Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11158 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 07/05/2010), n.11158

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.r.l. DAL TORRIONE, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Cola di Rienzo n. 180 presso lo studio dell’avv. Fiorilli Paolo

insieme con gli avv. Marco MICCINESI e Francesco PISTOLESI (del Foro

di Firenze) che la rappresentano e difendono in forza della procura

speciale rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

selettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

nonche’ sul ricorso incidentale (iscritto al n. 14642/08 di R.G.)

proposto da.

AGENZIA delle Entrate, ut supra rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

la s.r.l. DAL TORRIONE;

– intimata –

entrambi i ricorsi AVVERSO la sentenza n. 94/06/06 depositata il

primo marzo 2007 dalla Commissione Tributaria Regionale della

Toscana;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 gennaio 2010

dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;

sentite le difese della societa’, perorate dall’avv. Giuseppe CIPOLLA

(per delega);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, il quale ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato all’AGENZIA delle ENTRATE il 15 aprile 2008 (depositato il 22 aprile 2008), la s.r.l. DAL TORRIONE – premesso che: (1) svolgeva “attivita’ di commercio al minuto di autoveicoli, motoveicoli, imbarcazioni etc. nonche’… di riparazione e di carrozzeria degli stessi”; (2) con distinti avvisi (notificati il 20 settembre 2004) l’Ufficio, in base a processo verbale di constatazione, aveva contestato ad essa, per ciascuno degli anni d’imposta 1999 e 2000, (a) “maggiori ricavi” “determinati in via induttiva dal confronto tra le ore lavorate dal personale dipendente (risultanti dai fogli di presenza), diminuite del 10% in considerazione dei c.d. “tempi morti”, ed il minor numero di ore di manodopera fatturate o indicate nelle ricevute fiscali”; (b) l'”indebita deduzione di quote di ammortamento di beni strumentali, in ragione di percentuali di ammortamento superiori a quelle previste dalla normativa”; (c) l'”ingiustificata svalutazione delle rimanenze finali relative alle auto usate” e (d) l'”indebita deduzione di costi per carburanti relativi a mezzi non riferibile ad essa societa’… e di ulteriori costi non inerenti”, determinando le imposte IRPEG, IRAP ed IVA ritenute dovute ed irrogando le afferenti sanzioni -, in forza di SETTE motivi, chiedeva di cassare (“con ogni consequenziale pronuncia anche in ordine alle spese di lite”) la sentenza n. 94/06/06 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana (depositata il primo marzo 2007) che aveva respinto sia il suo che l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la decisione (63/08/05) della Commissione Tributaria Provinciale di Lucca la quale, previa riunione, aveva accolto i suoi ricorsi solo quanto alle “rimanenze non contabilizzate”.

Nel controricorso notificato il 26 maggio 2008 (depositato il 9 giugno 2008), l’AGENZIA intimata, “con vittoria di spese”, instava per il rigetto dell’impugnazione della societa’ e per l’accoglimento del ricorso incidentale (fondato su due motivi) che spiegava avverso la medesima decisione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., deve essere disposta la riunione al ricorso della societa’ di quello incidentale dell’Agenzia perche’ le due impugnazioni investono la medesima decisione.

