Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11180 del 11/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/06/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 11/06/2020), n.11180

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14310-2018 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA

S. CROCE IN GERUSALEMME, 4, presso lo studio dell’avvocato MARCO

GHERARDI, rappresentato e difeso dagli avvocati DOMENICO SINESIO,

GAETANO DI MARTINO;

– ricorrenti –

contro

AP SRL IN LIQUIDAZIONE, G.C., GR.CE.,

G.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1381/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 27/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

Fatto

RITENUTO

CHE:

La banca Monte dei Paschi di Siena propone ricorso con tre mezzi avverso la sentenza in epigrafe indicata. La società A.P. SRL, G.C., Gr.Ce. e G.A. sono rimasti intimati.

La controversia ha avuto ad oggetto la domanda d ripetizione di indebito conseguente all’illegittima applicazione di tassi di interesse e commissioni superiori a quelle dovute su conti correnti bancari e si è conclusa, in primo grado, con la vittoria della società correntista e dei fideiussori e con la condanna della banca al pagamento in favore della società della somma di Euro 140.551,48=, oltre interessi al tasso di cui al codice civile dalla domanda fino al saldo.

La Corte di appello, in parziale accoglimento dell’impugnazione della banca, ha confermato la condanna al pagamento dell’importo anzidetto, precisando che il saldo era stato accertato fino alla data del 31/10/2004.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 1842 c.c., dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 184 c.p.c. e dell’art. 190 c.p.c.. La censura è mossa anche come vizio motivazionale.

La banca ricorrente – dopo avere rammentato che in primo grado la banca era stata condannata alla restituzione di Euro 140.551,48=, quale saldo creditore alla data del 20/1/2005 (data della domanda), mentre la correntista aveva provato l’andamento del rapporto con estratti conto solo fino al 31/10/2004, come denunciato con motivo di appello – si duole che la Corte territoriale abbia solo parzialmente accolto il motivo di appello, confermando il quantum dell’importo dovuto (come, peraltro, accertato mediante CTU espletata esclusivamente in base agli estratti conto prodotti dalla correntista), salvo a fissare il momento conclusivo del saldo creditore al 31/10/2004, in luogo del 20/1/2005.

1.2. La statuizione è attaccata sotto due profili.

1.3. Il primo, con il quale lamenta una ultrapetizione, sostenendo che, una volta accertata la mancanza dell’integrale produzione degli estratti conto da parte della correntista, la domanda avrebbe dovuto essere rigettata, è infondato in quanto la decisione in nulla ha immutato la domanda, ampliandone i confini, ma è consistita nella rivalutazione dell’effettivo assolvimento dell’onere probatorio da parte della correntista, riconoscendo il diritto entro limite anzidetto.

La decisione risulta pertanto conforme al principio secondo il quale “Il potere-dovere del giudice di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del “petitum” e della “causa petendi”, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicchè il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” o “causa petendi”), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori.” (Cass. n. 8048 del 21/03/2019; Cass. n. 9002 del 11/04/2018).

1.4. Sotto il secondo profilo, la banca sostiene di avere tempestivamente sollevato nell’atto di appello l’eccezione secondo cui la domanda di condanna, nel caso specie, non era ammissibile perchè il rapporto di conto corrente non era ancora chiuso quando era stata proposta l’azione – richiamando Cass. n. 798 del 15/01/2013 – e si duole che la Corte partenopea erroneamente abbia ritenuto che l’eccezione era tardiva perchè non sollevata nell’atto di appello, ma solo nella comparsa conclusionale.

Sotto questo aspetto il motivo è inammissibile perchè privo di specificità.

Dall’esposizione del motivo di appello, cui la ricorrente era tenuta per assolvere all’onere di specificità del motivo di ricorso in cassazione, si evince che furono prospettati solo dei fatti concernenti l’epoca di estinzione dei conti e le movimentazioni compiute dopo la proposizione della domanda, e la stessa ricorrente laddove afferma “In sintesi, affermare che il conto corrente sia stato movimentato sino al 28/6/2005,

