Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11184 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 10/03/2010, dep. 07/05/2010), n.11184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in Roma via dei

Monti Parioli 48 presso lo studio dell’avv. Marini Giuseppe e

rappresentata e difesa giusta procura speciale a margine del ricorso

dallo stesso nonchè dall’avv. Claudio Sacchetto e dall’avv.

Ernestina Pollarolo, anche disgiuntamente;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 30/06/06 depositata in data 4 settembre 2006,

dalla Commissione tributaria regionale dell’Umbria;

nonchè

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in Roma via dei

Munti Parioli 48 presso lo studio dell’avv. Giuseppe Marini e

rappresentata e difesa giusta procura speciale a margine dei ricorso

dalla stesso nonchè dall’avv. Claudio Sacchetto e dall’avv.

Ernestina Pollarolo, anche disgiuntamente;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici sono domiciliati ape legis in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza 58/06/06, depositata in data 4 settembre 2006.

della Commissione tributaria regionale dell’Umbria;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.3.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udita la difesa svolta per conto di parte ricorrente che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza

impugnata con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle

spese processuali, sentita la difesa svolta per conto di parte

resistente, che ha concluso per il rigetto de ricorso con vittoria di

spese.

Udito il P.G. in persona del dr. Raffaele Cennicola che ha concluso

per il rigetto del primo ricorso e per l’accoglimento del settimo

motivo del secondo ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 5 dicembre 1999 l’Ufficio delle Entrate di Spoleto notificava alla sig.ra R.C. due avvisi di accertamento con i quali le veniva richiesto per il 1993 L. 600.597.000 e L. 431.372.000, rispettivamente, a titolo Irpef, contributo SSN oltre sanzioni ed interessi ed a titolo Iva oltre sanzioni ed interessi.

Gli avvisi si fondavano sulla tesi che la R., iscritta dal 19 giugno 1990 nell’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero per aver trasferito la propria residenza a (OMISSIS), in realtà aveva conservato la propria residenza in (OMISSIS). Avverso i suddetti anni la contribuente proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di perugia, a quale li accoglieva parzialmente. Tale sentenza passava in giudicato. Quindi in data 22 novembre 2002 veniva notificata alla R. cartella esattoriale con cui le veniva richiesto il pagamento dei minori importi determinati, vale dire Euro 181.881,26 a titolo di Irpef, contributo sanitario, oltre sanzioni ed interessi, ed Euro 97.331.97 a titolo di Iva oltre sanzioni ed interessi. Avverso tale atto veniva proposto ricorso avanti la CTP di Perugia e quindi in data 17 maggio 2003 veniva presentata dalla contribuente istanza di definizione della lite ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16 istanza rigettata dall’Agenzia. Avverso tale provvedimento di diniego la contribuente proponeva ulteriore ricorso. Con sentenza del 28 aprile 2005 la Commissione rigettava il primo ricorso della R. avverso la cartella di pagamento mentre con sentenza successiva accoglieva il ricorso avverso il diniego di condono. Le suindicate sentenze venivano impugnate, rispettivamente, la prima dalla contribuente, la seconda dall’Amministrazione.

Avverso la sentenza che la vedeva soccombente proponeva appello la contribuente ribadendo l’illegittimità della cartella e l’insussistenza del debito di imposta, deducendo in particolare di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione dell’Amministrazione relativa alla determinazione del nuovo imponibile accertato. La Commissione tributaria regionale dell’Umbria con sentenza n. 30/6/06 rigettava l’impugnazione della contribuente mentre con sentenza n. 58/6/06 accoglieva il gravame dell’Ufficio. Avverso la prima sentenza la contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi mentre avverso la seconda sentenza ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. L’Agenzia delle Entrate in entrambi i giudizi resiste con controricorso. La contribuente ha infine depositato due memorie difensive ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Appare opportuno, in via pregiudiziale, riunire al ricorso n. 24799/07 quello recante il numero di R.G. 4677/08, entrambi chiamati in questa udienza, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., in quanto i relativi giudizi sono connessi soggettivamente ed, in parte, anche oggettivamente, onde l’evidente utilità di una trattazione unitaria.

Appare, inoltre, necessario esaminare in via preliminare il ricorso relativo al diniego di condono ex lege n. 289 del 2002 in quanto la risoluzione della relativa questione risulta logicamente pregiudiziale rispetto a quella afferente alla legittimità ed alla fondatezza della cartella di pagamento.

