Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11170 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 07/05/2010), n.11170

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7465/2007 proposto da:

STUDIO COMMERCIALE TRIBUTARIO ASSOCIATO ALTERIO ACUNZO RENELLA,

sciolto anticipatamente, in persona del socio A.G., e

A.G. in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO presso lo studio dell’Avvocato ZACA’ Giovanni, che li

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI NAPOLI (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 6/2006 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di NAPOLI, depositata il 06/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. SIMONETTA SOTGIU;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIOVANNI ZACA’, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Lo “Studio Commerciale Tributario Associato Alterio Acunzo, Renella” ha impugnato con ricorso cumulativo tre avvisi di accertamento emessi nei confronti dello Studio e dei soci A. e R. dall’Agenzia delle Entrate di Napoli per l’anno d’imposta 1999, in relazione a maggior reddito di lavoro autonomo che lo studio professionale e i suoi soci avrebbero presuntivamente conseguito mediante l’applicazione dei parametri di cui al D.P.C.M. 27 marzo 1997.

L’8 luglio 2003 A.G., rappresentante legale, oltrechè socio, dello Studio ha presentato istanza di anticipata trattazione della controversia, che è stata decisa favorevolmente alla Studio con sentenza della Commissione Provinciale di Napoli n. 23 del 26 febbraio 2004.

Il 27 gennaio 2005, su istanza di correzione della sentenza che si riferiva al solo accertamento nei confronti dello Studio, presentata dal socio R. – che aveva nel frattempo presentato istanza di condono-, veniva disposta la formazione di un nuovo fascicolo con copia della sentenza citata e degli accertamenti di cui era stato pretermessa l’esame.

Nel frattempo, la sentenza n. 23/2004 della CTP è stata impugnata dall’Agenzia delle Entrate in data 11/19 luglio 2005 e successivamente con appello incidentale da R.B., che ha chiesto la cessazione della materia del contendere nei suoi confronti avendo la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli con sentenza 13 aprile 2005 n. 187 ritenuto valida la domanda di condono, a suo tempo presentata dal R..

A.G., quale rappresentante dello Studio associato, ha eccepito, fra l’altro, la tardività dell’appello dell’Agenzia, che avrebbe dovuto essere notificato, à sensi dell’art. 327 c.p.c., entro il 26 aprile 2005.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania ha, con sentenza 6 febbraio 2006, accolto, ritenendolo tempestivo, l’appello dell’Ufficio limitatamente all’accertamento relativo allo Studio Associato, ritenendo estranee alla controversia le ulteriori questioni afferenti il condono e non inficiato dalle dichiarazioni dei contribuenti, sfornite di prova, lo scostamento dei ricavi determinato dall’Ufficio.

Lo Studio Associato Alterio Acunzo, Renella chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di quattro motivi, senza resistenza da parte dell’intimata Agenzia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo si adduce violazione della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6, in relazione alla ritenuta tempestività dell’appello dell’Agenzia in regime di sospensione della lite, regime nella specie inapplicabile essendovi stata istanza di trattazione da parte dello Studio associato e dell’ A. in proprio. Su punto si formula apposito quesito à sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “se la presentazione della istanza di trattazione del ricorso pendente, à sensi e per gli effetti della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 6, abbia impedito la sospensione del processo e dei relativi termini processuali per la proposizione dell’appello presentato dalla Agenzia delle Entrate di Napoli”.

Il quesito merita risposta negativa, con conseguente infondatezza del motivo.

La L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, n. 6, recita infatti: “Le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente articolo sono sospese fino al 1 giugno 2004, salvo che il contribuente non presenti istanza di trattazione.-.. Per le liti fiscali che possono essere definite à sensi del presente articolo sono sospesi, fino al 1 giugno 2004, salvo che il contribuente non presenti istanza di trattazione, termini per la proposizione di ricorsi,appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione..”. La previsione di due eventuali istanze di trattazione in fasi differenti del giudizio comprova che la prima istanza, se presentata dal contribuente, come nella specie, comporta la valida trattazione del processo in quella fase, ma non incide sulla sospensione dei termini di impugnazione, che può essere a sua volta interrotta da un’istanza successiva del solo contribuente, che abbia interesse ad una rapida soluzione della vertenza. Se viceversa l’impugnazione è stata proposta, come nella fattispecie, dall’Amministrazione, usufruendo del termine di sospensione, il contribuente – e lui solo, per quanto può inferirsi dalla lettera della norma – può, a giudizio d’impugnazione instaurato, chiedere la trattazione della causa, sempre ai fini di accelerare la definizione della lite, ma non può anticipatamente privare la controparte della sospensione dei termini, prevista in via generale (salvo l’eccezioni – e dell’istanza di trattazione di cui si è detto) per tutte le liti fiscali condonabili. Non può infatti dedursi dal comportamento del contribuente, che abbia inteso rendere inoperante il termine di sospensione, la sua volontà di interferire anche sui termini d’impugnazione (cfr.: Cass. 4515/2009).

