Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11168 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15239/2012 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G & G s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso,

dall’Avv. Salvatore Sammartino, ed elettivamente domiciliata presso

lo studio dell’Avv. Giuseppe Piero Siviglia in Roma, Via

dell’Elettronica, n. 20;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, n. 64/29/2011, depositata il 29 aprile 2011;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 28 gennaio

2021 dal Consigliere D’Orazio Luigi.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito di processo verbale di constatazione, anche con l’invio di questionari ai fornitori della G & G s.r.l., l’Agenzia delle entrate, in relazione all’anno 2003, emetteva avviso di accertamento nei confronti della società contribuente G & G s.r.l., rilevando l’omessa dichiarazione di ricavi per la somma di Euro 71.468,47, la contabilizzazione di costi relativi ad operazioni inesistenti per Euro 323.738,30, oltre a costi ritenuti non inerenti per Euro 1.530,00, con accertamento della tenuta irregolare della contabilità in mancanza di alcuni documenti di trasporto.

Lo stesso avviso di accertamento veniva notificato anche al legale rappresentante della società C.I., qualificato come “autore delle violazioni”.

2. La Commissione tributaria provinciale di Agrigento accoglieva il ricorso proposto dalla società (sentenza 198/07/07), in quanto l’Agenzia delle entrate non aveva depositato in giudizio i processi verbali di constatazione ed i questionari somministrati ai fornitori della contribuente.

3. La Commissione tributaria provinciale di Agrigento rigettava il ricorso presentato da C.I., quale legale rappresentante della società (sentenza 294/03/06), in quanto dalle risposte fornite ai questionari dai fornitori emergeva che essi non avevano mai avuto rapporti commerciali con la contribuente.

4. La società impugnava la sentenza n. 294/03/06, mentre l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza 198/07/07.

5. La Commissione tributaria regionale della Sicilia, riuniva i ricorsi, rigettava l’appello proposto dall’Ufficio ed accoglieva l’appello articolato dalla società, confermando “la disposizione relativa all’annullamento dell’avviso di accertamento”, evidenziando che non erano stati depositati il processo verbale di constatazione ed i questionari “inviati agli ipotetici soggetti che avrebbero intrattenuto rapporti commerciali con la G & G”; quanto ai costi indeducibili, la merce era stata sempre consegnata da L.P.P., il quale, su incarica, dei fornitori presentava la fattura da essi emessa nei confronti della contribuente, acquirente di prodotti agricoli; non si comprendeva, poi, la ragione per cui gli acquisti venivano considerati inesistenti, ma ciò nonostante, si riteneva che gli stessi prodotti erano stati poi venduti, con ricavi recuperati a tassazione sempre nel 2003; i questionari, comunque, avevano mero valore indiziario e non probatorio.

6. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

7. Resiste con controricorso la società, depositando anche memoria scritta.

8. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

9. Il processo è stato sospeso ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6.

10. A seguito di istanza della società è stata fissata l’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, art. 132 c.p.c. – D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, nn. 3 e 4 – Nullità della sentenza”, in quanto “le scarne e sintetiche argomentazioni svolte dai giudici della CTR…non possono ritenersi idonee a soddisfare il requisito motivazionale prescritto tassativamente dalla legge quale contenuto essenziale delle sentenze” in violazione, appunto, dell’art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, tanto più che gli appelli proposti dalle parti avevano ad oggetto due sentenze del tutto in contrasto tra loro. La motivazione è del tutto generica avendo ritenuto la Commissione regionale che raccoglimento dell’appello della società derivava dal mancato deposito del processo verbale di constatazione e dei questionari, mentre l’Agenzia ben poteva accertare attività non dichiarate avvalendosi di presunzioni semplici. Non vi è stata alcuna motivazione sugli specifici motivi di appello e sulle ragioni della pretesa come riportate nel processo verbale di constatazione.

1.1. Tale motivo è infondato.

Invero, a prescindere dalla erroneità della rubrica del motivo, che concentra la censura di violazione di legge di cui all’art. 132 c.p.c. e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, con il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo), si evidenzia, tuttavia, che la motivazione della sentenza della Commissione regionale muove dal dato certo che l’Agenzia delle entrate non ha prodotto, nè in primo grado, nè nei giudizio di appello, il processo verbale di constatazione ed i questionari asseritamente somministrati ai fornitori della contribuente (“preliminarmente, osserva questo Collegio che, come lamentato dalla contribuente, non sono stati depositati sia il Pvc che i questionari inviati agli ipotetici soggetti che avrebbero intrattenuto rapporti commerciali con la G & G, sul cui contenuto poggia la decisione”).

