Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11168 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 04/02/2010, dep. 07/05/2010), n.11168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.p.a. PUMEX, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma al Viale Mazzini n. 11 presso lo

studio degli avv. SALVINI Livia e Giuseppe Maria CIPOLLA che la

rappresentano e difendono in forza della procura speciale per notar

Salvatore Santoro del 2 giugno 2005;

– ricorrente –

contro

(1) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e li

difende;

– controricorrente –

2) il MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE, in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 89/27/04 depositata il 17 settembre 2004 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Sicilia;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 febbraio 2010

dal Cons. dr. Michele Dr ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Livia SALVINI, per

la società, e dall’avv. Diego GIORDANO (dell’Avvocatura Generale

dello Stato), per le amministrazioni pubbliche;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. DE

NUNZIO Wladimiro, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato il 13 ottobre 2005 al MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE ed il giorno successivo all’AGENZIA delle ENTRATE (ricorso depositato il 28 ottobre 2005), la a.p.a. PDMEX – premesso che: (1) “con istanza del 26 maggio 1992” aveva chiesto di “fruire del regime di esenzione territoriale ILOR previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 26, comma 2, (poi trasfuso nel D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 101, comma 2)”; (2) “nelle more” aveva provveduto a “versare l’ILOR e, a partire dal periodo di imposta 1998 a seguito dell’abolizione dell’ILOR, l’IRAP”; (3) “con provvedimento del 14 marzo 2001” l’Ufficio aveva comunicato di aver concesso “l’esenzione territoriale dell’ILOR … in misura percentuale pari al 37% del reddito industriale, per l’intero decennio primo gennaio 1991- 31 dicembre 2000”; (4) “a seguito” di tale “riconoscimento”, “in applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 17, comma 1,” aveva provveduto a “rideterminare” l’importo dell’ILOR dovuta per l’anno 1999 (a) calcolando “la (teorica) base imponibile ILOR che avrebbe dovuto essere dichiarata per il periodo” (“tale base imponibile, coincidente con quella dichiarata ai fini IRPEG, consisteva in una perdita”) e b) rettificando “la base imponibile ILOR scomputando le componenti reddituali diverse da quelle realizzate nel ciclo produttivo dello stabilimento (proventi/oneri finanziari e stra-ordinari) al fine di individuare il cd. “reddito industriale”; (5) “essendo risultato … un reddito industriale positivo”, aveva determinato “l’ammontare dell’IRAP effettivamente dovuta … decurtando, nei limiti dell’esenzione concessa, il 37% del suddetto “reddito industriale” dal valore di produzione imponibile ai fini IRAP dichiarato per lo stesso” anno d’imposta; (6) conseguentemente, con apposita istanza (presentata il 2 gennaio 2002) aveva reclamato il “rimborso” dell’IRAP “indebitamente assolta” -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare (“con ogni consequenziale pronuncia, anche per quanto riguarda le spese di giudizio”) la sentenza n. 89/27/04 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (depositata il 17 settembre 2004) che aveva recepito l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (83/09/03) della Commissione Tributaria Provinciale di Messina la quale (“ritenendo il reddito industriale positivo”) aveva accolto la sua impugnazione, del “silenzio rifiuto” formatosi su detta istanza di rimborso.

Nel controricorso notificato il 15 novembre 2005 (depositato il 21 novembre 2005) l’Agenzia instava per il rigetto dell’avverso gravame, “con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese”.

Il Ministero non svolgeva attività difensiva.

