Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11186 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. II, 28/04/2021, (ud. 01/10/2020, dep. 28/04/2021), n.11186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1924/2019 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B.

MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DEI DISTRETTI RIUNITI DI AGRIGENTO E SCIACCA,

rappresentato e difeso dall’avv. MARIO MILONE;

– controricorrente –

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI

PALERMO;

– intimata –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il

27/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO

che:

La Commissione regionale di disciplina della Sicilia (Co.Re.Di.) ha ritenuto il Notaio P.A. responsabile delle seguenti violazioni: a) smarrimento di un testamento pubblico (art. 1, comma 2 e art. 138, comma 1, lett. c) della Legge Notarile; b) omessa trascrizione di legati (art. 14, lett. b e comma 2, del codice deontologico; art. 147, lett. c) della Legge Notarile); c) stipula di atti di trasferimento immobiliare con provenienza da usucapione non giudizialmente accertata (art. 14, lett. b, artt. 44, 50 del codice deontologico; art. 147, lett. a) e c) della Legge Notarile). Gli ha inflitto la sanzione di mesi nove di sospensione.

Sul reclamo del notaio la Corte d’appello di Palermo ha riconosciuto la responsabilità del notaio per tutte le violazioni contestate, mitigando il trattamento sanzionatorio. Per quanto interessa in questa sede, con riferimento alla violazione sub b), ha escluso il concorso fra le disposizioni previste dell’art. 147, lett. b) e c) della Legge Notarile, ritenendo applicabile la sola ipotesi prevista nella lett. b) in relazione all’art. 14 del codice deontologico. Ha confermato la decisione della Commissione di disciplina nella parte in cui questa ha negato al notaio la concessione delle attenuanti generiche.

Per la cassazione della decisione il notaio P. ha proposto ricorso affidato a tre motivi.

Il Consiglio Notarile ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Nelle more del procedimento è intervenuta la dispensa del notaio P. dalla funzione notarile per rinunzia. Con riferimento a tale evento questa Corte ha chiarito che “La dispensa per rinuncia della L. n. 89 del 1913, ex art. 31, del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta in pendenza del giudizio di impugnazione di un provvedimento disciplinare emesso dalla Commissione amministrativa regionale di disciplina e prima del passaggio in giudicato della pronuncia sulla sanzione disciplinare, non comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto d’interesse, del ricorso per cassazione proposto contro l’ordinanza emessa in sede di reclamo dalla corte di appello, in quanto idonea a incidere sul concreto esercizio delle funzioni e non sullo status del notaio, il quale permane seppure in condizione di quiescenza” (Cass. n. 28905/2918).

Si deve aggiungere che il Consiglio notarile ha insistito nella istanza di definizione del ricorso ai fini della regolamentazione delle spese di lite, in base al principio della soccombenza virtuale.

Con il primo motivo di ricorso, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, si censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha riconosciuto, in capo al Consiglio notarile, una competenza generale all’esercizio dell’azione disciplinare, non solo per le violazioni deontologiche, ma anche per le infrazioni rilevate durante le ispezioni. Si sostiene che la norma dell’art. 153, lett. c), della Legge Notarile, nell’attribuire la competenza per le suddette infrazioni al capo dell’archivio notarile, tramite l’uso dell’avverbio “limitatamente”, ha inteso escludere, per queste infrazioni, la concorrente competenza del consiglio. “E’l certo che l’archivio non può invadere la competenza del consiglio notarile sulle infrazioni deontologiche, neppure se rilevate in sede ispettiva. Ma è altrettanto certo, a nostro avviso, che il consiglio non può surrogarsi all’archivio notarile nell’esercizio dell’azione disciplinare per infrazioni non deontologiche relative a fatti emersi durante l’ispezione” (pag. 13 del ricorso). La previsione di cui all’art. 156-bis, comma 5, della legge Notarile, valorizzata dalla corte d’appello per riconoscere la competenza concorrente, letta correttamente, conferma l’interpretazione proposta dal ricorrente. Il diritto di intervento, riconosciuto da tale norma al presidente del consiglio notarile e al procuratore della Repubblica riguarda i soli profili deontologici delle violazioni, determinandosi diversamente una non ragionevole disparità di trattamento, essendo inibito il potere di intervento al capo dell’archivio nei procedimenti che egli avrebbe potuto promuovere.