Successivamente, la motivazione si sofferma, quanto ai costi non deducibili, sul ruolo svolto da L.P.P., che avrebbe consegnato la merce, come pure le fatture, emesse dai fornitori, evidenziando che se le operazioni di acquisto erano inesistenti, non si comprendeva come si potesse ipotizzare che quelle stesse merci (mai arrivate) sarebbe state vendute nel corso dell’anno 2003.

La motivazione, come si vede, esiste e si fonda proprio sulla circostanza dirimente che l’Agenzia delle entrate, omettendo la produzione del processo verbale di constatazione e dei questionari, non ha fornito gli indizi idonei per procedere all’emissione dell’avviso di accertamento.

Sussistono, quindi, tutti gli elementi sufficienti ad integrare il minimum costituzionale della motivazione.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. – mancato esame dei motivi d’appello art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto mentre l’Agenzia nell’atto di appello ha evidenziato che le attività non dichiarate erano emerse sulla base di presunzioni semplici ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la Commissione regionale con motivazione “semplicistica e superficiale”, “non si è pronunciata sui motivi esposti dall’Ufficio nella propria impugnativa”, sicchè la sentenza “è totalmente carente di motivazione”.

2.1. Tale motivo è infondato.

2.2. Anzitutto, si rileva che, trattandosi di censura su error in procedendo, il motivo di ricorso doveva essere articolato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Tuttavia, per questa Corte, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, non costituisce condizione necessaria la corretta menzione dell’ipotesi appropriata, tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, purchè si faccia valere un vizio della decisione astrattamente idoneo a inficiare la pronuncia; ne consegue che è ammissibile il ricorso per cassazione che lamenti la violazione di una norma processuale, ancorchè la censura sia prospettata sotto il profilo della violazione di norma sostanziale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anzichè sotto il profilo dell'”error in procedendo”, di cui al citato art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., sez. 5, 6 ottobre 2017, n. 23381; Cass., sez. 2, 21 gennaio 2013, n. 1370).

2.3. Inoltre, il motivo è autosufficiente, in quanto la ricorrente ha riportato, nel corpo del motivo, attraverso il richiamo alle pagine 29-36 del ricorso per cassazione, il contenuto dei motivi di impugnazione dedotti con l’atto di appello, consentendo, quindi, a questa Corte di verificare se vi sia stata o meno la omessa pronuncia sulle singole censure di appello.

2.4. Tuttavia, il motivo è infondato nel merito.

Invero, la ricorrente rileva che la sentenza della Commissione regionale è censurabile perchè non ha considerato “le ragioni esposte dall’Ufficio, a fondamento della pretesa tributaria, analiticamente riportate nel PVC e nei suoi allegati e condivise dalla sentenza n. 294/03/06 citata”.

2.5. In realtà, la Commissione regionale ha chiarito che “come lamentato dalla contribuente, non sono stati depositati sia il PVC che i questionari inviati agli ipotetici soggetti che avrebbero intrattenuto(rapporti commerciali con la G & G”, sicchè, in assenza di elementi presuntivi, l’Agenzia non ha fornito la prova, neppure indiziaria, della sussistenza di ricavi non contabilizzati e della indeducibilità dei costi.

2.6. Va chiarito che la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento n. 198/07/2007, ha escluso in modo categorico che la società avesse prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione e di questionari (cfr. pagina 20 del ricorso per cassazione, ove si riporta la motivazione della CTP 198/2007 “Va premesso che non è stato prodotto da nessuna delle parti la copia dei p.v. di constatazione posto a base dell’accertamento per cui la Commissione, in presenza della radicale contestazione delle sue risultanze da parte della società ricorrente, non è in grado di verificare se le contestazioni mosse con lo stesso e che hanno dato luogo all’emanazione dell’atto impugnato, siano fondate o meno”). Sempre nella motivazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento n. 198/2007 si ribadisce che “le presunzioni poste a base dell’accertamento, per quanto sopra detto, in assenza di qualsiasi ulteriore elemento verificabile dalla commissione per la mancata produzione del p.v. di constatazione, non hanno i requisiti di gravità, precisione e concordanza voluti dalla legge” (cfr. pagina 21 del ricorso per cassazione). Il riferimento fatto dalla medesima Commissione provinciale all’esame degli atti, con indicazione, tra parentesi, “sia dal p.v. che dall’atto di accertamento” contrasta in modo netto, con le due precedenti affermazioni perentorie della medesima CTP.