ricevendo numerosi addebiti provenienti da altri rapporti comporta che, evidentemente, non possono adottarsi, in corso di rapporto e prima della sua chiusura, condanne al pagamento di un saldo: in altre parole, la decisione di questa Suprema Corte richiamata della comparsa conclusionale, confermava semplicemente il motivo di appello, che non è stato esaminato, senza aggiungersi a questo” (fol. 21 del ricorso) non avvalora, ma anzi smentisce la sua stessa tesi, giacchè sembra far discendere l’eccezione per implicito dai fatti prospettati nel motivo senza che sia evidenziato nè il supporto argomentativo che avrebbe dovuto collegare i fatti, nè la specifica manifestazione volitiva dell’appellante (Cass. SU n. 27199 del 16/11/2017; Cass. n. 6231 del 15/05/2000; Cass. n. 9710 del 18/06/2003), mentre conferma che la specifica questione affrontata dalla sentenza della Cassazione del 2013 – venne posta solo con la comparsa conclusionale.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 184 c.p.c.; la questione è proposta anche come vizio motivazionale.

La banca, dopo aver rammentato di avere depositato in primo grado i contratti di conto corrente e di apertura di credito – oggetto del giudizio – unitamente alla seconda memoria istruttoria ai sensi dell’art. 184 c.p.c., riservata alla prova contraria, si duole che tale produzione sia stata ritenuta tardiva dalla Corte territoriale perchè avrebbe dovuto avvenire entro il termine concesso per la prima memoria ex a rt.184 c.p.c..

2.2. Il motivo è infondato alla luce del consolidato principio secondo il quale “Ai sensi dell’art. 184 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis” – introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 18, (e anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 273 del 2005, art. 39 quater, conv. con modif. in L. n. 51 del 2006), il momento in cui scatta per le parti la preclusione in tema di istanze istruttorie è quello dell’adozione dell’ordinanza di ammissione delle prove, ovvero – nel caso in cui il giudice, su istanza di parte, abbia rinviato tale adempimento ad altra udienza – è quello dello spirare di un duplice termine, il primo concesso per la produzione dei nuovi mezzi di prova e l’indicazione dei documenti idonei a dimostrare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda attorea e delle eccezioni sollevate dal convenuto, il secondo previsto, invece, per l’indicazione della (eventuale) “prova contraria”, da identificarsi nella semplice “controprova” rispetto alle richieste probatorie ed al deposito di documenti compiuto nel primo termine. Ne consegue, che già entro lo scadere del primo termine la parte interessata ha l’onere di richiedere prova contraria in relazione ai fatti allegati dalla controparte e definitivamente fissati nel “thema decidendum”, ai sensi dell’art. 183 c.p.c.,” (Cass. n. 26574 del 09/11/2017; Cass. n. 12119 del 17/05/2013).

Nel caso di specie – come si desume dallo stesso ricorso e dalla sentenza – la cd. “prova contraria”, era intesa a contrastare i fatti originariamente allegati dalla controparte e definitivamente fissati nel thema decidendum, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., segnatamente concernenti la mancanza di contratto scritto e di pattuizione scritta delle clausole contestate, e avrebbe dovuto essere richiesta entro lo scadere del primo termine, laddove la “prova contraria” che può essere articolata entro il secondo termine è da identificarsi nella semplice “controprova” rispetto alle richieste probatorie ed al deposito di documenti compiuto nel primo termine dalla controparte, fattispecie che – per ammissione della stessa ricorrente – non ricorre nel caso di specie -.

Ne consegue, che già entro lo scadere del primo termine la banca aveva l’onere di richiedere prova contraria in relazione ai fatti allegati dalla controparte e definitivamente fissati nel thema decidendum, ex art. 183 c.p.c., e ciò rende tardiva e inammissibile la richiesta introdotta entro il secondo termine, come esattamente ritenuto dalla Corte di appello.

3. Le censure prima e seconda, proposte come vizio motivazionale, risultano inammissibili perchè non è indicato alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame.

4.1. Con il terzo motivo, illustrando gli effetti che – a parere della ricorrente – la documentazione oggetto del secondo motivo avrebbe avuto sul ricalcolo del saldo di conto corrente, si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e art. 1842 c.c., degli artt. 112 e 184 c.p.c., del TUB, art. 117, e dell’art. 1284 c.c..

4.2. La censura è assorbita dal rigetto del secondo motivo.

5. In conclusione il ricorso va rigettato.

Non si provvede sulle spese in assenza di attività difensiva degli intimati.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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