Il motivo è infondato, dovendosi condividere la ricostruzione della corte d’appello sul generale potere di iniziativa riconosciuto in materia disciplinare dall’art. 153 della legge Notarile al Procuratore della Repubblica e al presidente del consiglio. La competenza dell’uno e dell’altro abbraccia tutte le possibili infrazioni previste dalla legge professionale e concorre con quella del capo dell’archivio notarile nelle materie specificamente demandate all’iniziativa disciplinare di quest’ultimo.

Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, si censura la decisione perchè la corte d’appello ha riconosciuto la responsabilità disciplinare del notaio, sotto il profilo dell’illecita concorrenza, per la mancata trascrizione dell’acquisto di legati immobiliari.

Da un lato si sostiene che la violazione dell’art. 2648 c.c., di per sè considerata, non è fonte di responsabilità disciplinare per il notaio; dall’altro si sottolinea che, nella valutazione della corte d’appello, ha avuto un peso preponderante il confronto con la prassi seguita da altri notai del distretto, i quali, nell’incorrere in analoga violazione, avevano esplicitato le ragioni dell’omissione, procurandosi la dispensa dal relativo adempimento. Secondo il ricorrente tale distinzione formale, in presenza di una prassi che la stessa corte d’appello riconosce diffusa, non bastava a fondare un giudizio di responsabilità per illecita concorrenza.

Il motivo è infondato.

Si premette che la concreta individuazione della condotta disciplinarmente rilevante, operata dalla Corte di Palermo avendo riferimento altresì a concetti giuridici indeterminati e clausole generali espresse dalle norme deontologiche, è sindacabile in sede di legittimità soltanto al fine di verificare la ragionevolezza della sussunzione in essi del fatto concreto (cfr. Cass. n. 4720/2012).

La trascrizione dell’acquisto a titolo di legato è adempimento richiesto dalla legge (art. 2648 c.c.), che il notaio deve curare. Ciò posto è evidente la differenza, sul piano della condotta professionale, fra il notaio che, pure omettendo la formalità, fa risultare le ragioni della omissione e il notaio che invece nulla dice al riguardo. Il primo rende consapevole l’interessato del fatto che il pubblico ufficiale non curerà un adempimento previsto per legge a causa della mancata disponibilità degli elementi essenziali richiesti a tal fine. La condotta del secondo, invece, è idonea a suscitare il convincimento che non occorre fare altro, con il rischio di fare apparire il professionista che solleva il problema della trascrizione alla stregua di chi abbia sollevato un problema inutile. Sul piano della concorrenza le due condotte non sono equivalenti. E nozione di comune esperienza che il cliente, ignaro della necessità e della rilevanza di alcuni adempimenti, potrebbe essere indotto a preferire il pubblico ufficiale che si ponga in termini più semplici e sbrigativi.

La valutazione compiuta in proposito dalla Corte d’appello, in quanto

logica e ragionevole, è perciò insindacabile in questa sede.

Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, si censura la decisione nella parte in cui la corte d’appello ha ravvisato la responsabilità disciplinare del notaio per avere ricevuto una molteplicità di atti di trasferimento di immobili sulla base della sola dichiarazione dell’alienante di essere proprietario per usucapione non giudizialmente accertata. Si evidenzia che costituisce principio oramai acquisito che i notai possono ricevere atti fondati su una simile dichiarazione, alla sola condizione di avere reso edotto l’acquirente dei rischi connessi a un simile acquisto, condizione che nel caso di specie ricorreva. Con il motivo in esame, si censura inoltre la decisione per non avere seguito, con riguardo a tale contestazione, il criterio applicato in relazione all’addebito per la mancata trascrizione dei legati. Anche in questo caso si doveva applicare la sola disposizione di cui all’art. 147, lett. b della Legge Notarile in relazione all’art. 14 del codice deontologico, mentre era stata contestata anche la violazione di cui del medesimo art. 147, lett. c).