L’altra sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento (n. 294/03/06), sul punto, si limita, invece, a rilevare in modo esettico e superficiale che “dai controlli incrociati operati dalla Guardia di Finanza, riportati nel p.v.c., i fornitori indicati nelle fatture, hanno unanimamente disconosciuto qualsiasi rapporto commerciale con la G. & G. s.r.l.” (cfr. pagina 20 del ricorso per cassazione).

2.7. Quanto ai motivi specifici di appello, l’Agenzia delle entrate nel ricorso per cassazione richiama, sotto il secondo motivo, le pagine 29-36 del medesimo ricorso.

I motivi, in particolare si riassumono nei controlli incrociati operati dalla Guardia di Finanza, compendiati nel processo verbale di constatazione, e nell’invio del questionari, oltre che in relazione a tale L.P.P., che avrebbe svolto il ruolo di intermediario nelle operazioni commerciali con i produttori agricoli (cfr. pagina 33 del ricorso per cassazione “nè, peraltro, il riferimento alle fatture allegate al ricorso può costituire prova degli acquisti asseritamente effettuati, poichè dai controlli incrociati operati dalla G.di F., e riportati nel predetto PVC, attraverso l’invio di questionari ai fornitori indicati nelle fatture, è emerso che gli stessi unanimamente hanno disconosciuto qualsiasi rapporto commerciale con la G. & G. s.r.l., di cui non sapevano l’esistenza”; cfr. pag. 34 del ricorso per cassazione “il fatto che la società, per superare la contestata indebita contabilizzazione di costi indeducibili relativi ad operazioni inesistenti per Euro 323.738,30, abbia fatto riferimento a tale L.P.P. quale intermediario nelle operazioni commerciali con i produttori agricoli, non può avere valore probatorio della veridicità degli acquisti riportati nelle fatture contestate, poichè lo stesso ricorrente non fornisce alcuna documentazione dalla quale è possibile trarre la natura di tali rapporti contrattuali, nè il riferimento ad un eventuale procedimento penale a carico del L.P. può avere alcuna rilevanza tributaria”).

2.8. La Commissione tributaria regionale ha risposto ad entrambe le questioni dirimenti della controversia. Infatti, si legge in motivazione, con riferimento al processo verbale di constatazione ed ai questionari, che “preliminarmente osserva questo Collegio che, come lamentato dalla contribuente, non sono stati depositati sia il PVC che i questionari inviati agli ipotetici soggetti che avrebbero intrattenuto rapporti commerciali con la G.&G, sul cui contenuto poggia la decisione”.

Inoltre, quanto alla figura di tale L.P.P., la Commissione regionale ha affermato che “in ordine alla contestata indebita contabilizzazione di costi indeducibili per Euro 323.738,30, la società contribuente sostiene che la merce oggetto delle rispettive fatture inesistenti, è stata sempre consegnata dal sig. L.P.P., il quale su incarico dei fornitori presentava la fattura di questi emessa nei confronti della società G&G, acquirente i prodotti agricoli”.

In relazione ai costi ritenuti inesistenti, il giudice d’appello precisa che “se da un lato si ammette che le operazioni di acquisto sono state esistenti e, quindi, mai avvenute, dall’altro non si comprende come gli stessi verbalizzanti possano giungere a ritenere che tali prodotti siano state successivamente venduti nel corso 2003. Appare abbastanza logico che la merce prima viene acquistata e poi venduta”.

Pertanto, il giudice d’appello ha fornito risposta agli specifici motivi di appello articolati dall’agenzia delle entrate nel proprio atto di gravame.