Il 28 gennaio 2010 la società depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va rilevata e dichiarata la Inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero per non avere la ricorrente dedotto che detto ente abbia preso parte al precedente grado o fase del giudizio nè (allegato e provato) che lo stesso sia titolare di un qualche rapporto giuridico che – come costantemente richiesto da questa Corte (Cass.: 2, 23 agosto 2007 n. 17922; trib., 7 maggio 2007 n. 10341; 3, 26 gennaio 2006 n. 1692; 2, 26 gennaio 2006 n. 1507;

2005 n. 965; 2, 13 settembre 2004 n. 18346; 2, 29 aprile 2003 n. 6649; 2, 4 febbraio 2002 n. 1468; 2, 23 novembre 2001 n. 14910) – legittimi l’ente intimato, anche al fine di dimostrare la sussistenza del necessario ed imprescindibile interesse (art. 100 c.p.c.) in capo allo stesso, a resistere al presente giudizio di impugnazione.

In proposito, va ricordato che il titolo quinto, capo secondo, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ha operato un trasferimento di funzioni e di rapporti inerenti le entrate tributarie dal Ministero (dell’Economia e) delle Finanze alle Agenzie Fiscali (tra le quali, l’Agenzia delle Entrate), le quali ultime sono divenute operative a partire dal primo gennaio 2001 in base al D.M. 28 dicembre 2000, art. 1: per effetto ed in conseguenza di tale trasferimento ciascuna Agenzia è succeduta al Ministero nei rapporti, sostanziali e processuali, in corso a quel momento divenendo titolare esclusiva degli stessi, e, di conseguenza, unica legittimata (anche) processualmente.

Nel caso, la stessa ricorrente espone di avere presentato l’istanza di rimborso, in ordine alla quale ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi, il 2 gennaio 2002, quindi dopo il primo gennaio 2001 detto per cui il processo si è svolto, sin dall’inizio, esclusivamente tra essa contribuente e l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate.

2. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale – osservato che “l’IRAP ha connotazione differente rispetto all’ILOR in quanto la prima imposta va riferita al valore aggiunto della produzione (VAP) mentre, ai fini ILOR, l’imponibile è costituito dal reddito”, “per cui non vi è coincidenza fra i due valori” – ha accolto l’appello dell’Ufficio affermando riscontrarsi “dalla disamina delle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 26, comma 2, D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, comma 2, e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1 … il diverso meccanismo di calcolo da applicare in ordine all’esenzione ILOR ed alla agevolazione IRAP”, in particolare delle prime due norme, che “l’esenzione dell’imposta non trova applicazione” allorquando (come “accertato” nel caso dall’Ufficio) “l’ammontare del reddito complessivo ai fini ILOR è negativo”.

3. La società investe tale decisione con quattro motivi di ricorso.

A. Con il primo la ricorrente – premesso che: (1) ha impugnato “il diniego opposto dall’amministrazione finanziaria, con nota prot. n. 67/2002 emessa il 26 febbraio 2002 … all’istanza di rimborso presentata … relativamente all’IRAP … indebitamente determinata e versata per il periodo d’imposta 1999 in importo … equivalente ad Euro 44. 596,05”; (2) nel suo atto di appello “avverso la sentenza n. 83/09/2003” l’Ufficio ha fatto riferimento “al silenzio rifiuto” opposto … all’istanza di rimborso del “maggiore importo corrisposto … nell’anno 2000 a titolo di IRAP” (“il cui ammontare viene individuato nella “complessiva somma di Euro 25.497,99”) – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 e dell’art. 342 c.p.c., comma 1, nonchè dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.” sostenendo che “l’Ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado … sulla base di fatti e motivi che attengono ad un periodo d’imposta ed ad un presupposto diversi da quelli sui quali si sono pronunciati i primi giudici” per cui “l’atto di appello risulta del tutto carente … sul piano dell’esposizione sommaria dei fatti, dell’oggetto della domanda e dei motivi specifici dell’impugnazione”.

“Ciò”, secondo la ricorrente, “comporta l’invalidità e la conseguente inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio”, non sanate dalla sua costituzione nel giudizio di appello, dalle quali discende “l’intervenuto passaggio in cosa giudicato della decisione di prime cure”.

