Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11159 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 10/06/2020), n.11159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Angelo A. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9753/2019 proposto da:

U.P., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Giuseppe Lufrano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2006/2018 della CORTE di APPELLO di ANCONA,

depositata il 09/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/02/2020 dal cons. TRICOMI LAURA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

U.P., nato in Nigeria, propone ricorso per cassazione con tre mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona che, confermando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda proposta del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, di protezione internazionale in tutte le sue forme, già denegata dalla Commissione territoriale. Il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese perchè omosessuale, temendo di essere ucciso, come era avvenuto per il suo compagno.

La Corte anconetana ha ritenuto che le ragioni esposte in merito all’allontanamento dalla Nigeria non erano credibili, perchè generiche e non verosimili in merito sia alla scoperta dell’orientamento sessuale che alle vicende relative alla morte del padre e del compagno.

Ha, quindi, escluso, stante anche la non credibilità del suo racconto, la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non ravvisando persecuzioni per motivi di razza, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale, e della protezione sussidiaria, non ritenendo che ricorresse, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), il rischio grave di morte o di assoggettamento a trattamenti inumani e degradanti, ed la stessa legge, ex art. 14, lett. c), non ravvisando – sulla scorta dell’esame delle fonti (sito Viaggiare Sicuri 2018) – una situazione di violenza generalizzata nella regione del Paese di provenienza del richiedente, tale da porre in pericolo la vita di un civile a cagione della sua presenza nel territorio dello Stato; infine, ha negato la protezione umanitaria, non avendo il ricorrente dimostrato la ricorrenza di una situazione personale di vulnerabilità.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1.1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, lamentando che, ove ritenute non credibili le sue dichiarazioni, il giudice del merito avrebbe dovuto ricorrere all’attivazione del potere di ufficio di integrazione probatoria e, quindi, verificare se la situazione di esposizione a pericolo sia effettivamente sussistente.

1.2. Con il secondo motivo ha denunciato la mancata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C); ha sostenuto che in Nigeria vi sono disordini ed attentati e si è doluto che la Corte di appello non abbia compiuto una puntuale valutazione del rischio; infine, ha invocato l’applicazione del principio di non refoulement.

1.3. Con il terzo motivo ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in merito al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.1. Il primo motivo va dichiarato inammissibile perchè per consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona e la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) e tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (tra le tante: Cass. n. 3340 del 5/2/2019): nella specie, si contesta il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice, senza indicare alcun fatto decisivo di cui sia stato omesso l’esame, sicchè le censure proposte con il primo motivo finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile – dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate in fase di merito a proposito della credibilità del ricorrente.

2.2. Alla medesima conclusione si perviene, per analoghe ragioni, con riferimento al secondo motivo in quanto – al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella intestazione del motivo – nella sostanza le censure proposte si risolvono nella denuncia, di per sè inammissibile, di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione della situazione politico/sociale in Nigeria, sulla cui base sono state respinte le domande di protezione sussidiaria.

Infine la censura afferente alla violazione del principio non refuolement è inammissibile perchè muove una critica di principio e generica volta a superare la valutazione della situazione personale, da ascriversi a vicende private, e generale della condizione paese, che, seppur critica, risulta in via di attenuazione. A fronte di questo accertamento il mezzo si limita a deduzioni astratte, volte a sollecitare una nuova valutazione nel merito della domanda.

2.3. Anche la censura proposta in tema di protezione umanitaria è inammissibile.

Giova ricordare, in tema di protezione umanitaria, che a condizione di vulnerabilità che ne giustifica i riconoscimento deve essere ancorata a “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. n. 4455 del 23/2/2018, in motivazione), dovendosi apprezzare la situazione particolare del singolo soggetto, non quella del suo paese d’origine in termini generali ed astratti; orbene, la censura configura una pura e semplice critica di merito riguardante l’accertamento di fatto della insussistenza di personali condizioni di vulnerabilità, considerato che in assenza di integrazione sociale del ricorrente in Italia – di cui non emerge nemmeno la tempestiva deduzione -, non è possibile procedere al riconoscimento della protezione umanitaria.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

P.Q.M.

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida on Euro 2.100,00=, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il giorno 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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