2.9. Inoltre, deve evidenziarsi che nei due atti di controdeduzione della Agenzia delle entrate in sede di primo grado di giudizio, entrambi del’identicc contenuto (uno con riferimento al ricorso della società e l’altro per il ricorso del legale rappresentante della stessa), trascritti nel ricorso per cassazione, si legge che “si fa riserva di deposito di documenti e memorie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32” (cfr. pagina 5 del ricorso per cassazione), sicchè è pacifico che l’Agenzia delle entrate aveva solo l’intento di depositare documenti entro il termine di venti giorni prima dell’udienza ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32. Le controdeduzioni, poi, presentano la conclusione con cui si chiede a Commissione tributaria “rigetti il ricorso e dichiari dovuti gli importi iscritti a ruolo”.

Nelle successive memorie l’Agenzia delle entrate reitera le conclusioni chiedendo alla Commissione tributaria provinciale di “rigettare il ricorso di parte per i motivi sopra esposti” (cfr. pagina 11 del ricorso per cassazione). Nelle memorie non si fa alcun riferimento alla avvenuta produzione nei venti giorni prima dell’udienza del p.v.c. e dei questionari.

Nonostante la CTP di Agrigento, con sentenza n. 198/7/2007, abbia accolto il ricorso della società, per la mancata produzione del p.v.c. e dei questionari, l’Agenzia delle entrate, nell’atto di appello, non si sofferma minimamente su tale circostanza di fatto, limitandosi a reiterare le due difese fondate sui risultati dei “controlli incrociati” (attraverso i questionari) e del p.v.c., senza prendere espressa posizione sulla circostanze dirimente costituita dalla avvenuta produzione o meno in giudizio di tale documentazione (cf. pagine 33 e 34 del ricorso per cassazione).

2.10. L’Agenzia delle entrate, dunque, non ha in alcun modo dimostrato l’avvenuta produzione documentale di cui trattasi e, soprattutto, non ha specificato il contenuto effettivo dei questionari e del processo verbale di constatazione. La stessa avrebbe potuto, quanto meno, riportare gli stralci di tale documentazione.

Invero, per questa Corte, ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere (nella specie ravvisata dalla S.C. a fronte di ricorso per cassazione di 239 pagine, nonostante la semplicità della questione giuridica alla base della decisione impugnata, illustrata in due pagine) pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111 Cost., comma 2, e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Cass., sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8425).

Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, pur nel rispetto della sintesi alla ricorrente in cassazione, avrebbe dovuto, quantomeno, indicare il momento ed il luogo della avvenuta produzione documentale, richiamando, almeno per stralci, il tenore di tali documenti, nelle parti rilevanti per la definizione della controversia.

Inoltre, l’Agenzia non ha nemmeno dimostrato che il contenuto del processo verbale di constatazione e dei questionari fosse stato realmente riportato nell’atto impositivo acquisito del giudizio di merito, del quale non viene riprodotto il contenuto, nei suoi stralci essenziali.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione regionale, in realtà il processo verbale di constatazione è stato prodotto integralmente dall’Ufficio “fin dal primo grado di giudizio, nei quale è stata emessa la sentenza n. 294/03/06 citata, che, infatti, dà atto del contenuto del PVC (pagg. 18-20, in particolare pag. 19)”. Pertanto, secondo la ricorrente, “con la riunione dei due giudizi d’appello, erano a disposizione entrambi i fascicoli e, perciò, la CTR di Palermo, nella sentenza impugnata indicata in epigrafe, non poteva affermare che…non sono depositati sia il PVC sia i questionari”. Pertanto, la sentenza sarebbe affetta da vizio di motivazione in quanto “dal censurato e inesistente difetto di allegazione di prove” avrebbe atto derivare “il totale rigetto dell’appello”.

3.1. Tale motivo è inammissibile.

3.2. Si premette che non si è in presenza di un vizio revocatorio da far valere ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, pur se si deduce la presenza nei fascicoli processuali di documenti (processo verbale di constatazione e questionari) che la Commissione regionale avrebbe, invece, ritenuti assenti, tuttavia tale questione è stata dibattuta ed era “controversa” tra le parti, tanto che nella sentenza della Commissione regionale si legge che “preliminarmente osserva questo Collegio che, come lamentato dalla contribuente, non sono stati depositati sia il PVC che i questionari inviati agli ipotetici soggetti che avrebbero intrattenuto rapporti commerciali con la G&G”.