B. Con il secondo motivo la ricorrente sostiene che dalle medesime premesse poste a fondamento del primo motivo di ricorso, discende l'”inesistenza e comunque la nullità della sentenza di secondo grado per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7, 18 e 53″ per avere la Commissione Tributaria Regionale “giudicato su un oggetto diverso da quello prospettato … nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e sul quale si sono pronunciati i giudici di prime cure”, e non considerato che “il processo tributario” è:

– “un processo di impugnazione-merito in cui la materia del contendere è delimitata … dall’oggetto della domanda (petitum) e … dai motivi sui quali si fonda la domanda stessa (causa petendi)”;

– “un processo di parti ispirato al principio dispositivo sostanziale”, con conseguente applicabilità del “principio tantum devolutum quantum appellatum” (sì che “l’oggetto del giudizio è sempre individuato dalle parti, mai dal giudice”, il quale “non potrà pronunciarsi ,su domande diverse da quelle avanzate dal ricorrente” nè “accogliere o respingere il ricorso sulla base di motivi diversi da quelli prospettati dal ricorrente”, che “non potrà proporre, in corso di causa, nuovi motivi nè integrare quelli già svolti nel ricorso”), per cui, “stante il carattere rescissorio del giudizio di secondo grado, anche in appello la materia del contendere, cosi come individuata nell’atto di appello, non può essere modificata dal giudice”.

C. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia la “incompatibilità dell’IRAP con l’art. 33 della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/338/CEE”: “con riguardo a tale motivo”, però, la stessa ricorrente, nelle memorie depositate, ha preso atto della sopravvenuta sentenza (3 ottobre 2006, causa C-475/03) con la quale la Corte di Giustizia UE ha stabilito che “l’art. 33 della sesta direttiva (n. 77/388/CEE) non osta al mantenimento di un prelievo fiscale avente le caratteristiche dell’IRAP” e con tanto ha implicitamente, ma inequivocabilmente, rinunciato alla doglianza, della quale, pertanto, si omette l’esposizione delle ragioni offerte a sostegno.

D. Con il quarto motivo la società – assunto aver “sostenuto nei pregressi gradi di giudizio” di aver proceduto (i) “all’individuazione del (teorico) reddito ILOR che avrebbe dovuto essere dichiarato per il periodo d’imposta” “nel caso … coincidente con quello … dichiarato … ai fini IRPEG”) e (ii) “alla sottrazione da. tale (teorico) risultato complessivo ai fini ILOR delle componenti reddituali … non rilevanti ai fini della (ex) agevolazione decennale ILOR nè ai fini IRAP (quali i componenti reddituali derivanti dalla gestione finanziaria e straordinaria … e i costi del personale)”, così “legittimamente” pervenendo alla “individuazione del “reddito industriale” – denunzia “violazione e falsa applicazione” del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 26, comma 2, D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, comma 2, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1, e art. 115 c.p.c. adducendo:

– evincersi “dalla ricostruzione del procedimento seguito” che essa ha “correttamente calcolato l’agevolazione IRAP prevista dal suddetto D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1 avendo provveduto a ridurre il valore della produzione imponibile ai fini IRAP di un ammontare pari al reddito “industriale” che avrebbe fruito dell’esenzione ILOR”;

– di avere “ampiamente e puntualmente documentato il suo modus operandi” avendo prodotto, all’atto della costituzione in giudizio, “copia” del “proprio conto economico” e del “Quadro A della dichiarazione dei redditi” nonchè “un apposito prospetto” contenente il riepilogo dettagliato della “procedura dei rideterminazione dell’IRAP dovuta”.