2. Con questa la Commissione Tributaria Regionale -premesso che: (1) nei due avvisi di accertamento oggetto della controversia l’Ufficio aveva contestato “ai fini IRPEG – IRAP e IVA relativi agli anni d’imposta 1999 e 2000” (a) la “omessa fatturazione di ricavi”, (b) l'”indebita detrazione di quote di ammortamento”, (c) “rimanenze non contabilizzate” e (d) “costi non deducibili”; (2) il giudice di primo grado aveva respinto i ricorsi riuniti “per quanto atteneva” (a) “la omessa fatturazione dei ricavi”, (b) “le indebite detrazioni di quote di ammortamento” e (c) “le indebite deduzioni di costi non deducibili” e accolto gli stessi “per quanto atteneva le rimanenze non contabilizzate”; (3) tale decisione era stata impugnata sia dalla societa’ che dall’Ufficio -, ha disatteso entrambi gli appelli osservando: – “respinge l’eccezione formulata dal contribuente riguardo alla violazione… delle disposizioni contenute nel D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39 e nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 perche’ i costi del personale e le ore effettivamente lavorate e’ risultato sproporzionato rispetto alle ore fatturate ai clenti”; (a) il “D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2 punto 2 stabilisce che quando dal verbale di ispezione risulta 4 -, che il contribuente non ha emesso fatture per una parte rilevante delle operazioni, l’ammontare imponibile complessivo e’ determinato induttivamente sulla base dei dati e delle notizie venute a conoscenza dell’Ufficio”; (b) “la mancata fatturazione di 2539 ore pari a 317 giorni lavorativi di 8 ore, rappresenta una palese dissimulazione di una parte dei ricavi effettivamente conseguiti e l’Ufficio ha legittimamente operato le rettifiche”; “le giustificazioni date dal reclamante… non appaiono soddisfacenti visto… l’enorme scostamento tra le ore lavorate e quelle fatturate”;

– “in ordine alle riprese per quote di ammortamento, per le indebite deduzioni dei costi e per i costi non deducibili,… non ravvisa fatti nuovi tali… da invalidare il primo giudizio apparso puntuale e preciso”.

Per la Commissione Tributaria Regionale, poi, “l’appello dell’Ufficio deve essere respinto perche’ la valutazione delle rimanenze ritenute non contabilizzate deve essere fatta con riferimento a categorie omogenee attribuendo per ciascun gruppo una valorizzazione secondo i criteri fiscali per cui non appare condivisibile l’eccezione dell’Ufficio che considera l’omogeneita’ di valutazione da riferirsi all’intero complesso delle rimanenze anziche’ a ciascuna delle categorie omogenee in cui dette rimanenze sono suddivise”.

3. La societa’ – precisato aver l’Ufficio contestato: (1) “maggiori ricavi… determinati in via induttiva dal confronto tra le ore lavorate dal personale dipendente (risultanti dal foglio di presenze), diminuite del 10% in considerazione dei tempi morti, ed il minore numero di ore di manodopera fatturate o indicate nelle ricevute fiscali”; (2) “indebita deduzione di quote di ammortamento di beni strumentali, in ragione di percentuali di ammortamento superiori a quelle previste dalla normativa”; (3) “ingiustificata svalutazione delle rimanenze finali relative alle auto usate” e (4) “indebita deduzione di costi per carburanti relativi a mezzi non riferibili ad essa societa’” – censura la decisione di appello con sette motivi.

A. Con il primo la ricorrente – assunto che gli “accertamenti” ad essa notificati sono “pacificamente” riconducibili, quanto al “rilievo concernente i presunti compensi non fatturati ne’ dichiarati”, al “metodo dell’accertamento induttivo extracontabile” di cui al D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55 – denunzia “violazione e falsa applicazione” di tali norme adducendo che detto “tipo di rettifica puo’ essere esperito solo nelle ipotesi tassative contemplate” nelle stesse norme, ovverosia allorche’ “l’omessa fatturazione di una parte consistente delle operazioni”, “quale circostanza che pregiudica l’attendibilita’ del complessivo impianto contabile”, sia “direttamente… riscontrata… quale presupposto dell’accertamento e non… presuntivamente ipotizzata quale risultato dell’accertamento stesso”: quindi, “per esplicita indicazione del legislatore e per la stessa ratio legittimante l’accertamento induttivo, le irregolarita’ od omissioni che danno luogo al medesimo devono risultare inconfutabilmente, e non discendere da un ragionamento meramente presuntivo”.

Nella “vicenda”, secondo la ricorrente, “non e’ stata riscontrata…

alcuna irregolarita’ contabile” e la “pretesa omessa fatturazione di una parte delle operazioni non e’… emersa dalla verifica, bensi’ e’ stata ravvisata… in esito ad una mera presunzione semplice (basata… sull’unico ed equivoco indizio rappresentato dalla divergenza tra le ore lavorate e quelle fatturate)”.

