Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11171 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/06/2020), n.11171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Angelo Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7730/2019 proposto da:

O.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Paolinelli,

come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con la

stessa elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv.

Enrica Inghilleri;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 1779/2018,

pubblicata in data 17 luglio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere CARADONNA Lunella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.M., nato in (OMISSIS), ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 12 giugno 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato di provenire dalla Costa d’Avorio e di avere lasciato il suo Paese per fatti accaduti nel periodo post elettorale del 2011; che un giorno suo padre, uscito per riscuotere del denaro guadagnato commerciando con il cacao, era stato ritrovato senza vita; che lui aveva preso il posto del padre nell’attività commerciale, ma di essere stato minacciato da un giovane di etnia Attie perchè non poteva commerciare in quell’area; che aveva saputo che lo stavano incolpando falsamente di avere ucciso un uomo e di avere deciso di lasciare il Paese.

3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani.

4. O.M. ricorre in cassazione con due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo O.M. impugna i capoversi da 8 a 12 in cui si esclude la persecuzione, quindi il riconoscimento della protezione internazionale, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. Con il secondo motivo O.M. lamenta la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra; degli art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 11. Vizio di motivazione.

Ad avviso del ricorrente la Corte di appello ha motivato in modo tautologico ed apparente sulla non credibilità del racconto e ha omesso la disamina della storia personale del richiedente, ovvero la sua contestualizzazione nel paese di origine e non ha applicato nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata i parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili.

Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale, condividendo le motivazioni del primo Giudice, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente non credibile e le dichiarazioni confuse e contraddittorie (pagina 3).

Inoltre, ha ritenuto che il racconto del richiedente si fondava su un episodio di natura strettamente privata assolutamente estraneo alla situazione socio-politica della Costa d’Avorio (pag. 2).

Tanto premesso, questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che “D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).

Nel caso di specie la decisione censurata ha valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, le dichiarazioni rese dai ricorrente, rilevando la sussistenza di contraddizioni nel racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente.

Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa specificamente richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053).

2.2 Per quel che concerne la protezione sussidiaria erra, poi, l’istante a dolersi della mancata spendita, da parte dei giudici del merito, dei doveri di cooperazione istruttoria contemplati in tema di protezione internazionale.

La Corte di appello ha dato atto che, in base a quanto emergeva dal rapporto di Amnesty International, la situazione di violenza generalizzata e indiscriminata consisteva nella situazione di insicurezza derivante dai reciproci attacchi da gruppi armati sostenitori dell’ex Presidente e dell’attuale Presidente, situazione localizzata nella regione occidentale della Costa d’Avorio, mentre il O. non aveva mai avuto a che fare con partiti o gruppi politici e il villaggio dal quale aveva dichiarato di provenire era situato nel sudest del paese, dove, per come risultava da informazioni reperibili on line, non si registrava alcun clima di violenza generalizzata.

Deve peraltro sottolinearsi che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c) citato, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, sicchè non può essere rivalutato in questa sede, con l’impugnazione proposta, il giudizio espresso dalla Corte di appello sulla scorta delle informazioni da essa acquisite (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).

Va inoltre ricordato, in proposito, che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente, che è prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

Anche le domande aventi ad oggetto il riconoscimento dello status di rifugiato politico e di protezione sussidiaria ex art. 14 cit., lett. a) e b), in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, sono state dunque correttamente disattese.

3. O.M. lamenta la violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovranazionale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; dell’art. 3 CEDU e art. 10 Cost.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Vizio di motivazione. Vulnerabilità del richiedente per motivi di salute. Necessità di salvaguardare l’alto grado di integrazione sul territorio.

Ad avviso del ricorrente anche sotto il profilo della protezione umanitaria la Corte distrettuale doveva verificare la situazione di grave instabilità politica e sociale presente in Costa d’Avorio, nonchè la circostanza che il richiedente soffriva di ipertensione arteriosa, oltre lo sradicamento dal Paese di origine e il radicamento in Italia.

3.1 Il motivo è inammissibile.

E’ utile, invero, premettere che, come ribadito anche di recente da questa Corte, la protezione umanitaria – secondo i parametri normativi stabiliti dagli art. 5, comma 6; art. 19, comma 2, T.U. n. 286 del 1998 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32, – è una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass., 5 aprile 2019, n. 9651).

A tal fine, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio e non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass. 15 maggio 2019, n. 13079; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).

3.2 Nel caso concreto, la Corte territoriale ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, considerando che il ricorrente non aveva indicato oggettive e gravi situazioni personali che non permettevano l’allontanamento dal territorio nazionale, nè aveva dimostrato di essersi concretamente integrato in Italia dal punto di vista sociale e familiare ed evidenziando, sia pure in modo stringato ma non apodittico (pagina 3), l’assenza di criticità nel Paese di provenienza del richiedente e ritenendo che la patologia di cui soffriva (ipertensione arteriosa) non giustificava l’invocata protezione.

Anche con riguardo alle condizioni di salute, che lo stesso ricorrente assume essere maturate nelle more del procedimento giudiziario, questa Corte, dopo avere precisato che “la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente” ha evidenziato che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di ” estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., 7 febbraio 2019, n. 3681).

4. Il ricorso va, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese poichè l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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