La ricorrente aggiunge che “contrariamente a quanto sostenuto dai secondi giudici, nel periodo di imposta … il “reddito industriale” (id est, la quota parte del reddito complessivo ILOR agevolata) non era negativo” avendo essa “dettagliatamente documentato … che, pur registrando un reddito complessivo ILOR negativo, avrebbe comunque conseguito un “reddito industriale” positivo” per effetto della decurtazione – “in conformità alla consolidata prassi ministeriale” (risoluzioni ministeriali 27 marzo 1980 n. 11/302, 16 settembre 1985 n. 11/843 e 17 ottobre 2001 n. 162/E; circolare ministeriale 27 maggio 1994 n. 73/E) e della “giurisprudenza” di questa Corte (“Cass., 27 ottobre 1995 n. 11211”), dal “(teorico,) reddito complessivo che avrebbe dichiarato ai fini ILOR in vigenza dell’imposta”, delle “componenti reddituali che, ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 26, comma 2, e del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, comma 2 … sono da considerarsi estranee alla nozione di “reddito industriale” (id est, le componenti di natura finanziaria, partecipativa e straordinaria) “di tal che, essendo positivo il reddito industriale”, essa ha “pieno diritto” di fruire del “regime agevolato previsto dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1”.

E. Con il quinto (ultimo) motivo la ricorrente censura l’affermazione del giudice di appello secondo cui “allorquando l’ammontare del reddito complessivo ai fini ILOR è negativo, l’esenzione dell’imposta non trova applicazione” e in ordine alla stessa denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” deducendo che:

(2) detta “motivazione” è “contraddittoria” perchè, “in conformità alla richiamata prassi ministeriale”, il “reddito agevolatile ai fini ILOR … è solo il “reddito Industriale”, alla cui determinazione non concorrono le componenti reddituali di natura finanziaria, partecipativa e straordinaria”;

(2) “la motivazione … è del tutto omessa laddove la sentenza impugnata statuisce che “è negativo … pure il reddito industriale” non avendo i “secondi giudici … illustrato le ragioni per le quali si possa validamente assumere che il “reddito Industriale” dichiarato … per il periodo d’imposta 1999 fosse negativo benchè dai documenti prodotti … risultasse … che tale reddito era positivo”.

4. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

A. Le doglianze esposte nel primi due motivi di ricorso sono prive di qualsivoglia rilevanza essendo evidente, nonchè agevolmente riconoscibile, l’errore materiale in cui è incorso l’Ufficio, nel suo appello, nell’indicare, non già la decisione impugnata (correttamente individuata), ma l’atto (silenzio rifiuto, anzi che espresso rigetto dell’istanza di rimborso), anche quanto all’anno d’imposta, oggetto della stessa: in proposito va rilevato che identico errore sia relativo all’atto impugnato che all’annualità d’imposta ed alla somma chiesta in restituzione, è stato denunziato (e si rinviene) in controversia analoga tra le stesse parti, decisa dalla medesima Commissione Tributaria Regionale con decisione impugnata innanzi a questa Corte per presupposti concreti di fatto chiaramente ed univocamente invertiti nel senso che quelli dell’altra controversia attengono a questa e viceversa.

L’esatta individuazione della sentenza di primo grado impugnata, in una con la identità delle ragioni poste a fondamento di entrambi gli appelli, evidenziano la volontà dell’Ufficio di gravare entrambe le statuizioni, non per peculiari (all’esistenza delle quali la ricorrente non fa nessun cenno) differenze fattuali di ciascuna ma per le medesime ragioni giuridiche: tanto ha, altresì, impedito il passaggio in cosa giudicata della – sentenza di primo grado.

B. In ordine agli ulteriori, residui due motivi di ricorso, poi, va richiamato, in primo luogo, il D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art. 101, comma 2 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno) il quale, come noto, concesse “per gli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati che si impiantano nei territori indicati all’art. 1 e per le costruzioni annesse … l’esenzione decennale dall’imposta locale sui redditi (ILOR) sui relativi redditi industriali”.