A conclusione la societa’ chiede (“quesito”) di “statuire che e’ illegittimo l’accertamento dell’Ufficio… che, pur dichiaratamente basato sul metodo induttivo ai sensi del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, intervenga in assenza dei presupposti, tassativamente definiti dalle predette disposizioni, per l’applicazione di tale metodo “in particolare, l’omessa fatturazione di una parte rilevante delle operazioni, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, comma 2, n. 2, deve costituire, onde poter legittimare l’accertamento induttivo, un presupposto positivamente riscontrato, non invece il possibile risultato, ricavato in via meramente presuntivo dell’accertamento stesso”.

B. Con il secondo motivo la ricorrente – affermato che “la ripresa a tassazione si fonda esclusivamente… sulla discrepanza tra le ore lavorative degli addetti all’officina risultanti dai fogli di presenza, ridotte soltanto del 10% in considerazione del c.d. tempi morti, e le ore fatturate” – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53 e dell’art. 2697 c.c.” affermando che “l’unico, labile indizio addotto dall’Ufficio non poteva costituire idoneo fondamento delle riprese a tassazione formulate ai sensi delle medesime disposizioni” e che “e’ innegabile la violazione… dell’art. 2697 c.c. siccome l’Amministrazione finanziaria non ha debitamente assolto… l’onere della prova su di essa gravante in ordine all’asserito occultamento di ricavi” atteso che “l’indizio… richiamato, non avvalorato da alcun elemento ulteriore, non e’… in condizione di supportare le pretese impositive controverse” giusta il “consolidato orientamento di questa Corte” secondo cui “l’astratta capacita’ dimostrativa del fatto indiziario e la sua valenza presuntiva devono essere attentamente ponderate… alla stregua di una valutazione complessiva di tutti gli elementi istruttori acquisiti, cosi’ da verificarne la convergente sintomaticita’ indiziaria”.

Per la societa’, quindi, “laddove difetti una pluralita’ di elementi indiziar concorrenti a dimostrare il fatto ignoto, l’Amministrazione finanziaria non puo’… fondare la presunzione di evasione sull’unico indizio disponibile, a maggior ragione quando l’astratta attitudine probatoria del medesimo sia vanificata dalla compresenza di circostanze di opposta valenza dimostrativa”, quali gli “elementi conoscitivi” da essa addotti ovverosia non avere “i verificatori”: a “considerato” che “il ricorso al lavoro straordinario si riferisce all’apertura dell’officina Mercedes il sabato mattina, nel periodo estivo” “nei rimanenti periodi dell’anno non vengono effettuate ore di straordinario se non in misura molto ridotta”, imposta “dalla casa mandante al fine di offrire un adeguato servizio anche ai clienti stranieri”, “non… correlabile a prestazioni effettuate”; b “tenuto… conto, nel riscontro tra le ore lavorate e quelle fatturate, di quelle impiegate per ripristinare e ricondizionare tutti gli autoveicoli usati… per i quali non e’ possibile emettere fatture”; e “tenuto conto neppure delle ore impiegate per ripristinare e ricondizionare le auto usate che, una volta vendute, godono di un periodo di garanzia annuale Mercedes dell’officina”;

preso “in considerazione le ore di lavoro prestate nel corso di tutto l’anno dai meccanici per il servizio del carro attrezzi e di pronto intervento… risultanti dai relativi rapporti di servizio”, le quali “non sono e non possono essere riscontrate… in una fattura o ricevuta”; e preso “in considerazione le comunicazioni fatte all’INAIL relative ai dipendenti che, per aggiornamenti professionali, si sono… recati fuori sede”.

