Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11178 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 28/04/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 28/04/2021), n.11178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1021/2020 proposto da:

S.A.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROSALIA BENNATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PRESSO LA PREFETTURA

U.T.G. DI MILANO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato

e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici

domicilia ope legis in ROMA, VIA EI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. 8926/2019 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 08/11/2019 R.G.N. 37077/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con decreto n. 8926/2019 il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda di protezione internazionale e umanitaria avanzata da S.A.A., cittadino del (OMISSIS).

2. Il Tribunale ha osservato, in sintesi, che:

a) il ricorrente è credibile relativamente a quanto riferito circa la zona di provenienza, alle sue condizioni personali (mantiene contatti con la famiglia di origine, che vive nel Bangladesh) ed economiche (ha lavorato nel commercio di mobili), ma è inattendibile in ordine alle ragioni di natura persecutoria che lo avrebbero determinato a lasciare il Paese di origine: egli ha riferito di essere stato più volte minacciato ed aggredito dallo zio paterno e dai suoi figli, i quali, appropriandosi dopo la morte del padre di tutti i beni di famiglia (negozi di mobili e casa), avevano estromesso dall’eredità il ricorrente e la sua famiglia, costretti a trasferirsi presso i nonni materni in un villaggio vicino; il racconto è generico e sommario, privo di elementi di dettaglio, presenta importanti aspetti di implausibilità (v. pagg. 6 e 7 del decreto per l’esame funditus degli elementi posti a base del giudizio di inverosimiglianza);

b) stante l’inattendibilità delle ragioni dell’espatrio, non è fondata la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); inoltre, trattandosi di una vicenda privata, non risulta neppure adeguatamente giustificata l’impossibilità del ricorrente di rivolgersi alle autorità locali, così come richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6 (pag. 8 del decreto);

c) con riguardo all’ipotesi di cui alla lett. c) dello stesso art. 14, secondo le fonti ufficiali consultate (ed esaminate a pagg. 8 e 9 del decreto), in Bangladesh gli episodi di violenza, uccisioni, sparizioni e arresti illegali interessano specifiche categorie di persone (sostenitori del partito nazionalista di opposizione, mezzi di informazione critici verso le autorità) tra le quali non rientra il ricorrente, che non ha mai rivestito ruoli a livello politico;

d) non è riconoscibile il permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: il ricorrente è maggiorenne e ha dimostrato buone doti di autonomia; nel suo paese ha importanti riferimenti familiari (in Bangladesh vive tutta la sua numerosa famiglia di origine); non ha dichiarato patologie di rilievo (v. pag. 10 del decreto); ha documentato di lavorare in Italia come lavapiatti in un ristorante di (OMISSIS) con regolare contratto di lavoro, trasformato nel (OMISSIS) a tempo indeterminato. Tuttavia, lo svolgimento di un’attività lavorativa in Italia non costituisce elemento che, da solo, valga a integrare, a fronte di quanto sopra esposto e in mancanza di specifiche allegazioni da parte del ricorrente circa fattori di particolare vulnerabilità, i presupposti per l’accoglimento della suddetta forma residuale di protezione.

3. Il decreto è stato impugnato da S.A.A. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

4. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) e art. 14; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 8, 9, 10 e 11, avendo il Tribunale omesso il rinnovo dell’audizione del ricorrente, obbligatoria a causa della mancata effettuazione della videoregistrazione. Nè può valere l’audizione dinanzi al Giudice onorario, non facente parte del Collegio.

Denuncia motivazione apparente nella parte in cui è stato avallato, senza un adeguato vaglio critico, il giudizio reso dalla Commissione territoriale, omettendo di considerare che le incongruenze del racconto non erano gravi, nè vi erano contraddizioni.

2. Con il secondo motivo il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza e/o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non avere il Tribunale considerato il clima sociale e politico in Bangladesh, dove si riscontrano episodi generali di violenza, corruzione e sopraffazione, da cui l’impossibilità di rivolgersi all’autorità per ottenere giustizia.

Deduce che il Tribunale non ha svolto attività istruttoria in merito alle condizioni di vita del ricorrente in Libia, quale Paese di transito, nè ha effettuato la necessaria valutazione comparativa, prescritta dalla legge, per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3. Il ricorso è inammissibile.

4. Preliminarmente, quanto alla censura che investe l’audizione operata dal Giudice onorario che ha poi rimesso al Collegio, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in materia di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito il giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente, rimettendo poi la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, poichè del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 del medesimo D.Lgs., esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis (Cass. n. 3356 del 2019 e n. 4887 del 2020).