Inoltre, la ricorrente asserisce che il giudice di appello ha utilizzato l’incomprensibile espressione “omessa contabilizzazione di costi indeducibili relativi ad operazioni inesistenti”.

In realtà, nella motivazione della sentenza del giudice d’appello a pagina due, rigo 10, si legge “in ordine alla contestata indebita contabilizzazione di costi indeducibili per Euro 323.738,30”, sicchè si comprende la motivazione della decisione.

3.3. Il motivo è, però, inammissibile per difetto di autosufficienza.

Invero, è necessario per l’autosufficienza del ricorso che la parte trascriva, nelle sue parti essenziali, o comunque “localizzi” o, altrimenti, “alleghi” gli elementi essenziali dei documenti invocati per la decisione della controversia. La ricorrente, però, si è limitata ad affermare che i documenti (processo verbale di constatazione e questionari), in realtà, sono stati prodotti nel giudizio, introdotto dal legale rappresentante C., poi concluso con la sentenza della Commissione provinciale 294/03/06, che ne ha tenuto conto alle pagine da 18 a 20 della motivazione, sicchè, una volta riuniti i giudizi, il materiale istruttorio, e segnatamente il processo verbale di constatazione ed i questionari, sono divenuti patrimonio istruttorio comune del giudizio divenuto unitario.

In realtà, la ricorrente non indica in alcun modo in quale momento del giudizio di primo grado o di appello, e con quali modalità, è avvenuto il deposito di tali documenti.

Nè rileva che la Commissione provinciale, nella sentenza 294/03/06, abbia indicato in motivazione il processo verbale di constatazione ed i questionari, non essendo stata data la dimostrazione della produzione di tali documenti.

Peraltro, nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Agrigento n. 198/07/2007 si esclude categoricamente che l’agenzia delle entrate abbia prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione.

3.4. Infine, si rileva che la società non ha neppure dedotto che i documenti, inizialmente presenti in atti, perchè da essa prodotti, sarebbero successivamente stati smarriti.

Infatti, per questa Corte ove al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione, solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Qualora, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare un siffatto vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa (Cass., sez. 2, 7 ottobre 2020, n. 21571).

Si è anche affermato che la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo”, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass., sez. un., 25 luglio 2019, n. 20181; Cass., sez. 1, 2 febbraio 2017, n. 2771; Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077).

3.5. Va, poi, osservato che, seppure con riferimento al processo civile, nel litisconsorzio facoltativo improprio (artt. 103 e 274 c.p.c.) le cause riunite conservano la loro autonoma individualità, senza che si verifichi alcuna fusione degli elementi di giudizio e delle prove acquisite nell’una o nell’altra; tale principio può essere mitigato per le prove costituende, in quanto formatesi nel contraddittorio delle parti dopo che sia stata disposta la riunione, ma non anche per le prove precostituite entrate nel processo per iniziativa di uno solo dei litisconsorti, a meno che la parte che intenda avvalersi di un documento prodotto da altri non lo faccia proprio, producendolo a sua volta o manifestando l’univoca intenzione di avvalersene, con una dichiarazione da rendere, senza formule sacramentali, entro il termine eventualmente assegnato per l’indicazione della prova diretta, o contraria, a seconda della sua finalità (Cass., sez. 3, 3 agosto 2017, n. 193737; contra Cass., 29 novembre 2001, n. 15189).

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la nullità per vzio di motivazione può essere dichiarata solo nella ipotesi in cui non sia allegato all’accertamento un atto non conosciuto dal contribuente, mentre, nella specie, il processo verbale di constatazione ed i questionari sono stati consegnati alla fine della verifica al legale rappresentante della società. Inoltre, “se per qualche motivo il PVC non si trovava nel fascicolo, la Commissione Tributaria Regionale…considerata l’importanza dello stesso, aveva il dovere di ordinarne l’esibizione” ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, anche dopo l’abrogazione del comma 2.