Per tali rilievi la ricorrente chiede (“guesito”) di “statuire che la dimostrazione in via presuntiva dei fatti costitutivi della pretesa tributaria richiede non solo la convergenza di elementi indiziari noti a supporto del fatto ignoto rappresentato dall’evasione d’imposta, ma anche, in negativo, l’assenza di ulteriori elementi istruttori che smentiscano le argomentazioni presuntive astrattamente ritraibili dai predetti indizi” : “cosicche’, quando il contribuente opponga, a fronte dell’unico indizio fatto valere dell’Ufficio a supporto di un accertamento induttivo D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, ex art. 39 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55, molteplici elementi che ne inficiano il valore probatorio, il giudice tributario non puo’ astenersi dal considerare specificamente tali elementi e dal rigettare, alla luce del principio dell’onere della prova sancito dall’art. 2697 c.c., la pretesa impositiva”.

C. Con il terzo motivo la contribuente denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” sostenendo (a) che il giudice di appello “avrebbe dovuto esporre adeguatamente il proprio convincimento circa l’asserita attitudine dimostrativa dell’unico indizio addotto da controparte”, (b) che la “presunta enormita’” dello “scostamento tra le ore lavorate e quelle fatturate” (“sulla quale soltanto si fonda la pronuncia dei giudici di seconde cure”) “e’ contraddetta dai numeri” atteso che “le maggiori ore contestate… equivalgono… a circa il 15% del complessivo tempo di lavoro”, e (c) che detto scostamento e’ spiegabile, “in parte”, “con tempi morti piu’ significativi rispetto al modesto 10% riconosciuto dall’Ufficio” nonche’ con le “numerose attivita’ non produttive di ricavi non comportanti l’esposizione analitica in fattura delle ore lavorate” (“menzionate nei fogli di presenza”).

In relazione la ricorrente (ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.) “precisa” che “il fatto controverso e decisivo per la soluzione della controversia, rispetto al quale la motivazione della sentenza impugnata risulta omessa, consiste nella presunta effettuazione di prestazioni di riparazione e manutenzione di autoveicoli con impiego di manodopera senza emissione di ricevuta e/o fattura ne’ registrazione dell’incasso; in particolare, la sentenza non fornisce alcuna motivazione in ordine all’asserita idoneita’, a provare tali prestazioni in evasione d’imposta, della differenza rilevata tra le ore di presenza dei dipendenti e le ore fatturale a terzi, alla luce delle numerose circostanze, allegate e provate da essa societa’…e sulle quali…la sentenza non si sofferma, atte a giustificare pienamente la suddetta differenza”.

D. Con il quarto motivo la societa’ censura l’affermazione del giudice di appello secondo cui “in ordine alle riprese per quote di ammortamento, per le indebite deduzioni dei costi e per i costi non deducibili, il collegio non ravvisa fatti nuovi tali… da invalidare il primo giudizio apparso puntuale e preciso” e denunzia “nullita’ della sentenza, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 118 disp. att. c.p.c. osservando che detto “enunciato…

integra una motivazione meramente apparente” perche’ non supportata “con alcuna effettiva motivazione”: “il Collegio”, secondo la ricorrente, “non indica ne’ la ragione per la quale non sarebbero condivisibili… le argomentazioni di essa societa’ tese a mostrare la piena correttezza dell’ammortamento effettuato in ordine alle spese per lavori su beni di terzi; ne’ la ragione per la quale i costi di carburante, pacificamente relativi a veicoli di sua proprieta’…, sarebbero non inerenti… o, comunque, indeducibili”.

Sul punto, quindi, la ricorrente, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., “chiede” a questa Corte di “affermare che il giudice tributario deve motivare specificamente su tutte le eccezioni formulate dalle parti del giudizio: in particolare, non assolve tale obbligo una statuizione del lutto generica ed immotivata, con la quale al Commissione si limiti a dichiarare infondato l’appello o le censure in esso sollevate e a dichiarare fondate le affermazioni della sentenza di primo grado, impedendo cosi’ di poter comprendere l’iter logico sotteso alla statuizione medesima”.

