento che la procedura di mobilità dava rilievo solo alle mansioni esercitate in concreto presso il precedente datore di lavoro. Così stando le cose, i ricorrenti avrebbero dovuto chiedere all’Ente Poste il riconoscimento della qualifica superiore o, per il periodo di comando, dolersi con lo stesso ente per l’eventuale dequalificazione da utilizzazione in compiti inferiori alla qualifica, e solo una volta ottenuto tale formale riconoscimento, avrebbero potuto invocarlo anche nei confronti del nuovo datore di lavoro.

Secondo la Corte le declaratorie relativa al livello rivestito presso il precedente datore di lavoro, per il loro carattere generico comprendono tanto il profilo B1 quanto il profilo B2 della classificazione contrattuale applicabile nell’INPDAP, sicchè solo la concreta considerazione delle mansioni svolte avrebbe consentito di individuare quale classificazione i ricorrenti meritassero.

La Corte osserva infine, conclusivamente, che, oltre a non aver dato prova del diritto all’inquadramento superiore rivendicato, i ricorrenti non avevano neppure allegato circostanze di fatto utili per poter eventualmente valutare la legittimità del DPCM di equiparazione, e per consentirne, quindi, ove necessario, la disapplicazione.

L.F. e M.A. chiedono la cassazione di questa sentenza con ricorso per tre motivi.

L’INPDAP resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denuncia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, dell’art. 2103 c.c.; del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 1, 2, 5, 30, 52, 72; della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10;

della L. n. 797 del 1981, art. 3; degli artt. 40, 43 e 53 del CCNL Poste Italiane s.p.a 26 novembre 1994; delle declaratoria della categoria B – 1/ C della CCNL 1998/2001 comparto enti pubblici non economici del 5 agosto 1999; dell’art. 1406 c.c.: dell’art. 2112 c.c..

I ricorrenti sostengono, in sintesi, che essendo oggetto della loro domanda l’illegittimità dell’inquadramento operato dall’INPDAP e non il riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori, il giudice del merito avrebbe errato nel ritenere necessario un raffronto concreto fra le mansioni svolte presso il precedente datore di lavoro e la qualifica attribuita dall’ente previdenziale, rendendosi invece necessario un raffronto fra le posizioni di lavoro dell’ordinamento postale e le corrispondenti posizione di lavoro dell’ordinamento INPDAP per individuare, per ciascuna posizione nel lavoro postale, quella che presenta caratteri di maggiore affinità ed omogeneità che pertanto possa considerarsi equiparabile a) quella prevista presso il nuovo datore di lavoro. -Tale raffronto deve essere effettuato individuando nell’assetto del personale INPDAP la posizione di lavoro più simile a ciascuna posizione del lavoro presso le Poste, indipendentemente dalla collocazione di quest’ultima in una qualifica funzionale corrispondente. In tale operazione inoltre non ci si potrebbe limitare all’esame della corrispondenza degli inquadramenti con le declaratorie del nuovo sistema di classificazione del CCNL Poste del 1994, dove le precedenti categorie sono confluite in un’unica area, visto che all’interno delle diverse aree configurate dal contratto è stata comunque mantenuta una precisa distinzione economica, espressiva di una graduazione delle professionalità, come del resto – secondo i ricorrenti – riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza 15051/2000.

Il motivo non può essere accolto.

Anzitutto è mancata la produzione integrale del CCNL Poste del 1994, sul quale il motivo in gran parte si fonda. Lo stesso deve dirsi anche per il contratto integrativo, anch’esso richiamato, con riproduzione però solo di un brevissimo enunciato.

Ma ciò che più conta è che la tesi fondamentale sostenuta dai ricorrenti, secondo la quale la loro collocazione nell’Area operativa prevista dal richiamato CCNL 1994 non precluderebbe ai fini del successivo inquadramento presso l’INPDAP la considerazione della loro provenienza dalla ex 6^ categoria del precedente ordinamento professionale delle Poste italiane,, deve considerarsi erronea alla luce della giurisprudenza di questa Corte – che supera il precedente orientamento invocato dai ricorrenti- secondo cui la contrattazione collettiva, muovendosi nell’ambito, e nel rispetto, della prescrizione posta dall’art. 2103 cod. civ., comma 1 – che fa divieto di un’indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale ed essendo riconducibili alla matrice comune che connota la declaratoria contrattuale – è autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra le mansioni per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal citato art. 2103 cod. civ., comma 2 (Cass. Sez. Un. 25033/2006 che, decidendo una questione di massima di particolare importanza, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto legittima la clausola di fungibilità espressa dall’art. 46 del CCNL 26 novembre 1994 per i dipendenti postali, recante l’intercambiabilità delle mansioni, con esclusione delle mansioni tecniche, all’interno della stessa area operativa e di quella di base, sul verificato presupposto della ricorrenza delle necessità di servizio, la cui sussistenza, nella specie, non risultava contestata, se non in termini assolutamente generici, dalla lavoratrice; in senso conforme, v. Cass. 5285/2007).

Tale indirizzo, coerentemente applicato, ha infatti condotto a ritenere scorretto il rilievo centrale attribuito all’esistenza di posizioni retributive differenziate all’interno dell’area, osservandosi in proposito che, per ritenerle vere e proprie qualifiche, sarebbe stato necessario ricostruire l’intenzione dei contraenti onde verificare se consentissero di collegare determinate mansioni alle diverse posizioni retributive, sancendo in pratica l’ultra – attività del sistema di inquadramento precedente (Cass. 6043/2007).