A riguardo, si deve premettere che con le prime due doglianze, intimamente connesse tra loro, articolate entrambe sotto il profilo della violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 3, lett. a) la ricorrente ha lamentato l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui afferma che la cartella di pagamento de qua “fosse atto di mera esecuzione di pronuncia giurisdizionale, esecuzione per di più avvenuta correttamente, il che esclude qualsiasi natura novativa dell’imposizione e quindi qualsiasi autonomia della stessa”.

Al contrario – ed in tale considerazione può riassumersi la prima doglianza – la cartella costituiva il primo atto con cui l’Agenzia poneva la contribuente a conoscenza di una nuova pretesa erariale, espressione di una nuova valutazione del quantum. in esito all’esclusione delle ritenute alla fonte effettuate sui redditi percepiti ed alla verifica dell’esistenza dei costi inerenti agli specifici redditi ricondotti a tassazione. Pertanto, la cartella – ed in tale rilievo si sostanzia il secondo motivo di impugnazione non svolgeva una funzione meramente liquidatomi ma aveva acquistato natura e funzioni di atto impositivo tant’è che ne venne dedotta l’illegittimità sostanziale in una all’infondatezza, nel merito, della pretesa impositiva. Da ciò l’applicabilità della norma di cui all’art. 16 citato in merito alla condonabilità delle liti fiscali pendenti. Le due censure meritano attenzione.

A riguardo, al fine di inquadrare compiutamente la controversia, occorre premettere che la cartella esattoriale de qua fu emessa dall’Agenzia delle Entrate successivamente alla sentenza della Commissione provinciale di Perugia n. 628/01/00 del 23 novembre 2000, passata in giudicato, la quale accoglieva parzialmente i ricorsi proposti dalla contribuente avverso gli avvisi di accertamento notificatile disponendo testualmente per quanto inerente all’irpef, l’imponibile lordo sia diminuito dei quanta corrispondenti alle ritenute di acconto ed ai costi (nei termini di cui in motivazione);

per quanto inerente all’IVA, che l’aliquota da applicare sia quella del 10%; per quanto inerente alle sanzioni che la relativa entità sia ridotta correlativamente alla diminuzione alla entità delle imposte di riferimento, nei termini di cui in motivazione; rimette all’Amministrazione finanziaria il compimento degli opportuni conteggi” (così nella motivazione della sentenza impugnata n. 58/6/06 pagg. 2 e 3).

Giova aggiungere che nella motivazione della sentenza, come risulta dal brano riportato in ricorso dalla ricorrente nel rispetto del principio di autosufficienza dei ricorsi per cassazione, la CTP indicava altresi quali fossero i costi da tener presente al fine della determinazione del nuovo quantum e chiariva quali fossero le modalità con cui l’Amministrazione avrebbe dovuto assolvere l’onere dei relativi conteggi, disponendo testualmente “nella ricostruzione del reddito imponibile del periodo di riferimento dovranno essere tenuti in conto, in favore della ricorrente, sia le ritenute alla fonte effettuate sui redditi percetti sia i costi dotati del requisito della pertinenza (dovendo trattarsi di costi non meramente inerenti all’attività professionale in senso lato, bensì agli specifici redditi ricondotti a tassazione). L’onere dei relativi conteggi deve farsi gravare sull’A.F. sulla scorta dei documenti già versali in atti e di quelli ulteriori che la ricorrente stessa avrà cura di fornire, nel suo interesse”, (così, anche, nella sentenza impugnata n. 30/6/06).