E. Con il quinto motivo la contribuente denunzia, in via subordinata, “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” esponendo che la sentenza impugnata e’ affetta da “omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alle questioni sopramenzionate” atteso che “la pronuncia non reca alcuna specifica motivazione” sul perche’ (2) “i veicoli, ai quali afferiscono i costi per carburante, non sarebbero nella sua disponibilita’…, contrariamente a quanto dimostrato”, e (2) “i costi di utilita’ pluriennale dedotti in ammortamento non costituirebbero spese di manutenzione straordinaria su beni di terzi, come… provato… mediante la produzione del relativo contratto di locazione”.

“Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.”, quindi, la societa’ “precisa” che “i fatti controversi e decisivi per la soluzione della controversia, rispetto ai quali la motivazione della sentenza impugnata risulta omessa, consistono nell’appartenenza al patrimonio di essa societa’ e nella conseguente inerenza alla relativa attivita’ imprenditoriale… dei veicoli ai quali si riferiscono i dedotti costi per il carburante; nonche’ nella specifica natura dei costi di utilita’ pluriennale dedotti in ammortamento da essa societa’, sul presupposto… che si tratti di costi di manutenzione straordinaria su beni assunti in locazione, con conseguente applicazione di aliquote di ammortamento commisurate al periodo di effettivo utilizzo”.

F. Con il sesto motivo, formulato “nella… ipotesi” di non accoglimento dei “motivi teste’ proposti di nullita’ della sentenza o… di sua illegittimita’ per omessa motivazione”, la ricorrente denunzia – in ordine alle “pretese impositive” attinenti “alla disconosciuta deduzione di quote ammortamento… riguardanti spese di miglioria ed incrementative di beni di terzi, condotti in locazione…, rappresentati da “costruzioni leggere” e da interventi su un edificio adibito a punto vendite”, cioe’ due operazione per le quali l’Ufficio aveva ritenuto applicabile, rispettivamente, l'”aliquota di ammortamento” del 10% (invece di quella del 15% applicata) o del 3% invece che del 10% – “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, art. 74, comma 3 e art. 75, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, degli artt. 2424, 2425 e 2426 c.c. e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5” osservando:

– “la disposizione” dell’art. 74, comma 3 (la quale “stabilisce che le spese relative a piu’ esercizi, diverse da quelle specificamente contemplate nei precedenti commi, sono deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio”), “non definendo un criterio specifico per i costi in oggetto”, “fa si’ che la deduzione della spesa… debba avvenire secondo il principio di competenza D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 75 conformemente ai principi civilistici recati dagli artt. 2424, 2425 e 2426 c.c.” secondo i quali i “costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni condotti in locazione… sono ascrivibili alla voce “costi per migliorie e spese incrementative di beni di terzi” se, come nel caso.., non sono separabili dai beni stessi (…); altrimenti, sono a- scrivibili tra le “immobilizzazioni materiali””; “in base a detto criterio civilistico”, quindi, “l’ammortamento di tali costi deve essere effettuato nel periodo minore tra quello di utilita’ previsto per le spese sostenute e quello residuo del contratto di locazione, tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo, se dipendente dal conduttore” (nella specie “e’ pacifico… che il contratto di locazione dei beni di cui trattasi ha durata annuale, eventualmente rinnovabile”);

– “il periodo di utilizzo per le costruzioni leggere e per il punto vendita, oggetto delle migliorie, corrispondeva a percentuali annue di ammortamento pari… al 15% e al 10%” per cui “l’aliquota applicata dall’Ufficio, pari al 3%, non e’ pertinente essendo…

riferibile a beni strumentali materiali, quali terreni e fabbricati, di proprieta’ di essa societa’ e non in affitto”.

A conclusione la ricorrente chiede (“quesito”) di statuire che la deduzione, ai fini IRPEG ed IRAP, delle spese di manutenzione straordinaria o di miglioria su beni assunti in locazione dall’impresa e’ ammessa, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 3, nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio, ossia alla luce del principio di competenza D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 74 e dei criteri civilistici recati dall’art. 2424 c.c. e segg., nel periodo minore tra la durala del contratto di locazione ed il periodo previsto di utilizzo dei beni, non oltre il quinquennio; a nulla rilevando… l’aliquota del 3% prevista dal DM 31 dicembre 1988 ed applicabile esclusivamente in relazione ad immobili di proprieta’”.

