Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11176 del 23/04/2019

Cassazione civile sez. I, 23/04/2019, (ud. 27/02/2019, dep. 23/04/2019), n.11176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3317/2018 proposto da:

B.A.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Mercalli n. 13, presso lo studio dell’avvocato Altomare Ugo,

rappresentato e difeso dall’avvocato Belluccio Dario, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2054/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/02/2019 dal cons. FEDERICO GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PAOLA Mastroberardino, che ha concluso per il rigetto del 1 motivo;

accoglimento 3 motivo; assorbimento motivi 2 e 4.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso tempestivamente depositato in data 10.12.2014, B.A.S., cittadino ivoriano, impugnava dinanzi il Tribunale di Catanzaro il provvedimento notificato il 12.11.2014, con cui la Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone, gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale e di quella sussidiaria.

Riferiva di essere di religione musulmana, coniugato con due figli, ma di avere intrattenuto una relazione sentimentale omosessuale, così divenendo oggetto di disprezzo e di accuse da parte di sua moglie nonchè di suo padre, Imam del paese. La decisione di fuggire era giunta a seguito del reperimento del cadavere del proprio partner, ucciso in circostanze non note e, a detta del ricorrente, ad opera di suo padre.

Si costituiva in giudizio la Commissione Territoriale, chiedendo il rigetto dell’opposizione.

Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 30.9.2016, rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria, ritenendo non sussistenti i presupposti per la concessione di dette forme di protezione.

La Corte di Appello di Catanzaro, cui ricorreva il B., con sentenza n. 2054/2017, confermava integralmente le statuizioni di prime cure, compensando le spese tra le parti.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, B.A.S..

Il Ministero dell’Interno non ha svolto, nel presente giudizio, attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 329 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. a), f), h) ed i) ed art. 8, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 ratificata con L. n. 722 del 1954 e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 ratificato con L. n. 95 del 1970, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto che la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato non era stata riproposta dal ricorrente ed avere conseguentemente ritenuto che a seguito di acquiescenza si fosse sul punto si era formato il giudicato interno.

Il motivo è fondato.

Dall’esame degli atti risulta che il ricorrente aveva specificamente censurato la statuizione della sentenza di primo grado, che ne aveva escluso lo status di rifugiato, lamentando in proposito la discriminazione e l’assenza di effettiva protezione delle persone omosessuali in Costa d’ Avorio da parte delle autorità statali, a fronte delle gravissime minacce subite e dell’uccisione del proprio partner, presupposto, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 6, per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Nell’atto di appello, si concludeva pertanto per il riconoscimento della protezione internazionale, anche nella forma sussidiaria, senza però che da ciò, anche considerando il complessivo tenore dell’atto di appello, potesse farsi discendere una rinuncia alla domanda principale di protezione internazionale.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,comma 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6, 7 e 8, e art. 14, comma 1, lett. b), e dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 ratificata con L. n. 722 del 1954, e modificata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 ratificato con L. n. 95 del 1970, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale omesso di verificare se ed in quale misura la situazione personale del ricorrente potesse in ogni caso essere oggetto di una forma di protezione internazionale.

Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli artt. 61,115,116,117 e 191 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè art. 12 par. 1 lett. B), 14, parr. 1 e 2, 31 e 46, par. 3, dor. 2013/32 in relazione all’art. 47 Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea, per avere la Corte territoriale omesso l’ammissione dei mezzi di prova del ricorrente, che avrebbero provato la situazione di pericolo, data dalla sua condizione di omosessualità.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 296 del 1998, artt. 5, 6 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere la Corte territoriale riconosciuto la protezione umanitaria.

I motivi, che, in quanto connessi, vanno esaminati congiuntamente, sono fondati.

La Corte territoriale, dopo aver compiuto una ampia ricostruzione storica, politica e sociale del Paese di origine del ricorrente, ha escluso che sussistessero i presupposti della protezione internazionale, poichè dal racconto del ricorrente non poteva evincersi una situazione di pericolo grave alla persona derivante da violenza in discriminata in situazioni di conflitto armato o interno: il ricorrente, in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale non aveva fatto alcun cenno a situazioni di violenza generalizzata, limitandosi ad esporre le ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, a causa della propria omosessualità, disprezzata e non condivisa dai propri famigliari; in forza di ciò, ad avviso della Corte, considerato l’ambito strettamente familiare delle minacce, doveva escludersi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale.

La Corte territoriale, in particolare, ha accertato che in Costa d’Avorio, al contrario di altri stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, nè lo Stato presenta generali problematiche di sicurezza, facendo da ciò discendere il rigetto della protezione internazionale. Tale statuizione non è conforme a diritto.

Se infatti, qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come reato, questo costituisce, di per sè una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo (Cass. 26969/2018), l’assenza di norme che vietino direttamente o indirettamente i rapporti consensuali tra persone, dello stesso sesso, non è, di per sè, risolutivo ai fini di escludere la protezione internazionale, dovendo altresì accertarsi se lo Stato, in tale situazione, riconducibile alla previsione dell’art. 8, lett. d), non possa o non voglia offrire adeguata protezione alla persona omosessuale, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 5, lett. c), e dunque se, considerata la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, ex art. 8, lett. d), la minaccia grave ed individuale alla propria vita o alla persona e dunque l’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica la propria condizione personale.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso che si versasse in una situazione di oggettivo pericolo, non sussistendo in Costa d’Avorio una situazione di conflitto armato o di violenza diffusa, attribuendo rilievo meramente personale e familiare ai gravi rischi lamentati dal ricorrente.

Non risulta peraltro che la Corte, che pure non ha espresso riserve sulla credibilità del ricorrente, abbia considerato la specifica situazione di quest’ultimo ed abbia adeguatamente valutato la sussistenza di rischi effettivi per la sua incolumità in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di adeguata tutela da parte dell’autorità statale.

A tal uopo, come già rilevato, non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza del ricorrente, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendo altresi accertarsi la sussistenza, in tale paese, di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati.

La Corte territoriale ha infine omesso di valutare la sussistenza della condizione di vulnerabilità del ricorrente, alla luce della particolare situazione personale prospettata nel ricorso e del concreto pericolo che egli possa subire, in conseguenza della propria condizione di omosessualità, trattamenti degradanti e la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello statuto della dignità personale in caso di rimpatrio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso.

Cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2019

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