Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11161 del 08/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/05/2017, (ud. 31/01/2017, dep.08/05/2017),  n. 11161

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10688/2011 proposto da:

N.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MECENATE 27 SCALA B, presso lo studio dell’avvocato ANDREINA DI

TORRICE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO FATATO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

INARCASSA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER GLI

INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI PROFESSIONISTI, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, LUNGOMARE RAFFAELLO SANZIO, 9, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO LUCIANI, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 731/2010 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 14/05/2010 r.g.n. 227/2008;

udita la relaziona della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MASSIMO LUCIANI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Messina, decidendo sul ricorso proposto da N.F. nei confronti di Inarcassa – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, rigettava la domanda volta ad ottenere l’accertamento della insussistenza delle irregolarità denunciate dalla Cassa per il periodo 1999-2000 e della conseguente ingiustificata irrogazione delle sanzioni per un importo di Euro 1.909,78. Negava il diritto alla restituzione della somma di Euro 4.908,21 che si assumeva indebitamente versata nel periodo 1995-1998. Accoglieva la domanda riconvenzionale dell’INARCASSA e condannava il N. al pagamento della somma di Euro 4.566,04 per contributi non versati e sanzioni.

2. La Corte di appello di Messina, adita dal N., ha poi rigettato il gravame confermando la sentenza di primo grado. Il giudice di appello ha accertato che l’attività di perito assicurativo, svolta dal N. a decorrere dal 1993 in via continuativa, rientrava tra quelle previste dell’allegato alla L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 5, ed obbligava all’iscrizione alla Cassa ed al versamento dei contributi ai sensi della L. 1 marzo 1981, n. 6, art. 2.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre N.F. che articola un unico motivo cui resiste con controricorso INARCASSA – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico articolato motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7; R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52; L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 5; L. 31 gennaio 1981, n. 6, art. 21; dell’art. 7 dello Statuto dell’INARCASSA approvato con D.M. Lavoro e della Previdenza Sociale 28 novembre 1995; L. 17 febbraio 1992, n. 166; del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 156. Ad avviso del ricorrente la Corte di merito non ha correttamente interpretato l’intero complesso normativo in quanto l’iscrizione alla Cassa sarebbe obbligatoria per gli ingegneri ed architetti che svolgano con continuità attività libero professionale tipica e ad essi esclusivamente riservata e dunque non vi rientrerebbe l’attività di perito assicurativo che non figura tra quelle riservate agli ingegneri ai sensi del R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51 e 52, richiamato dalla L. n. 1395 del 1923, art. 7, nè tra quelle indicate dalla L. n. 143 del 1949, art. 5, ed è, invece, riservata ad altra categoria professionale dei periti assicurativi) il cui ruolo nazionale è stato istituito con la L. 17 febbraio 1992, n. 166 ed il cui esercizio è abusivo e rilevante penalmente ove svolto da parte di soggetti non iscritti all’Albo che la citata legge ha istituito. Erroneamente, pertanto, la Corte di merito avrebbe ritenuto che la L. n. 143 del 1949, art. 5, elenchi tra le attività esercitabili da parte degli ingegneri anche quella riguardante la stima dei danni derivanti da circolazione, furto e incendio di veicoli a motore e natanti e che essa non sia superata da sopravvenuti provvedimenti legislativi che sono riservate per legge ad altra categoria professionale.

5. Il ricorso è infondato.

5.1. La questione sottoposta all’esame del Collegio è sostanzialmente quella della sussistenza dell’obbligo contributivo in favore della Inarcassa da parte dell’ingegnere che pur non svolgendo, in tutto od in parte, le attività tipiche della professione (definite dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7 e del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52, quali il progetto e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali occorrenti per le costruzioni e per le industrie; opere di edilizia civile, rilievi geometrici ed operazioni di estimo), svolga comunque attività che richiedano la competenza professionale propria dell’ingegnere.

