Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11166 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/06/2020), n.11166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Angelo Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6782/2019 proposto da:

E.H., rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Paolinelli, come

da procura speciale in calce al ricorso per cassazione, con la

stessa elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’Avv.

Enrica Inghilleri;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di ANCONA n. 1386/2018,

pubblicata in data 12 luglio 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal Consigliere Caradonna Lunella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.H., nato ad (OMISSIS), ha impugnato l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 5 maggio 2017, che, al pari della Commissione territoriale competente, aveva rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale, della protezione sussidiaria o umanitaria.

2. Il richiedente ha dichiarato che i suoi due figli gemelli erano stati assassinati il (OMISSIS) per vendetta dei familiari di un poliziotto rimasto ucciso insieme ad un passante a causa della guida negligente della sua auto; che, nello stesso giorno, avrebbe subito delle lesioni a seguito di percosse e che, temendo per la propria incolumità a seguito delle continue minacce ed intimidazioni, aveva deciso di lasciare il Paese passando per il Niger e la Libia.

3. La Corte di appello di Ancona ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocate, sulla base delle dichiarazioni del richiedente giudicate non credibili, della mancanza di un effettivo rischio nell’ipotesi di rientro nel Paese d’origine alla luce della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza e dell’assenza di lesioni di diritti umani.

4. E.H. ricorre in cassazione con due motivi.

5. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese e ha depositato atto di costituzione ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo E.H. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 (A) della Convenzione di Ginevra; dell’art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5 D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, 11 e 32. Vizio di motivazione in relazione alla statuizione di non credibilità del racconto dell’ E..

Ad avviso del ricorrente non si rinviene nello sviluppo argomentativo della decisione impugnata il corretto esame dei parametri normativi di credibilità del racconto del richiedente, non applicano correttamente il principio secondo cui la credibilità soggettiva del richiedente non è frutto di soggettivistiche opinioni, ma va svolto alla stregua dei criteri stabiliti al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte distrettuale, condividendo le motivazioni del primo Giudice, ha ritenuto la versione dei fatti portata dal richiedente non attendibile e carente di riscontri in ordine alla veridicità del racconto, oltre che non circostanziata e poco precisa, a tal punto da fondare il ragionevole dubbio che non si trattava di vicenda non vissuta effettivamente dal richiedente (pagine 4 e 5 del provvedimento impugnato).

Tanto premesso, questa Corte, in materia di protezione internazionale, ha affermato che ” D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″ (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142).

Ne caso di specie la decisione censurata ha valutato, seppure in modo sintetico, ma non apodittico, le dichiarazioni rese dal ricorrente, rilevando la sussistenza di contraddizioni nel racconto e giungendo ad una valutazione complessiva di non credibilità, fondata su un controllo di logicità del racconto del richiedente.

Peraltro la valutazione compiuta dal giudice del merito al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità sul piano della violazione di legge, ma solo nei limiti del sindacato motivazionale consentito dall’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in applicazione dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

Il motivo, sotto lo specifico profilo esaminato, è quindi infondato perchè la motivazione esiste ed è basata su risultanze di causa richiamate e valutate dal collegio giudicante e quindi sorretta da un contenuto non inferiore al “minimo costituzionale”, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte, così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa e alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale” delineata, per quanto detto, come violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass., Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053). 2. Con il secondo motivo E.H. lamenta la violazione e falsa applicazione della legge nazionale e sovranazionale inerente il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 6 e 19, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32; dell’art. 3 CEDU e art. 10 Cost.; del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria del richiedente. Inoltre, il ricorrente evidenzia che la Corte non aveva esaminato n importante elemento fornito dall’ E., ovvero la professione della religione cristiana, oggetto di persecuzione in Nigeria e che la Corte aveva respinto la domanda di protezione sussidiaria senza avere acquisito attendibili informazioni sulla situazione del paese di provenienza del ricorrente (pag. 14 del ricorso per cassazione).

2.1. Il motivo è fondato.

Ciò che rileva, infatti, è la mancata indicazione delle fonti internazionali, a fronte delle specifiche fonti indicate dal ricorrente, in ragione delle quali la Corte di appello ha escluso che vi fosse un conflitto armato rilevante per il riconoscimento eventuale della protezione sussidiaria, dovendosi applicare il principio secondo il quale “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto” (Cass. n. 11312 del 26/04/2019).

Chiara è, sul punto, anche la più recente giurisprudenza di legittimità, a tenore della quale il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” va interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (Cass., 20 aprile 2019, n 9842; Cass., 21 novembre 2018, n. 30105).

Il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione ” (Cass. n. 13449 del 17/05/2019).

Nel caso in esame, la statuizione sul punto risulta assertiva e priva di sia pur minimi riferimenti alle fonti consultate, con la conseguenza che la doglianza va accolta.

3. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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