Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1117 del 20/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 20/01/2020), n.1117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27857-2014 proposto da:

F.A., + ALTRI OMESSI, tutti domiciliati ex lege in ROMA

alla PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FERNANDO LO VOI;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI BISACQUINO, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato

ex lege in ROMA alla PIAZZA CAVOUR presso la Cancelleria della CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE

RIBAUDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/05/2014 R.G.N. 1690/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese che aveva accolto i ricorsi, ha rigettato le domande proposte nei confronti del Comune di Bisacquino da F.A. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe i quali, assunti con contratti di lavoro a tempo determinato e inquadrati nelle aree A e B del CCNL enti locali, avevano successivamente stipulato nuovi contratti, in esecuzione della Delib. Giunta 6 dicembre 2006, n. 149 e si erano visti attribuire la categoria immediatamente superiore a quella di originario inquadramento;

2. il Comune, con Delib n. 32 del 2009, aveva annullato in autotutela l’atto deliberativo del 2006 e aveva disposto unilateralmente la risoluzione dei nuovi contratti, assegnando ai dipendenti mansioni riconducibili alle aree A e B e riducendo il trattamento retributivo;

3. i dipendenti avevano, pertanto, agito in giudizio per ottenere l’accertamento del diritto a mantenere la categoria superiore prevista nei contratti stipulati il 18.12.2006 e la conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle differenze retributive;

4. la Corte territoriale ha rilevato che il datore di lavoro pubblico non esercita un potere autoritativo e, di conseguenza, non può agire in autotutela però, al pari di ogni privato, può far valere la nullità dell’atto e rifiutare l’adempimento dell’obbligazione sul rilievo dell’assenza di un valido vincolo contrattuale;

5. nella specie era affetta da nullità, conseguente alla violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191 la Delib. n. 149 del 2006, con la quale era stata autorizzata la parziale novazione dei contratti a tempo determinato, perchè il maggiore onere economico necessario era stato finanziato attraverso l’utilizzo di fondi che nel bilancio comunale avevano una diversa destinazione, perchè stanziati per far fronte alle spese delle stabilizzazioni e non per riconoscere incrementi retributivi;

6. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso i litisconsorti indicati in epigrafe sulla base di un unico motivo, al quale ha opposto difese, con tempestivo controricorso, il Comune di Bisacquino.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (esistenza della copertura finanziaria) che è stato oggetto di discussione fra le parti..” e addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che le somme impegnate con la delibera annullata non provenivano dal finanziamento regionale e non avevano una destinazione vincolata, perchè si trattava di un “risparmio” realizzato sulle stabilizzazioni che, in quanto relativo a fondi propri del Comune, poteva essere utilizzato per qualsiasi altra finalità;

2. il ricorso è inammissibile, innanzitutto perchè la censura esorbita dai limiti del riformulato art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile alla fattispecie in quanto la sentenza gravata è stata depositata il 15.5.2014;

3. hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 8053/2014) che la riforma del 2012 ha introdotto un vizio specifico che non riguarda la motivazione della sentenza ma concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della pronuncia o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

3.1. l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;

3.2. il motivo, quindi, è validamente formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 solo qualora il ricorrente indichi il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”;

3.3. le richiamate condizioni non ricorrono nella fattispecie, sia perchè la censura non è formulata nel rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 e art. 369 c.p.c., n. 4, sia perchè la Corte territoriale ha esaminato quello che si assume essere un fatto decisivo, ossia che i fondi utilizzati provenissero dal risparmio realizzato sul costo delle stabilizzazioni, e l’ha ritenuto privo di rilievo in quanto si trattava pur sempre di somme a destinazione vincolata (pag. 4 e 5 della decisione gravata);

3.4. il ricorso non si confronta, quindi, con l’effettiva ratio della sentenza impugnata, perchè nessun omesso esame è addebitabile alla Corte territoriale e, se mai, la pronuncia doveva essere censurata per violazione delle norme di legge, in ipotesi, violate nel momento in cui il vincolo di destinazione era stato desunto, a detta dei ricorrenti erroneamente, dallo stanziamento nel bilancio comunale, che correlava l’impegno di spesa al costo delle stabilizzazioni;

4. alla pronuncia di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

5. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.500,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2020

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