la premessa torna utile nella misura in cui evidenzia come la quantificazione del minor debito di imposta, rimessa dal giudice all’Amministrazione Finanziaria, non si risolvesse allatto in una mera attività materiale nè in una semplice operazione aritmetica di calcolo. richiedendo al contrario il compimento di una precisa attività di stima e di valutazione sia nel decidere quali fossero i costi “dotati del requisito della pertinenza” così da escludere volta per volta quelli che non fossero stati ritenuti, dall’Amministrazione, inerenti agli specifici redditi ricondotti a tassazione sia nel valutare quali fossero i documenti validi ed utili a tal tino. escludendo gli altri, tra quelli già versati in atti o ancora da produrre. Ed è appena il caso di osservare come l’espletamento di tale compito. postulando una discrezionalità dell’Amministrazione, sia pure sotto un profilo tecnico, non poteva ritenersi esente dal pericolo di contrasti e di divergenze tra le parti, così come effettivamente avvenne nel caso di specie in cui la contribuente impugnò la cartella di pagamento, successivamente notificatale, deducendo l’illegittimità della quantificazione operata dall’Amministrazione sia con riferimento alla natura e all’entità dei costi considerati sia con riferimento alla determinazione delle sanzioni, e lamentando che l’Agenzia, in violazione degli artt. 6 e 7 dello Statuto del contribuente, omettendo l’attivazione del contraddittorio non l’aveva invitata a produrre la documentazione, che avrebbe comportato l’ulteriore riduzione degli imponibili Irpef ed Iva. secondo le stesse prescrizioni contenute nella sentenza della CTP passata in giudicato.

Ciò premesso, deve considerarsi che anche se, secondo lo sviluppo fisiologico dei rapporti tra Amministrazione e contribuente, l’emissione della cartella costituisce mero atto di riscossione, funzionalmente volto a seguire l’adozione di un avviso di accertamento attraverso il quale l’A.F. esercita il potere impositivo che le compete, non può escludersi però che anche una cartella di pagamento possa presentare natura di atto d’imposizione quando costituisce il primo atto con il quale l’Amministrazione Finanziaria eserciti la sua pretesa. Del resto, la questione, attinente alla natura impositiva o meno della cartella di pagamento, non può essere risolta sulla base dell’astratta considerazione del tipo di provvedimento impugnato, ma deve essere affrontata in concreto avuto riguardo al contenuto e agli effetti del provvedimento stesso. Ne caso di specie, come è stato già sottolineato in precedenza, la cartella di pagamento non si limitava alla mera liquidazione dell’imposta, secondo un calcolo meramente aritmetico suscettibile al più di un mero errore materiale ma richiedendo il compimento di un’attività valutativa dell’Amministrazione, finiva per assumere un carattere impositivo e diveniva l’atto conclusivo di un procedimento di rettifica, anche se svolto nell’esercizio di una discrezionalità tecnica, all’interno dei limiti fissati dalla CTP. Pertanto, la controversia instaurata avanti alla Commissione di merito non riguardava affatto la mera liquidazione del tributo, involgendo piuttosto profili riguardanti la legittimità sostanziale della attività di rettifica che era stata compiuta dall’Amministrazione.

In una fattispecie analoga, questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio secondo cui il provvedimento che presuppone un accertamento negativo della agevolazione invocata dai contribuenti, pur apparendo formalmente emesso come semplice liquidazione di imposta, ha in effetti un imprescindibile contenuto di accertamento negativo che si risolve in un atto di imposizione, la cui impugnazione previa contestazione della legittimità anche sostanziale ha come effetto la nascita di una lite pendente che può essere definita ai sensi del D.Lgs. n. 289 del 2002, art. 16 (cfr Cass. 6188/06). Da tale considerazione logicamente pregiudiziale deriva conseguentemente l’accoglimento dei motivi di impugnazione, esattamente il quinto ed il sesto. contenuti nel ricorso contrassegnato dal n. 24799/07 R.G. con cui la ricorrente ha rispettivamente lamentato la violazione dell’art. 295 c.p.c. a ragione dell’omessa sospensione necessaria del giudizio avente ad oggetto la legittimità e la fondatezza della cartella di pagamento e l’omessa pronuncia della CTR sulla questione relativa alla sospensione necessaria del giudizio. Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte a quale questo Collegio ritiene di aderire “il giudizio tributario avente ad oggetto la validità o il perfezionamento della definizione agevolata di un’imposta (nella specie, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413), ovvero la decadenza dalla stessa, ha carattere pregiudiziale rispetto a quello. vertente tra le medesime parti, riguardante il merito dell’accertamento relativo alla stessa imposta, in quanto la decisione sul condono si riflette necessariamente condizionandola, sulla decisione concernente il merito dell’accertamento. Pertanto, ove risulti la pendenza di mi altro giudizio tra e medesime parti in ordine alla validità o al perfezionamento del condono o alla decadenza dallo stesso, il giudice tributario è tenuto, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., a sospendere il giudizio riguardante il merito dell’accertamento, lino alla decisione del primo con autorità di giudicato”. (Cass. 19821/09, conf. Cass. n. 9999/06, n. 2630/06, n. 24408/05).