4.1. Tale motivo è infondato.

Per quanto concerne il richiamo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, si rileva che nè nella sentenza della Commissione regionale, nè in altri atti di causa si fa menzione della deduzione del vizio di nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione al processo verbale di constatazione dei questionari. La stessa società, nel controricorso, ha affermato di non aver mai proposto tale motivo di doglianza nè nel ricorso originario proposto dal C. nè in quello della società stessa (cfr. pagina 29 del controricorso “nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento ad un’ipotetica violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, ed infatti quest’ultima non era stata neanche eccepita dalla società resistente e dal Sig. C. nè in primo nè in secondo grado”). Quanto, alla mancata acquisizione d’ufficio dei documenti, si rileva che per questa Corte, a seguito dell’abrogazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 3, al giudice di appello non è consentito ordinare il deposito di documenti nella materiale disponibilità di una delle parti che non abbia tempestivamente assolto al proprio onere della prova, non potendosi considerare indispensabili, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, quelle prove che non siano state prodotti in giudizio per inadempienza (Cass., 18 dicembre 2015, n. 25464; Cass., 22 giugno 2018, n. 16528; per l’ammissibilità solo dell’ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c. cfr. Cass., 11 giugno 2014, n. 13152; per l’impossibilità di supplire con l’ordine di esibizione a carenze delle parti nell’assolvimento dell’onere della prova anche Cass., 19 giugno 2018, n. 16171).

La Commissione regionale ha ritenuto che l’Agenzia delle entrate non ha prodotto in giudizio nè il processo verbale di constatazione nè i questionari consegnati ai fornitori della contribuente, sicchè non ha adempiuto all’onere della prova su essa gravante.

L’Agenzia ben poteva produrre i documenti di propria iniziativa, essendo tutti nella sua piena disponibilità.

5. Con il quinto motivo di impugnazione a ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, e dell’art. 2729 c.c.- Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la Commissione regionale ha affermato che le risultanze emerse dai controlli incrociati, a dimostrazione dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, non erano sufficienti a confutare la documentazione esibita in giudizio dalla contribuente. Inoltre, la Commissione ha aggiunto che gli indizi dovevano essere confortati da ulteriori mezzi di prova. In realtà, gli indizi sono costituiti dai controlli incrociati effettuati dalla Guardia di finanza e riportati nel processo verbale di constatazione, in quanto i fornitori hanno unanimemente dichiarato di non aver mai avuto rapporti commerciali con la G & G. Del resto, il convincimento del giudice può basarsi anche su un’unica presunzione. Una volta fornita la prova, attraverso gli indizi, della insussistenza delle operazioni di cui alle fatture, il contribuente è gravato dall’onere della prova contraria, senza che rilevi a tale ultimo fine la presenza di una contabilità formalmente regolare.

5.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale ha affermato che l’Agenzia delle entrate non ha dimostrato la sussistenza di indizi per dimostrare l’inesistenza delle operazioni sottese alle fattura, non avendo prodotto nè i questionari nè il processo verbale di constatazione.

Ritenendo non presenti in atti tali documenti, la Commissione regionale ha, di conseguenza, considerato non raggiunta neppure la prova indiziaria della insussistenza delle operazioni per cui erano state emesse le fatture da parte dei fornitori nei confronti della società.

La parte della motivazione in cui la Commissione regionale reputa che i risultati dei questionari non costituiscono indizi idonei a dimostrare che le fatture sono state emesse per operazioni inesistenti (“dall’esame della documentazione versata in atti, emerge che legittimamente la G&G abbia operato la deducibilità dei costi a fronte di regolari fatture registrate e contabilizzate per fornitura di merce che si assume essere stata effettuata, a nulla rilevando i risultati di questionari, che come tali assumono soltanto rilevanza indiziaria e non probatoria”) è, del resto, oltre che contraddittoria con la prima parte della motivazione (in cui si afferma chiaramente che i documenti non sono stati prodotti in giudizio), del tutto superflua in quanto la Commissione ha ritenuto che l’Agenzia non ha prodotto tali documenti in giudizio.

Pertanto, trattandosi di argomentazioni svolte ad abundantiam non sussiste l’interesse ad impugnarle, non avendo determinato alcuna influenza sul dispositivo della decisione (Cass. Civ., 22 ottobre 2014, n. 22380).

6. Le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

7. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550; Cass., n. 889/2017).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, Iva e Cpa, oltre spese generali nella misura forfettaria del 15 %.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

 

 

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