Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11188 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 26/03/2010, dep. 07/05/2010), n.11188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANMO Eugenia – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Federico

Cesi 21, presso l’avv. CANTELLI Antonio, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro

tempore, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore,

domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna n. 3/1/07 del 25/1/07.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/3/10 dal Relatore Cons. Dott. Paolo D’Alessandro;

udito l’avv. Antonio Cantelli e l’avvocato dello Stato Gianni De

Bellis;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.L. propone ricorso per cassazione, affidato a sedici motivi ed illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna che, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento relativo ad IRPEF, addizionale regionale, IVA, sanzioni ed interessi, per l’anno di imposta 1999.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Va preliminarmente rilevato che l’illegittimità del C.M. 4/5/99, che individua gli Stati ed i Territori aventi regime fiscale privilegiato, dedotta dal ricorrente per la prima volta in sede di memoria, non è rilevabile d’ufficio. Della relativa censura non può pertanto tenersi alcun conto nel presente giudizio di legittimità.

2.- Con il primo motivo il ricorrente deduce violazioni di legge e nullità della sentenza per essere questa incompleta o lacunosa in alcune parti, come ad esempio nello svolgimento del processo e nell’elencazione della produzione documentale del contribuente, e mancando del tutto l’indicazione di elementi essenziali, come ad esempio la contumacia dell’Ufficio.

2.1.- Il primo motivo è infondato, atteso che le lacune indicate dal ricorrente, in quanto non si sono tradotte in una violazione del contraddittorio e del diritto di difesa, non costituiscono motivo di nullità della sentenza (cfr. Cass. 8782/01).

3.- Con il secondo motivo il ricorrente si duole, sotto il profilo della violazione di legge, dell’assunto del giudice tributario secondo cui, in appello, la sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato può essere chiesta solo limitatamente alle sanzioni.

3.1.- Il secondo motivo è inammissibile, essendo censurato un mero obiter. Il giudice tributario non si è infatti pronunciato sull’istanza di sospensione, affermando che “la tempestività della trattazione della controversia e il conseguente deposito della sentenza entro un tempo ravvicinato permettono a questo Collegio di non pronunciarsi sull’istanza cautelare avanzata dal contribuente”.

4.- Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e nullità della sentenza quanto all’affermazione secondo cui l’atto di accertamento sarebbe legittimo ancorchè firmato dal solo direttore dell’Ufficio locale di (OMISSIS), privo di qualifica dirigenziale e di espressa delega da parte del legale rappresentante dell’Agenzia delle Entrate.

4.1.- Il terzo motivo è inammissibile, sia perchè privo di autosufficienza – non essendo riportato il tenore testuale del motivo di appello – sia perchè, dalla sentenza impugnata, emerge che il contribuente aveva dedotto, in sede di gravame, il difetto di motivazione sul punto della pronuncia di primo grado e non una eventuale violazione di legge. Il giudice di appello ha rigettato il mezzo e ha fatto propria, ampliandola, la motivazione del giudice di primo grado, senza tuttavia rendere censurabile in diritto, in sede di legittimità, una ricostruzione normativa del giudice di primo grado, non validamente censurata in appello.

5.- Con il quarto motivo il C. deduce il vizio di violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, per non avere l’Ufficio instaurato un preventivo contraddittorio con il contribuente in relazione alla presunzione legale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, ed in subordine solleva eccezione di legittimità costituzionale della norma, per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 97 e 111 Cost..

5.1.- Il quarto motivo è inammissibile.

E’ infatti pacifico, in punto di fatto, che la contestazione riguardo alla soggettività passiva tributaria del C. ha fatto seguito ad un p.v.c. della Guardia di Finanza di Ravenna, redatto in occasione di una verifica fiscale generale, nel corso della quale si è instaurato un completo contraddittorio con il contribuente.

