Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11173 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/06/2020), n.11173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Angelo Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12319/2019 proposto da:

C.D., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Paolinelli,

come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con la

stessa elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv.

Enrica Inghilleri;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 2080/2018,

pubblicata in data 4 ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.D., nato in (OMISSIS), ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona dell’1 dicembre 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato di essere cittadino nigeriano, cristiano battista, di etnia Ika; di essere nato e cresciuto nel villaggio (OMISSIS), alla periferia di (OMISSIS); di essere fuggito dalla Nigeria, poichè designato, morto lo zio capo della setta di culti tradizionali O.F., quale capo di detta setta; che aveva rifiutato tale scelta, per cui era stato aggredito e picchiato; che temendo per la sua vita aveva deciso di fuggire.

3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani.

4. C.D. ricorre in cassazione con due motivi.

5. L’Amministrazione intimata ha presentato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo C.D. lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra; dell’art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 11. Vizio di motivazione in relazione alla statuizione di non credibilità del racconto del C..

Ad avviso del ricorrente la Corte di appello ha motivato in modo tautologico ed apparente sulla non credibilità del racconto e ha omesso la disamina della storia personale del richiedente, ovvero la sua contestualizzazione nel paese di origine; non ha applicato nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata i parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Come si evince dalla lettura della sentenza impugnata, la Corte distrettuale, condividendo la valutazione della Commissione territoriale, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente generica, rilevando anche la possibilità in Nigeria di ottenere protezione da parte dell’Autorità in ordine al timore di subire violenze o intimidazioni da parte di persone legate ai culti, oltre al fatto che nelle fonti disponibili non era stata trovata alcuna informazione che riportava casi verificabili di nigeriani che avevano subito violenza o minacce per avere rifiutato di assumere posizioni nell’ambito di culti tradizionali.

Tanto premesso, questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che “D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).

Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato le dichiarazioni rese dal ricorrente, giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente.

Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

2. Con il secondo motivo C.D. lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della legge nazionale e sovranazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11.

Ad avviso del ricorrente la Corte di appello ha respinto la domanda di protezione sussidiaria senza avere acquisito attendibili informazioni sulla situazione del paese di provenienza del ricorrente (pag. 15 del ricorso per cassazione).

Il ricorrente si duole, poi, che anche sotto il profilo della protezione umanitaria la Corte distrettuale doveva verificare la situazione di grave instabilità politica e sociale presente in Nigeria, anche acquisendo informazioni attendibili sulla situazione del paese di provenienza del ricorrente, oltre che considerare che il rimpatrio lo avrebbe posto in una situazione di estrema difficoltà sociale ed economica.

2.1. Il motivo è fondato.

Ciò che rileva, infatti, è la mancata indicazione delle fonti internazionali, a fronte delle specifiche fonti indicate dal ricorrente, in ragione delle quali la Corte di appello ha escluso che vi fosse un conflitto armato rilevante per il riconoscimento eventuale della protezione sussidiaria, dovendosi applicare il principio secondo il quale “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto” (Cass. n. 11312 del 26/04/2019).

Chiara è, sul punto, anche la più recente giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” va interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (Cass., 20 aprile 2019, n. 9842; Cass., 21 novembre 2018, n. 30105).

Il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione ” (Cass. n. 13449 del 17/05/2019).

Nel caso in esame, la statuizione sul punto risulta assertiva e priva di sia pur minimi riferimenti alle fonti consultate, con la conseguenza che la doglianza va accolta.

3. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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