Il motivo è infondato.

Invero, il principio che consente la stipulazione all’alienante che si affermi proprietario per usucapione, ancorchè l’acquisto della proprietà da parte sua non sia stato giudizialmente accertato in contraddittorio con il precedente proprietario (Cass. n. 2845/2007), costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al normale traffico giuridico, che deve svolgersi in termini tali da consentire la verifica formale della provenienza.

Questa Corte, nel confermare il riconoscimento della validità del trasferimento dell’immobile usucapito, pur in assenza di un preventivo accertamento giudiziale, ha chiarito che “rimane tuttavia da valutare il profilo deontologico con riguardo all’illecito risultante dal combinato disposto della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 147, comma 1, lett. b) e dell’art. 50, lett. b e art. 14, lett. b), del codice deontologico elaborato dal Consiglio nazionale del notariato, quanto al rispetto degli obblighi di chiarezza e di completezza nel contenuto dell’atto rogato, dal quale devono “normalmente” risultare “le indicazioni necessarie per l’inquadramento dell’atto nella vicenda giuridico-temporale su cui opera”, emergenti dalle visure ipotecarie e catastali per un periodo comprensivo del ventennio anteriore alla stipula, e che impongono un completo esame delle risultanze degli atti di provenienza, delle formalità pregiudizievoli ed in genere delle formalità pubblicitarie relative all’immobile nel suddetto periodo. Emerge anche l’aspetto della illecita concorrenza per l’esecuzione delle prestazioni notarili secondo sistematici comportamenti frettolosi o compiacenti, non adeguati alla diligenza del professionista avveduto e scrupoloso, il quale, appunto, rinunci a richiedere la documentazione necessaria per il compiuto ricevimento dell’atto, semplificando notevolmente le attività preparatorie alla stipula su di lui incombenti, e così procurandosi l’accaparramento della clientela” (Cass. n. 32147/2018).

Si ricorda che “in materia di responsabilità disciplinare dei notai, della L. n. 89 del 1913, art. 147, lett. a), configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignità e la reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto è rimessa agli organi di disciplina (Cass. n. 17266/2015).

Ebbene, le considerazioni della corte di merito, nella parte in cui ha riconosciuto la rilevanza disciplinare della sistematica ricezione di atti sulla base della dichiarazione dell’alienante di essere proprietario per usucapione (oltre 250), altrettanto sistematicamente disgiunta dalle verifiche ordinariamente richieste ai fini della stipula dell’atto, sono nient’affatto illogiche e irragionevoli, pure nel riferimento alla salvaguardia dell’immagine e del prestigio della classe notarile (art. 147, lett. a) Legge Notarile). Esse sono perciò insindacabili in questa sede (Cass. n. 4720/2012).

E’ infondato anche il secondo profilo di censura di cui al motivo in esame. La responsabilità del notaio, infatti, è stata riconosciuta esclusivamente per le violazioni di cui dell’art. 147, lett. a) e b) della Legge Notarile, in assenza di qualsiasi riferimento all’art. 147, lett. c), della stessa Legge Notarile, menzionato solo nella parte espositiva della decisione.

E’ infine infondata anche la censura per la mancata concessione delle attenuanti generiche. Invero la circostanza dedotta dal ricorrente, e cioè che le condanne disciplinari per fatti analoghi, ritenute ostative alla concessione delle attenuanti, sono intervenute quando il notaio aveva già ricevuto gli atti oggetto della ulteriore contestazione, non impediva alla corte d’appello di tenere conto di esse nella valutazione complessiva della vicenda. Consegue che il rilievo operato in proposito nella decisione impugnata, là dove la corte palermitana ha posto l’accento sul disvalore derivante dalla reiterazione della medesima condotta già constatata nei bienni precedenti, costituisce valutazione nè illogica, nè contra legem. Essa quindi integra apprezzamento incensurabile in questa sede (Cass. n. 11790/2011).

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese. Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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