6.- Con il quinto e sesto motivo, sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente censura, con riferimento rispettivamente alle imposte sul reddito ed all’IVA, la nozione di domicilio in base alla quale il giudice tributario ha ritenuto che egli, benchè residente a (OMISSIS) ed iscritto all’AIRE, fosse soggetto passivo di imposta in (OMISSIS).

6.1.- I due motivi sono infondati.

Va premesso che, ai fini delle imposte sul reddito, viene in considerazione il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2, in base al quale i criteri di collegamento in virtù dei quali si realizza la soggezione delle persone fisiche all’imposta sui redditi sono costituiti dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, dal domicilio o dalla residenza ai sensi del codice civile, ed è pertanto con riferimento a tali criteri di collegamento che deve valutarsi l’onere probatorio imposto dal comma 2 bis ai cittadini italiani “emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato”.

Per quanto riguarda l’IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, comma 3, le prestazioni di servizi si considerano effettuate nei territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio stesso.

Ciò posto, il concetto di domicilio recepito dal giudice tributario, quale luogo in cui. la persona intrattiene sia i rapporti personali che economici, è corretto, anche nel riferimento ai rapporti personali, essendo pacifico, secondo questa Corte, che il domicilio, ai sensi dell’art. 43 cod. civ., sia il luogo dove il soggetto ha la sede dei suoi affari ed interessi (SSUU 25275/06), e dovendo il concetto di interessi, in contrapposizione a quello di affari, intendersi nei senso di ricomprendervi anche gli interessi personali (in tal senso Cass. 13803/01).

La motivazione della sentenza, ove in particolare essa afferma che il C. “ha in realtà mantenuto casa, amici, interessi nel luogo d’origine e, compatibilmente con gli impegni di pilota (…) ha mantenuto in (OMISSIS) (…) il suo domicilio”, rende d’altro canto facilmente desumibile che il giudice tributario abbia inteso indicare che in (OMISSIS) il contribuente viveva per la maggior parte del periodo di imposta, come richiesto dalla giurisprudenza comunitaria citata dal ricorrente, essendo d’altro canto evidente che la domiciliazione (o residenza normale) in Italia non viene meno nel caso in cui il contribuente – come nella specie il C. – debba, per ragioni legate alla sua attività professionale, recarsi spesso all’estero, in luogo tuttavia diverso da quello ove si è trasferito.

Esula, infine, dai poteri del giudice di legittimità procedere ad un nuovo esame del materiale probatorio sottoposto al giudice di merito.

7.- Resta assorbito il settimo motivo, con il quale il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, lamenta l’omesso esame degli elementi di prova addotti per dimostrare l’effettiva residenza a (OMISSIS). La motivazione del giudice tributario è infatti congrua (anche nel disattendere alcuni elementi di prova offerti dal ricorrente, come ad esempio nelle pagg. 6-7) ed essendo d’altro canto pacifico che il giudice del merito non deve dare conto di tutte le prove dedotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente e necessario che egli esponga in maniera concisa gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della sua decisione (Cass. 22801/09).

Il controllo, rimesso al giudice di legittimità, riguardo al vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si esaurisce d’altro canto nella valutazione della congruità della motivazione stessa e non consente una nuova ponderazione degli elementi probatori sottoposti al giudice di merito.

8.- Con l’ottavo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza e violazione di legge in quanto il giudice avrebbe motivato con riferimento ad elementi indiziari (specificamente una quietanza di pagamento ICI) non dedotti dall’Ufficio nell’accertamento.

8.1.- L’ottavo motivo è infondato, in quanto il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non si estende, ovviamente, ai mezzi di prova- purchè legittimamente acquisiti.

9.- Con il nono motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, deduce la nullità dell’accertamento induttivo, relativo all’anno 1999, in quanto basato su elementi indiziari relativi ad annualità pregresse.

9.1.- Il nono motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo riportato il capo di appello relativo a tale censura, tenuto conto che nella sentenza non vi è traccia della questione.