5.2. Al riguardo va evidenziato che secondo un primo orientamento di questa Corte a tal fine non era sufficiente lo svolgimento di attività solo potenzialmente ed intellettualmente collegate alle conoscenze e competenze dell’ingegnere, ma si richiedeva l’effettivo svolgimento della pratica professionale e dunque delle attività tipiche della professione (Cass. 04/07/1991 n. 7389, Cass. 02/03/2001 n. 3064, Cass. 11/06/2004 n. 11154, Cass. 21/02/2005 n. 3468), con conseguente onere della Cassa di provare l’effettivo svolgimento di attività obiettivamente riconducibili all’esercizio della professione (Cass. n. 11154/2004 cit.). In particolare si riteneva che della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, ponesse l’obbligo di iscrizione solo per quegli ingegneri ed architetti che esercitassero la libera professione con carattere di continuità e, quindi, di effettività, in relazione ai contenuti tipici della stessa, fissati dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7 e del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52, restando irrilevante il fatto che la competenza professionale e culturale acquisita come ingegnere potesse influire sull’attività in concreto svolta (cfr. Cass. ord. 26/01/2012 n. 1139 cfr. in tal senso anche Cass. 12/05/2010 n. 11472).

5.3. Più di recente questa Corte ha mutato il proprio orientamento e, condivisibilmente, ha precisato, proprio con riguardo alla Cassa ingegneri ed architetti, che “l’imponibile contributivo va determinato alla stregua dell’oggettiva riconducibilità alla professione dell’attività concreta, ancorchè questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull’esercizio dell’attività” sottolineando che “la limitazione dell’imponibile contributivo ai soli redditi da attività professionali tipiche non trova fondamento nella L. n. 1395 del 1923, art. 7 e nel R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 53, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre della L. n. 6 del 1981, art. 21, stabilisce unicamente che l’iscrizione alla Cassa è obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità” (cfr. Cass. 29/08/2012 n. 14684 e 15/04/2013 n. 9076).

5.4. Si è chiarito che “nel concetto in questione deve ritenersi compreso, oltre all’espletamento delle prestazioni tipicamente professionali (ossia delle attività riservate agli iscritti negli appositi albi) anche l’esercizio di attività che, pur non professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, in quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell’esercizio dell’attività professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla formazione tipo logicamente propria della sua professione” evidenziando come tale interpretazione, valida per tutte le categorie professionali – che si traduce nell’esclusione della sussistenza dell’obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in concreto, ravvisabile un intreccio tra tipo di attività e conoscenze tipiche del professionista – sia stata suggerita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 402 del 1991, resa a proposito del contributo integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori iscritti alla Cassa di previdenza ai sensi della L. n. 576 dei 1980, art. 11, comma 1 e nella quale si è esplicitamente affermato che il prelievo contributivo in parola è collegato all’esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attività riconducibili, per loro intrinseca connessione ai contenuti dell’attività propria della libera professione; in sostanza le prestazioni contigue, per ragioni di affinità, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle che con queste non hanno nulla in comune.

5.5. In definitiva, secondo la lettura adeguatrice della Corte costituzionale, il parametro dell’assoggettamento alla contribuzione è la connessione fra l’attività (da cui il reddito deriva) e le conoscenze professionali, ossia la base culturale su cui l’attività stessa si fonda. Il limite di tale connessione (e, pertanto, del parametro di assoggettabilità) è l’estraneità dell’attività stessa alla professione. (Cass. ult. cit. ed anche recentemente Cass. 27/05/2016 n. 11013 quest’ultima relativa ad una fattispecie sovrapponibile a quella oggi in esame).

5.6. Nella fattispecie in esame la Corte territoriale, con accertamento in fatto immune da censure, ha affermato che nell’esecuzione degli incarichi peritali in materia di infortunistica stradale il ricorrente aveva effettuato perizie estimative di danni e connesse valutazioni della responsabilità che richiedono competenze esclusive dell’ingegnere, per cui lo svolgimento con carattere di continuità di tali attività costituiva il presupposto per l’obbligo di iscrizione all’Inarcasse.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, regolate secondo il criterio della soccombenza vanno poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte,rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2500,00 di cui e Euro 2300,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre al 15% per spese forfetaarie ed accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2017

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