G. Con il settimo (ultimo) motivo la societa’ – dedotto aver (a) l’Ufficio considerato “indeducibili” talune spese (“formate in prevalenza da costi per acquisto di carburante”) perche’ relative “ad autovetture non nella disponibilita’ di essa societa’” e (b) essa dedotto che “le spese per il carburante erano relative ad autoveicoli regolarmente intestati all’azienda” (“furgoncino per interventi di assistenza…; altre auto con targa prova da far provare ai clienti”) – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 15, comma 5, nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5” osservando che:

– la prima norma “riconosce la deducibilita’ delle spesa riferite ad attivita’ o beni da cui derivano i proventi che concorrono a formare il reddito”;

– “con specifici documenti… ha fornito la prova inconfutabile del fatto di essere proprietaria della autovetture alle quali si riferiscono i costi per i carburanti”;

– “l’Ufficio… non ha mai contestato quest’ ultima circostanza”.

La ricorrente, pertanto, “chiede” (“quesito”) di “statuire che, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5 nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, sono deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa e della base imponibile IRAP i costi riferibili ad attivita’ o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito” : “cosicche’,.sussiste l’inerenza e la conseguente deducibilita’ dei costi per l’acquisto di carburante relativi ad autovetture delle quali la… contribuente, esercente l’attivita’ di concessionaria ed officina di autoveicoli, abbia dimostrato di essere proprietaria e che la stessa utilizzi per attivita’ attinenti all’oggetto sociale (quali… l’assistenza stradale o la prova gratuita delle vetture da parte dei clienti interessati all’acquisto)”.

4. L’Agenzia, dal suo canto, impugna la medesima decisione di appello con due motivi, entrambi relativi alla “contestazione” concernente il “valore attribuito alle rimanenze finali auto usate”, che sarebbe stato determinato con “valori non uniformi” (“ad alcune il costo storico, ad altre un costo inferiore o superiore al costo storico senza alcuna precisazione”).

A. Con il primo motivo l’ente pubblico – riprodotto il contenuto dell'”appello incidentale” dell’Ufficio, nel quale questo “evidenziava che veniva talvolta indicato un valore a costo storico, altre volte superiore allo stesso costo e altre ancora inferiore, tutto… a propria discrezione senza mantenere quel criterio di uniformita’ che e’ obbligo nell’ambito dello stesso esercizio” – denunzia “omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo” (“ripresa relativa alle rimanenze finali”, date dal “valore” delle “auto usate acquistate in regime di margine e non”) adducendo che “la sentenza appare… del tutto priva di motivazione in quanto afferma che il valore deve essere uniforme nell’ambito di categorie omogenee senza avvedersi che l’Ufficio aveva evidenzia-to la difformita’ dei valori indicati con riferimento alle sole auto usate”.

B. Con il secondo (ed ultimo) motivo l’Agenzia denunzi a “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 59 TUIR” (“nel testo vigente ratione temporis”) deducendo che per tale norme “nella valutazione dei beni in rimanenza deve utilizzarsi un criterio uniforme ed omogeneo” mentre “il criterio utilizzato dalla contribuente e’ disomogeneo”: chiede pertanto a questa Corte di dire (“quesito”) “se, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 59 TUIR nel testo vigente ratione temporis, alle rimanenze di magazzino, costituite da auto usate, il criterio di valutazione debba essere uniforme e non stabilito in misura a volte pari, a volle superiore o a volte inferiore al costo storico”.

5. Il ricorso della contribuente va accolto, con eccezione del primo motivo.

Il ricorso dell’Agenzia, invece, deve essere respinto in toto perche’ infondato.

Le ragioni dell’accoglimento del ricorso della contribuente.