10.- Con il decimo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui si fonda sulla presunzione legale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, in spregio alla regola dettata dall’art. 2729, secondo comma, cod. civ., secondo cui non è ammesso l’uso di presunzioni dove non è ammessa (come nel processo tributario) la prova per testimoni ed in subordine eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, che fa divieto di prova testimoniale nel processo tributario.

10.1.- Il decimo motivo è inammissibile, sia perchè nuovo, sia perchè comunque il ricorrente non ha alcun interesse a sollevare la questione non avendo mai fatto richiesta di prova testimoniale. Le dichiarazioni giurate di amici e conoscenti sono state d’altra parte disattese dal giudice tributario non perchè (erroneamente) ritenute in contrasto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, ma perchè riferite “ad annualità diverse e posteriori ai 1999”.

1.- Con l’undicesimo, complesso, motivo il ricorrente deduce plurime violazioni di legge, formulando tre distinti quesiti di diritto.

Il giudice tributario avrebbe: a) applicato falsamente il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, non essendo l’amministrazione esonerata dall’onere “di individuare gli elementi reddituali posseduti dal contribuente e di illustrare l’iter logico-giuridico seguito nella determinazione e attribuzione di tali redditi”: b) ritenuto legittimo l’accertamento impugnato pur non essendovi allegati i documenti richiamati per relationem e non riprodotti; c) disatteso ingiustificatamente il motivo di appello con il quale si censurava l’accertamento in quanto fondalo su una serie di presunzioni a cascata.

11.1.- La censura sub b) è inammissibile in quanto nuova.

11.2.- La censura sub c) è del pari inammissibile.

Pur rubricata come violazione di legge è evidente che con essa il ricorrente si duole del vizio di motivazione ravvisabile, a suo avviso, nella parte della sentenza in cui il giudicante ha escluso che l’accertamento fosse fondato su presunzioni a cascata, osservando che “la ricostruzione dei compensi e la determinazione dei redditi anno 1999 sono frutto di prove certe”. Il mezzo, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., avrebbe pertanto dovuto concludersi con un momento di sintesi, nella specie del tutto mancante.

11.3.- La censura sub a) è infondata. Il giudice tributario non ha infatti ritenuto che vi fosse un’inversione dell’onere probatorio quanto all’individuazione dei redditi del contribuente, ma – come si è detto – ha ritenuto che l’amministrazione avesse fornito “prove certe” dei redditi percepiti dal contribuente nell’anno in questione.

12.- Con il dodicesimo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, lamenta che il giudice tributario non abbia tenuto conto del contratto tra la Robin Redbreast Enterprises B.V. ed il C., con ciò violando l’autonomia contrattuale delle parti ed il principio costituzionale di capacità contributiva.

12.1.- Il dodicesimo motivo è infondato. Il giudice tributario – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente – ha infatti preso in esame il contratto de quo, qualificato (pag. 6) come contratto di sponsorizzazione, giungendo alla conclusione che da esso derivasse l’obbligo per il C. di svolgere un’attività di lavoro autonomo rilevante ai fini IVA. 13.- Con il tredicesimo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza, violazioni di legge, insufficiente ed omessa motivazione su fatti controversi.

13.1.- Le censure di nullità della sentenza e di violazione di legge sono inammissibili, per difetto del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

13.2.- Le censure di insufficiente motivazione sono infondate.

Premesso che esse riguardano evidentemente il capo di sentenza relativo al rigetto del motivo di appello con il quale si lamentava l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sulla dedotta nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione, è sufficiente considerare che il contribuente – come rilevato dal giudice di secondo grado – ha mostrato di conoscere esattamente il contenuto degli atti che l’Ufficio avrebbe omesso di allegare all’accertamento, contestando nel merito l’operato dell’Ufficio.

13.3.- Le censure di. omessa motivazione sono in parte infondate ed in parte inammissibili.

Sono infondate, nella parte in cui si lamenta l’omesso esame del contratto tra il C. e la Robin Redbreast Enterprises B.V., per i motivi già esposti sub 12.1.