Devono essere invece disattese le prime quattro doglianze, svolte dalla ricorrente nel ricorso n. 24799/07, articolate la prima e la terza sotto il profilo dell’incompetenza dell’Ufficio impositore.

rispettivamente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31, comma 2, art. 58, comma 2 e dell’art. 40, comma 1 medesimo Decreto, la seconda e la quarta sotto il profilo dell’omessa pronuncia dei giudici di merito sulla questione di incompetenza rilevabile di ufficio, doglianze fondate rispettivamente sulla premessa che la competenza degli Uffici fiscali, ai fini delle imposte sui redditi, è determinata dal domicilio fiscale del contribuente al momento in cui la dichiarazione è stata o avrebbe dovuto essere presentata. A norma del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, comma 2 nella formulazione vigente nel 1993, applicabile ratione temporis, le persone fisiche, non residenti nel territorio dello Stato, hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o il reddito più elevato. Nel caso della R. il Comune in cui si produsse il reddito più elevato era quello di Palermo. Da ciò, il difetto di competenza territoriale dell’Ufficio di Spoleto. Ugualmente, ai fini IVA è competente l’ufficio provinciale nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente e per i soggetti non residenti nello Stato, che non vi hanno una stabile organizzazione nè un rappresentante è competente l’Ufficio provinciale di Roma.

Nel caso della R., la competenza spettava pertanto a tale Ufficio. Le ragioni di doglianza, riportate, nella loro essenzialità, non colgono però nel segno e vanno quindi rigettate.

Ed invero, come rileva l’Agenzia nel proprio controricorso, deve tenersi presente ancora una volta che la cartella esattoriale fu emessa dall’Ufficio di Spoleto in forza della sentenza della Commissione provinciale di Perugia n. 628/01/00 del 23 novembre 2000, passata in giudicato, la quale aveva stabilito tra l’altro che la contribuente, nel periodo in contestazione, aveva fissato nel territorio italiano “Il centro sostanziale dei suoi affari ed interessi, salto tutti i profili considerabile sia di specie economica sia di specie lato sensu relazionale”.

Ne deriva che conseguentemente si era formato il giudicato sia relativamente alla sussistenza del domicilio fiscale in (OMISSIS) della contribuente sia relativamente alla competenza dell’ufficio di Spoleto. Nè è consentito in sede di impugnativa della cartella esattoriale tentare di reintrodurre un’eccezione, quale quella relativa alla competenza dell’Ufficio impositore. ormai superata dal giudicato sul punto per effetto della definizione della lite promossa nei confronti dell’avviso di accertamento presupposto.

Vanno infine ritenute inammissibili le ultime due doglianze, contenute ciascuna di esse in uno dei due ricorsi, ma entrambe articolate sotto il profilo della violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivi) per il giudizio, quale l’omesso invito alla contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti ai fini della determinazione dell’imponibile entro il congruo termine di cui agli artt. 6 e 7 dello Statuto dei diritti del contribuente.

le doglianze sono infatti inammissibili in quanto, entrambe, non sono state accompagnate dal necessario momento di sintesi omologo del quesito di diritto. Ed invero, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006. ove sia denunciato il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la censura deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, meritano pertanto di essere accolti i primi due motivi del ricorso contrassegnato dal n. 4677/08 di RG; il quinto ed il sesto motivo del ricorso n. 24799/07 di R.G.; vanno invece rigettati i primi quattro motivi del ricorso 24799/07 e dichiarati inammissibili gli altri motivi; vanno inoltre cassate le sentenze impugnate nei limiti dei motivi accolti, infine, le cause riunite vanno rinviate ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Umbria, la quale procederà ad un nuovo esame delle controversie uniformandosi ai principi sopra enunciati, oltre a disporre delle spese anche del presente giudizio.

PQM

La Corte riunisce al ricorso n. 24799/07 R.G. quello recante il n. 4677/08 R.G. accoglie i primi due motivi del ricorso contrassegnato dal n. 4677/08 di R.G. il quinto ed il sesto motivo del ricorso n. 24799/07 di R.G. rigetto i primi quattro motivi del ricorso 24799/07;

dichiara inammissibili gli altri; cassa le sentenze impugnate nei limiti dei motivi accolti, con rinvio delle cause riunite ad altra Sezione della CTR Umbria, che provvedere anche in ordine ai regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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