Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11160 del 28/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/04/2021, (ud. 13/01/2021, dep. 28/04/2021), n.11160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 972/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, è

domiciliata;

– ricorrente –

contro

N.G., elettivamente domiciliato in Catania, viale XX

settembre n. 47/E, presso lo studio dell’Avv. Salvatore Trigila, che

lo rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione distaccata di Messina, n. 145/02/2011, depositata

il 7 novembre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 gennaio

2021 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, accoglieva l’appello proposto da N.G. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina (n. 363/10/2010), che aveva rigettato il ricorso presentato dal contribuente contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2002, per l’attività di impresa da lui espletata in favore della società P. Costruzioni Sas. In particolare, secondo il giudice di appello, in realtà, il N. doveva essere considerato un lavoratore dipendente della società P., come emergeva dal verbale di conciliazione stipulato dinanzi all’Ispettorato provinciale del lavoro di (OMISSIS), con il quale il datore di lavoro si era dichiarato disponibile a regolarizzare il rapporto di lavoro intercorso con il N. per il periodo dal (OMISSIS) al (OMISSIS), riconoscendogli l’indennità per maneggio denaro, in quanto il contribuente era stato delegato dalla società a corrispondere materialmente il salario e le relative buste paga agli operai della ditta. La sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato risultava anche dalle dichiarazioni sottoscritte dai lavoratori della società P.. La sentenza di primo grado, invece, si fondava solo su una presunzione semplice, nè precisa nè concordante, rilevata in sede di accertamento dalla Guardia di Finanza.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando anche memoria scritta.

3. Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Anzitutto, si rileva che il ricorso per cassazione è stato spedito per la notifica il 24 dicembre del 2012, quindi entro il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., essendo stata depositata la sentenza della Commissione tributaria regionale in data 7 novembre 2011. Ai fini della tempestività del ricorso per cassazione deve considerarsi il momento in cui il ricorso è stato consegnato alle Poste italiane per la notifica, quindi in data 24 dicembre 2012, senza che abbia rilevanza la successiva data di effettiva consegna dello stesso alla controparte, avvenuta, secondo quanto affermato dal contribuente, in data 7 gennaio 2013.

Inoltre, il 23 dicembre 2012, termine ultimo per effettuare la notificazione, cadeva di domenica, quindi correttamente e tempestivamente il ricorso è stato consegnato all’Ufficio postale il giorno 24.

1.1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “omessa motivazione su di una circostanza decisiva della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,” in quanto il giudice di appello ha del tutto ignorato la documentazione extra contabile rinvenuta dalla Guardia di Finanza presso la società P.. La motivazione del giudice di appello si è fondata esclusivamente sul verbale di conciliazione, senza esaminare in alcun modo le univoche risultanze della documentazione extra contabile in atti. Non si è tenuto conto, invece delle seguenti circostanze:

1. Le dichiarazioni delle parti (amministratrice della società signora P.A., N.G. vari dipendenti) sono state smentite dalla documentazione extracontabili rinvenuta in sede di verifica, ed in particolar modo dal prospetto intestato “pagamenti X cassa senza carta” per gli anni 2001-2005 a favore di M. e N.; 2) l’intestazione del prospetto “pagamenti X cassa senza carta” è stata tradotta dai verbalizzante in “pagamenti per cassa senza fattura”; 3) sono stati rinvenuti, in fase di accesso, tronconi di assegni ed estratti di conti correnti bancari relativi a rapporti che la società ha intrattenuto, nell’anno 2005, con vari istituti di credito; le annotazioni riportate su alcuni di detti tronconi di assegni indicavano chiaramente, oltre ad importi e date, anche i nominativi di N. e di M.; 4) l’assenza di forma scritta degli accordi stipulati tra l’impresa P. ed il contribuente, oltre alla circostanza che nelle scritture contabili non è stata mai fatta menzione dei compensi corrisposti al N.;5) la quasi totalità dei dipendenti della società percepiva gli emolumenti salariali tramite assegni bancari, mentre solo pochissimi operai erano stati pagati con assegni, quindi probabilmente in contanti; 6) sulla documentazione extra contabile, formata proprio dalla società P., il nominativo di N. è stato sempre accompagnato dal termine “cottimista”.