A. L’infondatezza del primo motivo di doglianza – con il quale, nella sostanza, la contribuente contesta la sussistenza, nel caso, delle condizioni richieste dalle conferenti norme (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55) perche’ l’Ufficio possa esercitare il suo potere di accertamento delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto – discende dal principio – che va ribadito per carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria – secondo cui (Cass., trib., 5 ottobre 2007 n. 20857, tra le recenti ) “In tema di determinazione del reddito d’impresa mentre all’accertamento con metodo induttivo (extracontabile) D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 2, lett. d, si ricorre in presenza di contabilita’ complessivamente inattendibile, in quanto tale rivelata dalle circostanze indicate nella norma, e con riferimento al reddito complessivamente considerato, l’accertamento con metodo analitico induttivo D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, si risolve nella rettifica di singole componenti reddituali (..) e presuppone elementi presuntivi semplici, purche’ gravi, precisi e concordanti, che… prospettino l’esistenza di attivita’ non dichiarate o l’inesistenza di passivita’ dichiarate, secondo canoni di ragionevole probabilita’, (cfr. Cass. 26919/06, 9884/02 63377/02)”.

Nella stessa decisione si e’ altresi’ ribadito che “l’accertamento in rettifica e’ consentito, ai sensi del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d, pure in presenza di contabilita’ formalmente regolare, giacche’ la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che facciano seriamente dubitare della completezza e fedelta’ della contabilita’ esaminata (cfr. la giurisprudenza richiamata in precedenza)”.

Peraltro e comunque, costituisce “principio consolidato” (tale definito da Cass., trib., 14 maggio 2007 n. 10960, da cui gli excerpta, cui adde: Cass., trib., 27 giugno 2008 n. 17626 e 18 dicembre 2006 n. 27068) di questa Corte pure quello secondo il quale “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, allorquando ricorrano i presupposti sia dell’accertamento analitico che di quello induttivo, l’amministrazione finanziaria puo’ legittimamente utilizzare sia l’uno che l’altro metodo “con l’ulteriore, significativa precisazione che qualora, pur in presenza delle condizioni suscettibili di legittimare l’adozione di un accertamento induttivo a termini del D.P.R. 20 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 3, la rettifica sia stata operata con metodo analitico, a mente del comma 1 della medesima disposizione, il contribuente non ha titolo per lamentare l’emissione nei suoi confronti di un accertamento analitico, invece che di un accertamento induttivo e sintetico, posto che l’eventuale adozione di questo implicherebbe per lui garanzie minori di quelle correlabili alla emissione di quello (Cass. 20837/05, 6945/01 e 5557/00)”.

A conclusione dell’esame del motivo, va, comunque ed infine, evidenziato che la ricorrente, per vero, non, contesta affatto l’astratta sussistenza delle condizioni normative legittimanti l’accertamento dell’Ufficio in ipotesi di discordanza tra le ore di lavoro fatturate e quelle emergenti dalle scritture contabili (od anche aliunde) ma (come si evince univocamente dal formulato “quesito” conclusivo laddove si invoca “un presupposto positivamente riscontrato”) fonda la sua impugnazione sulla assunta insussistenza, nel suo caso, di quella discordanza, quindi, come evidente, mediando le denunziate violazioni di legge con detta contestazione fattuale:

tanto, pero’, esclude in re ipsa la sussistenza del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 essendo (Cass., trib.: 10 febbraio 2006 n. 2935; 20 gennaio 2006 n. 1127; 9 novembre 2005 n. 21767; id., 1^, 11 agosto 2004 n. 15499) l’allegazione di un’ erronea ricognizione della fattispecie concreta esterna all’esatta interpretazione della norma di legge perche’ quella ricognizione inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ possibile, (se consentita) in sede di legittimita’, soltanto sotto l’aspetto del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