Del resto, nel medesimo ordine di idee è stato affermato da questa Corte che con riferimento al rapporto lavorativo contrattualizzato dei dipendenti postali, anche l’accordo sindacale del 17 febbraio 1999, destinato a dare attuazione in materia di mobilità al contratto collettivo del 26 novembre 1994, deve essere inserito, ed interpretato, all’interno del sistema di classificazione del personale introdotto con il contratto collettivo e del principio del valore indifferenziato delle mansioni in precedenza di 4^, di 5^, e di 6^ categoria, e dello svolgimento di esse in maniera indifferenziata da parte di tutto il personale della medesima Area Operativa. Di conseguenza, anche un riferimento improprio alle categorie contenute in un accordo successivo al 1994 non può avere forza espansiva e, in particolare, non può attribuire rilevanza allo svolgimento di fatto di mansioni classificate come superiori dal precedente ordinamento pubblicistico e ora appartenenti ad un’unica area, non comportando, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, nè il diritto alla attribuzione, in via definitiva, di quelle specifiche mansioni, nè il diritto all’inserimento in una graduatoria di mobilità che faccia riferimento ad una categoria piuttosto che in una diversa graduatoria che faccia riferimento ad altra categoria. (Cass. 14810/2007).

In conclusione, poichè i ricorrenti sostengono che il principio della valutazione della maggiore affinità tra i profili professionali da considerare, comporterebbe il loro inquadramento nell’area C livello C1 del ccnl applicabile presso l’INPDAP, non già in relazione al precedente inquadramento in Area operativa ma in relazione alla loro provenienza dalla 6^ categoria del precedente inquadramento pubblicistico, tale conclusione, in relazione agli esiti giurisprudenziali sopra riferiti, non può in ogni caso essere avallata e ciò comporta il rigetto del motivo a prescindere dalla circostanza che la sentenza impugnata, nella parte in cui patrocina la tesi dell’indagine in concreto sulle mansioni svolte nel periodo di lavoro alle dipendenze dell’Ente Poste, sia o no corretta, ed a prescindere altresì dal recentissimo orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte che con la sentenza 503/2011, hanno fissato il principio secondo cui “In tema di mobilità del personale, con riferimento al trasferimento del lavoratore dipendente dell’Ente Poste Italiane all’INPDAP, presso il quale si trovava già in posizione di comando, effettuato ai sensi del D.L. 12 maggio 1995, n. 163, art. 4, comma 2, convertito nella L. 11 luglio 1995, n. 273, verificandosi solo un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto medesimo assimilabile alla cessione del contratto, compete all’ente di destinazione l’esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti, senza che su tali profili possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui D.P.C.M. 7 novembre 2000 – atto avente natura amministrativa, in quanto proveniente da una autorità esterna al rapporto di lavoro – non assolve alla funzione di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro, mancando un fondamento normativo all’esercizio di un siffatto potere, ma solamente a quella di dare attuazione alla mobilità (volontaria) tra pubbliche amministrazioni. Ne consegue che l’equiparazione della 6^ qualifica funzionale dell’Ente Poste Italiane all’area B, posizione economica B2, dell’INPDAP, contenuta nel citato D.P.C.M., non ha efficacia vincolante, dovendosi ritenere giuridicamente giustificata la verifica compiuta dal giudice di merito sulla correttezza dell’inquadramento spettante al lavoratore, sulla base dell’individuazione, nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell’amministrazione di destinazione, della qualifica maggiormente corrispondente a quelle di inquadramento prima del trasferimento. (Sez. Un. 503/2011).

Il secondo motivo di ricorso denunzia, unitamente a vizio di motivazione, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 2103 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 anche con riferimento al D.P.C.M. 7 novembre 2000; della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10; della L. n. 273 del 1995, art. 4.

I ricorrenti sostengono, in sintesi, che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente attribuito al DPCM indicato in rubrica un’efficacia preclusiva di un diverso inquadramento che invece tale atto non possiede, trattandosi di atto di macro organizzazione non lesivo in via immediata della posizione dei ricorrenti ma volto come tale a realizzare le condizioni tutte per il trasferimento nel nuovo ente degli stessi dipendenti.

Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, unitamente a vizio di motivazione, è denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto ovvero in particolare dell’art. 2103 c.c. anche con riferimento al D.P.C.M. 7 novembre 2000; della L. n. 449 del 1997, art. 53, comma 10; del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52.

I ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata, dando rilievo alle mansioni in concreto effettuate e ritenendo necessario eventualmente il conseguimento di un superiore inquadramento presso l’ente di provenienza, a norma dell’art. 2103 c.c., non aveva considerato che essi non avevano mai posto il problema dell’acquisizione di un inquadramento superiore per effetto delle mansioni svolte, ma solo quello del legittimo inquadramento, e non aveva comunque tenuto conto della unitarietà del rapporto pur nella modifica del soggetto datore di lavoro.

I due riferiti motivi devono considerarsi assorbiti, dal momento che, ove pure essi dovessero considerarsi fondati – ciò che vale in particolare per il secondo motivo in relazione alla recente decisione delle Sezioni unite sopra richiamata – non potrebbero condurre all’accoglimento del ricorso date le considerazioni svolte riguardo al primo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ma la complessità della questione induce la Corte a compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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