Il primo motivo di ricorso va dunque rigettato.

Col secondo motivo, si adduce violazione dell’art. 24 Cost., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, per essere stata ritenuta estranea al presente giudizio – in quanto relativo al solo avviso di accertamento emesso nei confronti dello Studio associato – la definizione della lite fiscale nei confronti dei soci,non essendo le associazioni professionali soggetti passivi d’imposta, sicchè la eccezione di improcedibilità dell’appello per intervenuto condono dovrebbe considerarsi legittimamente sollevata dall’ A.. Sul punto si chiede che questa Corte dica “se la definizione della lite fiscale, pendente da parte dei singoli associati à sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 1, lett. b), n. 1, abbia determinato l’improcedibilità dell’appello per intervenuta cessazione della materia del contendere della intera controversia tributaria”.

Anche tale quesito merita risposta negativa, con conseguente rigetto,per infondatezza del motivo.

L’avviso di accertamento di cui è causa era stato infatti rivolto nei confronti sia dello Studio associato-parificato à sensi dell’art. 5, n. 2 comma c) T.U.I.R., ad una società semplice – che dei due soci, con la conseguenza che lo Studio associato era abilitato, à sensi della L. n. 239 del 2002, art. 7, a presentare istanza di condono, così come potevano farlo, separatamente, i due soci, senza che le relative determinazioni fossero necessariamente collegate. Dunque correttamente la Commissione Regionale ha ritenuto la controversia relativa all’istanza di condono presentata da uno dei due soci estranea alla controversia in esame.

Anche tale motivo deve essere pertanto rigettato.

Col terzo motivo si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, perchè il giudice d’appello avrebbe sollevato d’ufficio, in dispregio del principio del contraddittorio, la questione relativa alla estraneità alla presente controversia della definizione della lite nel frattempo intervenuta nei confronti del socio. Si propone dunque il seguente quesito: “Dica la Corte se in materia di accertamento del reddito di una Associazione professionale e di quello di partecipazione dei soci, l’eccezione proposta d’ufficio dal Giudice di secondo grado, tesa a rilevare l’estraneità della controversia d’appello, delle definizioni della lite proposta dagli associati al fine di neutralizzare l’eccezione di improcedibilità formulata dai contribuenti nel giudizio di secondo grado, comporti mutamento della causa pretendi e, quindi, costituisca motivo di nullità della sentenza per violazione del principio tra chiesto e pronunciato e violazione del principio del contraddittorio”.

Il motivo è infondato, e il relativo quesito è da disattendere,perchè non correttamente formulato in relazione alla fattispecie, nella quale è stato il socio R. – e non la Commissione Regionale – ad introdurre in causa l’eccezionè relativa alla pretesa estensibilità allo Studio Professionale Associato del condono intervenuto nei confronti di uno dei soci. L’addebito di nullità della sentenza impugnata non ha dunque alcuna consistenza.

Col quarto motivo si deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla affermazione dell’Ufficio, non comprovata da alcun documento, secondo cui i contribuenti non avrebbero aderito alla richiesta dell’Ufficio di giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli determinati con i calcolo parametrico, facendo inoltre inopportuno richiamo, per respingere l’eccezione di definizione della lite pendente formulata dai contribuenti, alla sentenza n. 187/05 della CTP di Napoli.

Il motivo è inammissibile, perchè privo di autosufficienza, non avendo in alcun modo il ricorrente contrastato in questa sede, i parametri applicati dall’Ufficio, essendosi limitato a contestarli, senza fornire alcun utile elemento a sostegno della propria tesi.

Conclusivamente,pertanto, il ricorso va integralmente rigettato.

I profili processuali della vicenda comportano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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