Su tale disposizione questa Corte ha avuto modo di precisare:

(a) che i “redditi industriali” in essa considerati sono (Cass., trib., 1 marzo 2002 n. 2983) i “redditi di impresa” atteso che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 95, comma 1 (numerazione originaria) impone di considerare tali “Il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) e b) da qualsiasi fonte provenga”;

(b) che in base al medesimo art. 95, come statuito nella sentenza n. 22793 depositata il 23 ottobre 2006 (cui adde: Cass., trib., 26 gennaio 2006 n. 1607):

(b1) “l’esenzione decennale ILOR prevista dal D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101” – perchè “riguardante i redditi degli stabilimenti industriali tecnicamente organizzati impiantati nel territorio del Mezzogiorno” e, quindi, “quelli delle imprese che li gestiscono” – “può avere ad oggetto anche gli interessi bancari percepiti dalle predette imprese sui propri depositi … purchè non risulti provato – e spetta all’Amministrazione il relativo onere – che gli interessi maturati sui depositi provengano da somme che non attengono all’attività dell’impresa (cfr, Cass. nn. 1607/2006; 2983/2002)”;

(b2) che “analogo discorso potrebbe ripetersi per le plusvalenze, che costituiscono reddito d’impresa ove sussistano le condizioni stabilite dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54”;

(e) che il beneficio detto non può essere negato (Cass., trib., 27 gennaio 2004 n. 1388, la quale “rammenta Cass. 659/1992”) neppure sui proventi derivanti da un contratto di “know-how in senso stretto” allorchè con questo si operi il “trasferimento … delle conoscenze tecniche, da sole o in unione ad altre utilità, contro un determinato corrispettivo, ancorchè le stesse non siano protette da brevetto” atteso che “le conoscenze che nell’ambito della tecnica industriale sono richieste per produrre un bene, per attuare un processo produttivo o per il corretto impiego di ima tecnologia, nonchè le regole di condotta che, nel campo della tecnica mercantile, vengono desunte da studi ed esperienze di gestione imprenditoriale (cosiddetto “know-how” in senso ampio), ove presentino il carattere della novità (quando comportano vantaggi d’ordine tecnologico o competitivo) e della segretezza (quando non sono divulgate) assumono rilievo come autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica da parte del possessore (cosiddetto “know-how” in senso stretto), anche se derivino da invenzioni brevettabili che il titolare non intenda brevettare e preferisca sfruttare in regime di segreto, o da ideazioni minori non costituenti vere e proprie invenzioni brevettabili”.

In logica consequenzialità, di poi, la stessa sentenza n. 22973 del 2006 ha rettamente affermato che “l’agevolazione de qua è (e non può che essere) riferita al reddito d’impresa nelle sue diverse componenti e non”, come ivi sostenuto, “ai soli ricavi” per cui “l’esclusione di una o più voci di reddito dal trattamento agevolato non può essere affermata in astratto, su base nominalistica … ma solo in esito ad un accertamento di fatto sulla concreta riferibilità degli interessi o delle plusvalenze di cui si tratta all’attività dell’impresa”.

C. L’applicazione al caso del nucleo fondamentale di quest’ultimo principio consente di rilevare la illegittimità – per contrarietà alle norme testè esaminate – dell’operazione contabile (compiuta dalla contribuente) di determinazione di un “reddito industriale” (che si assume positivo) diverso da quello complessivo di impresa, perchè non risulta (nè dedotta nè, comunque, provata) la necessaria ed imprescindibile non inerenza al reddito d’impresa complessivo (quale determinato in base al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 95) dei componenti reddituali (peraltro indicati in modo del tutto generico e, ai sensi dell’art. 366 c.p.c, assolutamente insufficiente) esclusi dal computo (“proventi/oneri finanziari e straordinari”; “componenti reddituali derivanti dalla gestione finanziaria e straordinaria della società e i costi del personale”;

