Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11188 del 08/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/05/2017, (ud. 03/04/2017, dep.08/05/2017),  n. 11188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14729/2012 proposto da:

C.P., (OMISSIS), C.C. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO LOMBARDI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ENRICO AGOSTINIS;

– ricorrenti –

contro

C.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO 190, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FAVINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO TARLAO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 44/2012 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 18/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/04/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato ENRICO AGOSTINIS, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e delle difese esposte;

udito l’Avvocato ALBERTO TARLAO, difensore della controricorrente,

che ha chiesto l’accoglimento degli scritti depositati;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 18.1.2012 la Corte d’Appello di Trieste ha accolto l’appello di C.M. nei confronti dei nipoti C.P. e C. (figli del fratello premorto R.) e, ribaltando l’impugnata decisione del Tribunale di Gorizia, ha disposto la cancellazione dal libro fondiario del decreto di intavolazione, a nome di questi ultimi, del diritto di proprietà di una metà di beni immobili lasciati da R.A. (rispettivamente, madre e nonna delle due parti in lite), deceduta il (OMISSIS).

Per giungere a tale soluzione, la Corte giuliana, dopo aver rilevato che l’appellante, quale erede universale testamentaria della madre R.A., aveva ottenuto un decreto di revoca della precedente certificazione ereditaria rilasciata ai figli del fratello premorto R., ha osservato che nessuna disposizione di legge prevede l’obbligo di comunicazione della pendenza dl procedimento di revoca del certificato di eredità ai titolari di diritti reali immobiliari iscritti sul libro fondiario in base al certificato medesimo; ha sottolineato la diversità di disciplina rispetto alla procedura per il rilascio di detto certificato e ha ritenuto che il diritto di difesa degli interessati viene comunque assicurato dalla possibilità di proporre il reclamo contro il decreto di revoca del certificato di eredità. La Corte di merito ha quindi osservato che, in mancanza di reclamo, il decreto di revoca del certificato di eredità, come ogni decreto tavolare, non può essere a sua volta revocato, modificato nè messo in qualche modo nel nulla, sicchè il primo giudice non poteva rilevare una nullità sulla base di una violazione (quella del contraddittorio) non sussistente.

Da tali considerazioni, la Corte triestina ha fatto discendere l’ammissibilità (ex artt. 61 e segg. Legge Tavolare) dell’azione contenziosa di cancellazione del decreto di intavolazione nei confronti dell’erede apparente a norma dell’art. 20, lett. f) della Legge Tavolare, rilevando comunque che dal testamento olografo della R., neppure impugnato, risultava come unica erede la figlia M., come tale unica proprietaria dei due cespiti immobiliari, mentre gli appellati erano istituiti come semplici legatari di una somma di danaro (in rappresentazione del genitore premorto).

2 Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso C.P. e C., sulla base di tre motivi a cui resiste con controricorso M..

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1-1 Con il primo motivo i due fratelli C. denunciano violazione e falsa applicazione del R.D. n. 499 del 1929, artt. 20, 23 e 16; degli artt. 101, 102, 739 c.p.c. e segg., artt. 24 e 111 Cost. e artt. 112 e 156 c.p.c. e segg. – Nullità della sentenza. Ad avviso dei ricorrenti, la tesi seguita dalla Corte d’Appello non si coniuga con l’ordinamento positivo, nè con i principi informatori dello stesso anche di rango costituzionale; sostengono che la regola del contraddittorio prevista normativamente per la fase di rilascio deve necessariamente applicarsi anche nella fase di revoca perchè, diversamente ragionando, sarebbe palese la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. Richiamano poi il principio giurisprudenziale che estende il contraddittorio ai procedimenti di volontaria giurisdizione in cui sia identificabile un controinteressato, nonchè il principio del giusto processo e rilevano che, per espresso richiamo contenuto nell’art. 23 della Legge Tavolare, il procedimento dinanzi al Tribunale in composizione monocratica è regolato dalle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio.

1-2 Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 324, 112 e 345 c.p.c., con conseguente violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c. – Nullità della sentenza. Rilevano in proposito che la Corte d’Appello ha recepito un’eccezione (quella dell’ipotetico “giudicato esterno” formatosi sul decreto di revoca del certificato di eredità) sollevata per la prima volta da C.M. in appello. Sostengono che in ogni caso la Corte non poteva rilevare di ufficio il giudicato esterno.