Sono inammissibili, nella parte in cui si lamenta che il giudice tributario abbia ritenuto irrilevante l’eccezione del ricorrente riguardo alla erroneità della determinazione dei redditi del contribuente in relazione ai compensi percepiti dal Team Gresini. Il ricorrente, infatti, invoca in realtà un nuovo, inammissibile esame, da parte del giudice di legittimità, del materiale probatorio offerto al giudice tributario.

14.- Con il quattordicesimo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza, violazioni di legge, insufficiente ed omessa motivazione su fatti controversi.

14.1.- Le censure di nullità della sentenza e di violazione di legge sono inammissibili, per difetto del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ..

14.2.- Le censure di motivazione insufficiente o mancante sono infondate, nella parte in cui si sostiene che il giudice tributario non avrebbe in realtà avuto modo di esaminare i contratti di sponsorizzazione in quanto non allegati agli atti, atteso che lo stesso ricorrente assume, nell’ambito dello stesso motivo, di aver prodotto le copie dei contratti in lingua originale, conclusi. dal C. con la società olandese, con traduzione in lingua italiana giurata dinanzi al Tribunale di Roma, dolendosi del fatto che il giudice di appello non li abbia presi in considerazione (pag.

96 del ricorso). Sono evidentemente inammissibili nella parte in cui sono invece intese a dimostrare che l’interpretazione del giudice tributario riguardo al contenuto di tali contratti e, in generale, riguardo al merito della vicenda è stata erronea.

14.3.- Sotto il profilo del vizio di motivazione il ricorrente si duole anche del fatto che il giudice tributario avrebbe affermato che l’Ufficio IVA di Ravenna non era più esistente alla data di notifica dei ricorsi introduttivi (12/2/01).

Al riguardo è sufficiente rilevare che, da un lato, nella motivazione della sentenza impugnata non vi è traccia della affermazione di cui il ricorrente si lamenta e, dall’altro, che il ricorrente comunque non riporta il tenore testuale del motivo di appello cui l’affermazione si riferirebbe. Anche sotto tale profilo il mezzo è pertanto inammissibile.

15.- Con il quindicesimo motivo il ricorrente assume l’erroneità dell’interpretazione attraverso la quale il giudice tributario sarebbe giunto a considerare legittima l’imputazione in capo ad esso ricorrente dei rapporti giuridici derivanti dai contratti stipulati tra la società olandese Robin Redbreast Enterprise B.V., da un lato, e le Ditte Sponsor ed il Team Corse, dall’altro, ritenendo la sussistenza di un’attività di lavoro autonomo, assoggettabile ad IVA, da parte del C..

15.1.- Il quindicesimo motivo è inammissibile. Non c’è dubbio, infatti, che l’interpretazione dei contratti è attività propria del giudice di merito, non sindacabile in cassazione allorchè non presenti, come nella specie, palesi vizi di illegittimità.

16.- Con il sedicesimo motivo si deduce l’illegittimità dell’irrigazione di sanzioni, sia per difetto di motivazione quanto all’elemento soggettivo, sia per la mancata applicazione del cumulo giuridico per le annualità dal 1995 al 1999.

16.1.- Il sedicesimo motivo è infondato. Sotto il primo profilo appare corretta la motivazione del giudice tributario, secondo cui, trattandosi di sanzioni irrogate contestualmente all’accertamento, la motivazione riguardo all’elemento soggettivo non può che trarsi dall’accertamento stesso, avente ad oggetto violazioni tributarie quanto meno colpose. Sotto il secondo profilo, è sufficiente rilevare che l’accertamento impugnato aveva ad oggetto il solo anno 1999 e che d’altro canto l’accertamento riguardo agli anni 1995-1998 non è ancora definitivo.

17.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del contribuente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 20.100,00 di cui Euro 20.000,00 per onorari, oltre contributo unificato ed accessori di legge.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 20.100,00 di cui Euro 20.000,00 per onorari, oltre contributo unificato ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 26 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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