“componenti di natura finanziaria, parteci-pativa e straordinaria”):

la contribuente, infatti, afferma ma non spiega perchè, almeno per l’anno in questione, quei “componenti” (ad esempio: in specie i “costi del personale”) debbano e/o possano considerarsi del tutto estranei, quindi non inerenti, al reddito complessivo prodotto con l’attività industriale esercitata nello stabilimento “tecnicamente organizzato” per la quale (e solo per la quale) è stata concessa l'”agevolazione decennale” dall’ILOR. Siffatta esclusione, in particolare, oltre che contrastata dai principi richiamati, non trova affatto avallo nella decisione 27 ottobre 1995 n. 11211 di questa Corte, invocata dalla ricorrente (in una con la, ovviamente irrilevante, “prassi ministeriale” che si assume, senza nessuna particolare aderente indicazione, conforme), in quanto quella decisione ha ben chiarito;

(1) in via generale, che i “redditi industriali” considerati dal D.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, art 101 si identificano sempre e comunque con i “redditi prodotti dall’impresa” e;

(2) in particolare, che “i contributi in conto esercizio corrisposti in base a legge dello Stato o da altri enti pubblici” (in quel caso:

“contributo FEOGA”) non potevano essere inclusi tra i “ricavi” per effetto della “mancata inclusione” degli stessi tra tali componenti “ad opera del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 53” ovverosia di una norma che, prosegue la decisione, disponeva “diversamente da quanto ora dispone il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 53”, quindi non in applicazione di un principio generale (che possa dirsi ancora vigente) ma solo per effetto ed in conseguenza della (legislativa) mancata inclusione detta, eliminata con la norma del TUIR applicabile, invece, alla specie (sul trattamento contabile e fiscale dei “contributi in conto esercizio” od “in conto capitale”, cfr.

Cass., trib., 22 gennaio 2010 n. 1147).

D. La pacifica negatività del reddito complessivo dichiarato dalla contribuente per l’anno in questione, di poi ed infine, esclude, di per sè sola, comunque la utilizzabilità dell’operazione contabile di determinazione di un (diverso, assunto positivo) “reddito industriale” compiuta perchè la concreta applicabilità dell'”esenzione decennale dall’imposta locale sui redditi (ILOR) sui relativi redditi industriali” (laddove grammaticalmente e razionalmente l’aggettivo “relativi” si riferisce univocamente ai redditi prodotti dall’attività economica esercitata negli “stabilimenti tecnicamente organizzati” impiantati nei territori indicati all’art. 1), concessa dal D.P.R. n. 218 del 1978, art. 101, comma 2 logicamente suppone l’esistenza del presupposto dell’imposta ILOR dato da un reddito tassabile, quindi da un reddito necessariamente positivo: un reddito negativo, infatti, non può godere di esenzione perchè non determina il sorgere di detto presupposto.

Discende che, in ipotesi di redditività complessiva negativa, nessuna riduzione può essere apportata al “valore prodotto nel territorio della regione ove è ubicato lo stabilimento o l’impianto cui il regime agevolativo si riferisce” – “valore prodotto” costituente presupposto dell'”imposta regionale sulle attività produttive” – ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 17, comma 1 (secondo cui “per i soggetti che alla data di entrata in vigore dello stesso … decreto hanno acquisito il diritto a fruire di uno dei regimi di esenzione decennale a carattere territoriale dell’imposta locale sui redditi nel rispetto delle condizioni e dei requisiti previsti dalle singole leggi di esonero, il valore prodotto nel territorio della regione ove è ubicato lo stabilimento o l’impianto cui il regime agevolativo si riferisce, determinato a norma degli artt. 4 e 5, è ridotto per il residuo periodo di applicabilità del detto regime di un ammontare pari al reddito che ne avrebbe fruito”), per mancanza dell’imprescindibile minuendo dato, appunto, dalla sussistenza di un “valore” positivo della “produzione netta derivante dall’attività esercitata”, costituente la necessaria “base imponibile” dell’IRAP ex art. 4, comma 1, D.Lgs. istitutivo.

5. Le spese processuali di questo giudizio di legittimità vanno compensate integralmente tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2 attesa la sostanziale novità della questione affrontata.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto contro il Ministero; rigetta il ricorso proposto contro l’Agenzia e compensa integralmente tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

 

 

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