1.2. Tale motivo è fondato.

1.3. Invero, va preliminarmente osservato che la sentenza del giudice di appello è stata depositata in data 7 novembre 2011, sicchè il ricorso per cassazione per vizio della motivazione è stato correttamente redatto in base al tenore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, in vigore per le sentenze del giudice di appello depositate a decorrere dall’11 settembre 2012.

1.4. Per questa Corte la contabilità in nero, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dall’art. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino in termini quantitativo o monetari, i singoli atti di impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Cass., sez. 5, 26487/2020; Cass., sez. 5, 24 novembre 2020, n. 26666; Cass., 23 maggio 2018, n. 12680; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27622).

Inoltre, si è affermato che, in tema di accertamento induttivo dei redditi di impresa, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa (Cass., 22 dicembre 2017, n. 30803; Cass., 16 novembre 2011, n. 24051, con riferimento a brogliacci reperiti presso la sede della società; Cass., 27 febbraio 2015, n. 4080, in relazione ad un quadernone contenente l’indicazione degli effettivi quantitativi di materiale prodotto; Cass., 3 ottobre 2014, n. 20902, per la necessità della comparazione tra i dati acquisiti e quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente), incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Pertanto, nella specie, l’Agenzia, con il rinvenimento della documentazione extra contabile, ha fornito un elemento indiziario preciso e grave della esistenza della contabilità in nero della società.

1.5. Il giudice di appello, quindi, da un lato ha omesso di considerare tutta una serie di elementi indiziari che avrebbero potuto confermare la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate e, dall’altro, si è discostato dai principi della giurisprudenza di legittimità sopra indicati.

Invero, la Commissione regionale ha affermato che la “la sentenza (di primo grado) si fonda su una presunzione semplice e non precisa e non concordante, rilevata in sede di accertamento dalla Guardia di Finanza”, mentre, in base alla giurisprudenza di legittimità sopra riportata, la presenza di contabilità in nero, rinvenuta presso la sede dell’azienda, può costituire anche da sola un indizio grave e preciso.

Inoltre, la Commissione regionale ha del tutto trascurato la documentazione extra contabile, limitandosi a sottolineare l’importanza del verbale di conciliazione stipulato dinanzi all’Ispettorato provinciale del lavoro di (OMISSIS) in data (OMISSIS), quindi a distanza di sette anni rispetto all’anno di imposta (2002) cui si riferisce l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate il (OMISSIS). Inoltre, il giudice di appello si è soffermato sulle dichiarazioni degli altri lavoratori che hanno confermato che il N. effettuava i pagamenti per conto della società, senza considerare che la quasi totalità dei dipendenti era pagata con assegni bancari, mentre solo pochi erano pagati in contanti.

La Commissione regionale però non ha preso in alcuna considerazione i fatti decisivi riportati nella documentazione extra contabile, e segnatamente le annotazioni rinvenute nella contabilità in nero con la dizione “pagamenti X cassa senza carta”, che secondo i verbalizzanti doveva essere intesa come “pagamenti per cassa senza fattura”. Inoltre, non sono stati in alcun modo presi in considerazione i tronconi di assegni ed estratti di conti correnti bancari relativi a rapporti che la società ha intrattenuto, nell’anno 2005, con vari istituti di credito. Tali annotazioni riportavano, oltre ad importi e date, anche i nominativi di N. e di M.. Va aggiunto che nella contabilità in nero non si fa alcun riferimento ai compensi corrisposti al contribuente, come remunerativi della propria opera. Inoltre, quasi tutti i dipendenti della società percepivano i loro emolumenti tramite assegni bancari, mentre solo pochissimi operai erano pagati in contanti. Secondo il giudice di appello, invece, l’attività di lavoro subordinato svolta dal contribuente consisteva proprio nel pagamento degli altri lavoratori per conto della società P., utilizzando assegni a lui intestati, provenienti dal conto corrente della società.

Di tutta questa documentazione extra contabile, che, come detto, può costituire un unico indizio grave preciso, senza necessità che sia corroborato da ulteriori indizi, il giudice di appello ha del tutto ignorato i contenuti e gli elementi di fatto in essa presenti.

2. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2021

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