5. Tanto premesso, va osservato che la valutazione di affidabilità del richiedente è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione che deve essere svolta alla luce dei criteri specifici, indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, oltre che di quelli generali di ordine presuntivo, idonei ad illuminare circa la veridicità delle dichiarazioni rese; sicchè, il giudice è tenuto a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, i cui esiti in termini di inattendibilità costituiscono apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 11925 del 19.6.2020, cfr. pure Cass. n. 3340 del 2019; v. pure Cass. n. 26921 del 2017).

6. Nel caso in esame, il Tribunale ha logicamente argomentato il giudizio di non credibilità, evidenziando in modo puntuale le ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente circa i motivi dell’espatrio. Il ricorso per cassazione ora all’esame si limita a proporre inammissibilmente una diversa valutazione della credibilità, sostituendo un diverso apprezzamento di fatto a quello compiuto dal giudice di merito.

7. Va poi aggiunto che le liti tra privati per ragioni proprietarie o familiari non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello status di rifugiato (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g). E’ stato affermato da questa Corte che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave solo ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. nn. 24214 e 23281 del 2020, n. 9043 del 2019). E’ stato pure precisato, sempre in tema di protezione sussidiaria, che, quando si deduca un fatto suscettibile di rilevare del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), riconducibile all’azione di privati, l’onere di allegazione del richiedente deve essere adempiuto in termini sufficientemente specifici, non potendosi, in mancanza, attivare l’obbligo di integrazione istruttoria officiosa del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 (Cass. n. 8930 del 2020, n. 23604 del 2017; v. pure Cass. 26823 del 2019).

8. Nella fattispecie, non risulta dalla sentenza impugnata che il ricorrente avesse allegato di avere sporto denuncia o di avere comunque chiesto tutela agli organi statuali preposti. Tale rilievo ha carattere assorbente. A fronte di tale difetto di allegazioni, non sussistevano i presupposti dell’obbligo di integrazione istruttoria ufficiosa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3.

9. Quanto all’ipotesi di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la sentenza impugnata ha dato conto delle fonti informative utilizzate e pertanto ha rispettato l’onere, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, di specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (in tali termini, cfr. Cass. nn. 11312, 13449 e 13897 del 2019 e n. 9230 del 2020).

10. La nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” di cui all’art. 14, lett. c) cit. dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi ai quali è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE; v., in particolare, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018, n. 30105)

11. In tal senso, la valutazione del giudice di merito è stata compiuta in coerenza con i richiamati presupposti normativi. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale ed in tal senso risulta inammissibile, dovendosi ribadire che il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle c.d. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del c.d. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate.

12. In ordine alla doglianza relativa alla mancata attivazione dei poteri istruttori sulle condizioni di vita del ricorrente il Libia, va rilevato che la Libia è stata solo il paese di transito e non è il paese di rimpatrio, che è il Bangladesh, e non è stata prospettata l’esistenza di accordi comunitari o bilaterali di riammissione o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente nello Stato di transito (Cass. n. 31676 del 2018). Inoltre, l’allegazione che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, è irrilevante ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari ove non sia evidenziato dal richiedente asilo quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda (Cass. n. 2861 del 2018 e n. 31676 del 2018).

13. Quanto al riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, questa Corte ha chiarito (v. Cass. n. 4455 del 2018, Cass. S.U. n. 29459, n. 29460 e n. 29461 del 2019) che il giudizio deve fondarsi su un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. Seppure il livello di integrazione raggiunto in Italia non costituisca un dato valutabile isolatamente ed astrattamente, esso certamente concorre nel contesto di una valutazione comparativa tra integrazione sociale raggiunta in Italia e situazione del Paese di origine (cfr. Cass. S.U. n. 29459/2019 cit.). Trattasi di valutazione rimessa al giudice di merito, cui compete tale raffronto con i dati disponibili al momento in cui è chiamato a decidere e dunque all’attualità.

14. Nel caso in esame, il Tribunale ha operato tale valutazione comparativa, evidenziando che il richiedente ha mantenuto nel Paese di origine tutti i membri della sua famiglia e che, in base ai dati disponibili, non avrebbe neppure difficoltà a realizzare un reinserimento lavorativo, mentre i periodi di lavoro svolti in Italia non costituiscono dimostrazione di una integrazione sociale e lavorativa pienamente raggiunta nel territorio nazionale.

15. Dunque, i giudici di merito non hanno mancato di operare la suddetta valutazione comparativa, ma hanno rilevato che le allegazioni del ricorrente quanto alla sua integrazione in Italia non potevano fondare i presupposti per il riconoscimento della tutela richiesta. Nel censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, il ricorrente non ha evidenziato quali sarebbero le circostanze di fatto decisive che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, limitandosi a proporre una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Questo, nel testo modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo del provvedimento (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014 e innumerevoli successive).

16. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

17. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

18. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito (sent. n. 4315 del 2020) che la debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è “…normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali – di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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