Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11183 del 11/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 11/06/2020), n.11183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUIGI

PIGORINI n. 21, presso lo studio dell’avvocato TERESA VISCONTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati SABRINA BICCHIERINI, ROSSANA

CICCONE;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. DENZA 15,

presso lo studio dell’avvocato SUSANNA LOLLINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GRAZIANA CASAROSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 513/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

Fatto

RITENUTO

CHE:

T.G. propone ricorso con tre mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze in epigrafe indicata, che nel giudizio di scioglimento del matrimonio, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva incrementato l’assegno di mantenimento per la figlia V. (nata il (OMISSIS)) da Euro 500, 00 ad Euro 1.000,00= mensili, oltre rivalutazione ISTAT.

F.S. ha replicato con controricorso.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, individuato nel mancato esame del fatto, a suo dire decisivo, costituito dalla pendenza della procedura di liquidazione giudiziale della società Marogica SAS, sulla quale vantava diritti ereditari poichè, non essendo stata conclusa la procedura liquidatoria, egli non aveva ancora visto soddisfatto il suo credito ereditario.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2729 c.c., e art. 337 ter c.c., comma 4, per violazione del criterio della proporzionalità, in relazione alla determinazione dell’assegno di mantenimento posto a suo carico in favore della figlia, sull’erronea presunzione dell’esistenza di un patrimonio ingente a sua disposizione.

1.3. Il primo ed il secondo motivo sono intimamente connessi e possono essere trattati congiuntamente.

1.4. Il primo motivo risulta infondato: lo specifico fatto (la non ancora avvenuta liquidazione della quota ereditaria di sua spettanza) di cui è dedotto l’omesso esame non risulta decisivo nell’ambito della motivazione con cui la Corte fiorentina ha rideterminato l’assegno per la figlia perchè – a differenza di quanto suggerisce il ricorrente, che dimostra anche di aver non avere colto la ratio decidendi – non si radica sulla sopravvenienza ereditaria.

La Corte di appello, infatti, nello statuire sull’assegno di mantenimento previsto in favore della figlia, ha dato conto dell’espletamento di una CTU e dei risultati ivi raggiunti in merito alla parte italiana del patrimonio di T., rimarcando in special modo il rifiuto opposto da quest’ultimo, che ha vissuto a lungo in (OMISSIS) (dove è nato) e quindi a (OMISSIS) (dove ha dichiarato di risiedere all’attualità), a fornire informazioni e collaborazione al consulente, al fine di consentire lo svolgimento delle indagini patrimoniali anche in relazione ai redditi ed ai patrimoni esteri, in violazione dell’obbligo di collaborazione sancito dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma, 9, ed ha, quindi, accertato in via presuntiva ex art. 116 cpv. c.p.c., proprio sulla scorta di questo illegittimo contegno processuale del T. nel subprocedimento di CTU, “un valore particolarmente ingente della ricchezza effettivamente a disposizione del medesimo, come del resto, sempre affermato dal coniuge” (fol. 11 della sent. imp.) in base al quale ha proceduto alla rideterminazione dell’assegno, tenendo contestualmente conto dei molteplici criteri volti ad individuare le esigenze della figlia.

1.5. Dal che si evidenza l’infondatezza anche del secondo motivo, posto che il procedimento probatorio presuntivo risulta svolto correttamente (Cass. n. 11904 del 22/05/2009). Invero lo stesso ricorrente, laddove riferisce che il CTP aveva precisato al verbale del (OMISSIS) che la situazione patrimoniale e reddituale di T. sia in Italia che all’estero era pari a zero, smentisce l’assunto perchè conferma – come raccertato dalla Corte di appello – la propria inosservanza dell’obbligo a depositare la documentazione comprovante la sua situazione patrimoniale e reddituale in Italia e all’estero, come richiesto dal cit. art. 5, comma 9, non potendo ritenersi assolto tale onere dalla dichiarazione negativa resa dal CTP, circa l’assenza di reddito e patrimonio.

Invero, anche le Sezioni Unite della S.C. hanno avuto modo di sottolineare il rilievo che il legislatore, nel novellare l’art. 5 cit., ha riconosciuto all’indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex coniugi, fondato proprio sull’obbligo di deposito dei documenti fiscali delle parti e sull’attribuzione di poteri istruttori officiosi al giudice, in precedenza non esistenti, in funzione dell’effettivo accertamento delle condizioni economico patrimoniali delle parti, nella fase conclusiva della relazione matrimoniale (Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018) e, nel caso di specie, T. non ha adempiuto all’obbligo di deposito della documentazione fiscale e la Corte territoriale ha esercitato i suoi poteri officiosi, proprio mediante l’espletamento della CTU.

2.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove aveva posto integralmente a carico di T.G. le spese del primo e del secondo grado, essendo la F. soccombente in entrambi i gradi in merito alla domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. L’art. 92 c.p.c., comma 2, in parte qua invariato in conseguenza delle novelle che hanno interessato il complesso della norma, dispone che “Se vi è soccombenza reciproca (…) il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.”. La norma, pertanto, consente (“può”) al giudice di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite tra le parti in caso di reciproca soccombenza, ma non lo obbliga inevitabilmente a tale decisione.

Dunque, anche nell’ipotesi di soccombenza reciproca, il limite di fronte al quale si arresta la discrezionalità del giudice riguardo alla distribuzione dell’onere delle spese di lite è rappresentato dall’impossibilità di addossarne, in tutto o in parte, il carico alla parte interamente vittoriosa, poichè ciò si tradurrebbe in un’indebita riduzione delle ragioni sostanziali della stessa, ritenute fondate nel merito.

Nel caso di specie, certamente non è stato violato tale limite, essendo stato respinto l’appello incidentale del T., volto ad ottenere la riduzione dell’assegno di mantenimento per la figlia, che dunque non può ritenersi totalmente vittorioso, anche a fronte del rigetto dell’appello proposto dalla F. in merito alla domanda di assegno divorzile e dell’accoglimento della sola domanda incrementativa dell’assegno per la figlia e la Corte territoriale ha motivato sulla prevalenza della soccombenza del T. rispetto a quella della F., cui ha riconnesso la scelta di condannarlo alle spese dei due gradi di giudizio e delle spese di CTU (cfr. Cass. n. 26918 del 24/10/2018; Cass. n. 1572 del 23/01/2018; Cass. n. 10685 del 17/04/2019).

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, perchè il processo risulta esente L. 6 marzo 1987, n. 74, ex art. 19, e del D.P.R. n. 115 cit., art. 10.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

– Dà atto che non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, perchè il processo risulta esente.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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