1-3 Con il terzo ed ultimo motivo i ricorrenti deducono infine violazione e/o falsa applicazione del R.D. n. 499 del 1929, artt. 20-23, nonchè dell’art. 324 c.pc.. e art. 2909 c.c. – Nullità della sentenza. Sostengono in proposito che la tesi seguita dalla Corte d’Appello sulla stabilità giuridica del decreto di revoca del certificato di eredità e della sua idoneità ad acquistare efficacia di giudicato, si rivela errata perchè nel caso di specie deve trovare applicazione a regola generale della revocabilità “in ogni tempo” prevista per i provvedimenti in camera di consiglio, la cui disciplina è applicabile in virtù di espressa richiamo contenuto nell’art. 23 della Legge Tavolare.

Ritengono che nel caso di specie non sia applicabile l’istituto del reclamo e ne illustrano le ragioni.

2 Le censure dei ricorrenti vanno dichiarate inammissibili per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.).

Secondo un principio già affermato da questa Corte ed oggi ribadito dal Collegio, l’iscrizione nel libro fondiario del R.D. 28 marzo 1929, n. 499, ex art. 2, è elemento costitutivo per la fattispecie acquisitiva dei diritti reali immobiliari solo per la costituzione o il trasferimento degli stessi mediante atti “inter vivos”, mentre nei casi di acquisto di tali diritti a titolo di successione ereditaria o di legato, la funzione primaria della trascrizione nei libri fondiari è quella di rendere possibile la successiva iscrizione a carico dell’erede o del legatario. Ne consegue che il certificato di eredità emesso dal pretore ai sensi dell’art. 13 R.D. cit., opera solo ai limitati effetti della trascrizione, per la circolazione dei beni ereditari, valendo a far presumere la qualità di erede (art. 21 nel testo sostituito dalla L. 29 ottobre 1974, n. 594, art. 17), ma non è costitutivo di siffatta qualità, che ai fini sostanziali e processuali va invece identificata e accertata secondo la normativa successoria (v. sez. 2, Sentenza n. 6322 del 22/06/1999 Rv. 527805; Sez. 2, Sentenza n. 382 del 13/01/1995 Rv. 48968; v. anche Sez. 6-5, Ordinanza n. 5319 del 03/04/2012 Rv. 622229).

Sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite, il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali “rationes decidendi”, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (tra le tante, Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016 Rv. 639158; Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013 Rv. 625631).

Nel caso di specie vi è una ratio del tutto autonoma e sufficiente a sorreggere da sola la decisione di accoglimento dell’appello, ed è quella fondata sulla esistenza di un testamento olografo della R., non impugnato, col quale è stata istituita unica erede la figlia C.M.G., come tale da ritenersi unica proprietaria dei due cespiti immobiliari mentre i due appellati (cioè gli odierni ricorrenti, ndr) sono semplici legatari di una somma di danaro (v. pag. 7 sentenza della Corte d’Appello).

Ebbene, questo decisivo passaggio argomentativo, che si fonda sull’accertamento del diritto di proprietà esclusiva a favore di M.G. per valido acquisto iure hereditatis (circostanza assolutamente tranciante rispetto a tutte le questioni procedurali oggi sollevate perchè vale appunto a superare, neutralizzandola, la presunzione della qualità di erede derivante al certificato di eredità), non risulta assolutamente censurato dai ricorrenti ed allora, in applicazione del citato principio di diritto, si rivelano inammissibili per difetto di interesse le articolate critiche sulla regolarità del contraddittorio nel procedimento di revoca della certificazione ereditaria, aggiungendosi – ma solo per completezza – che non si riesce neppure a comprendere quali sarebbero state in concreto le attività difensive precluse agli odierni ricorrenti dal giudice tavolare, posto che il ricorso, nelle sue quasi trenta pagine, anche su questo tema appare assolutamente silente e lo stesso dicasi della memoria (v. in proposito, Sez. 3, Sentenza n. 26157 del 12/12/2014 Rv. 633693; Sez. 3, Sentenza n. 4340 del 23/02/2010 Rv. 611709; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25497 del 06/12/2007 Rv. 600740).

Le considerazioni esposte assorbono logicamente l’esame delle censure e pertanto il ricorso va respinto con addebito di spese alla parte soccombente, con vincolo solidale.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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