B. Le asserzioni del giudice di appello secondo le quali (a) “la mancata fatturazione di 2539 ore pari a 311 giorni lavorativi di 8 ore, rappresenta una palese dissimulazione di una parte dei ricavi effettivamente conseguiti” (per cui “l’Ufficio ha legittimamente operato le rettifiche”) e (b) “le giustificazioni date dal reclamante… non appaiono soddisfacenti visto… l’enorme scostamento tra le ore lavorate e quelle fatturate” – uniche poste a fondamento della decisione di rigetto del punto di gravame -, di converso, sono effettivamente affette dai vizi motivazionali denunziati dalla contribuente in quanto si risolvono in considerazioni generiche, siccome avulse da qualsiasi riferimento a fatti concreti, e del tutto apodittiche perche’ non consentono di individuare le ragioni non solo della affermata enormita’ dello “scostamento tra le ore lavorate e quelle fatturate” (fondata sul mero dato numerico, privo in se’ di alcuna significanza perche’ non desunto da un riscontro percentuale) ma neppure della effettiva considerazione e valutazione delle “giustificazioni” (peraltro neanche precisate in sentenza) “date dal reclamante”.

Siffatta omissione (comunque motivazionale), nel caso, acquista valore decisivo per la dovizia dei peculiari elementi (“lavoro straordinario” delle giornate di sabato in estate; ore di lavoro impiegate per il condizionamento delle auto usate e per i lavori in garanzia sulle medesime; ore per l’aggiornamento professionale) giustificativi dello “scostamento”, offerti dalla contribuente, al positivo accertamento (anche parziale) dei quali non puo’ essere disconosciuta l’idoneita’ a contrastare (se non annullare) la pretesa fiscale fondata su tale circostanza.

L’evidenziata totale mancanza di motivazione in ordine alla asserita (ir)rilevanza (“non appaiono soddisfacenti”) di dette “giustificazioni” impone la cassazione in parte qua della sentenza impugnata.

C. Anche l’unica affermazione della Commissione Tributaria Regionale “in ordine alle riprese per quote di ammortamento, per le indebite deduzioni dei costi e per i costi non deducibili” (“non ravvisa fatti nuovi tali… da invalidare il primo giudizio apparso puntuale e preciso”) – contestata dalla ricorrente con gli ultimi quattro motivi di ricorso (anche questi da scrutinare congiuntamente) – evidenzia, infine, una motivazione assolutamente inconsistente perche’ priva di qualsiasi idoneita’ a comunque rappresentare non solo l’iter logico che ha determinato la decisione negativa ma benanco (non avendo il giudice di appello neppure sintetizzato, neanche nello svolgimento del processo, le ragioni che avrebbe svolto la Commissione Tributaria Provinciale su dette specifiche riprese a tassazioni) ad esplicare le ragioni per le quali “il primo giudizio” sarebbe “puntuale e preciso”.

Anche il punto della decisione impugnata relativo alle “riprese per quote di ammortamento”, alle “indebite deduzioni dei costi” ed ai “costi non deducibili”, pertanto, deve essere cassato.

11. Le ragioni del rigetto del ricorso dell’Agenzia.

Per il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 59, comma 1 (92 nella numerazione introdotta con il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) (testo in vigore, ratione temporis, modificato dal D.L. del 29 giugno 1994, n. 416, art. 1 convertito in L. 8 agosto 1994, n. 503) “le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’art. 60, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono”.

Le “disposizioni che seguono”, invero, non contengono nessuna indicazione utile al fine di individuare (e definire) la nozione di “categorie omogenee” considerata dalla norma ma la latitudine della previsione, univocamente tradibile dal riferimento alla “natura” ed al “valore” dei beni da raggruppare, impone di ritenere che il raggruppamento consentito non deve riguardare necessariamente soltanto la “natura” dei beni perche’ ben puo’ fare riferimento anche solo al “valore” degli stessi beni, nonostante la identita’ della loro natura: si deduce, quindi, che beni della stessa natura possono essere anche raggruppati in categorie differenti che facciano riferimento, oltre che a quello puramente merceologico, ad un criterio comune di determinazione del valore.

In base al disposto in esame, pertanto, l’omogeneita’ della categoria di raggruppamento non richiede affatto. L’adozione di un unico ed identico “criterio di vatutazione” per tutti i beni della categoria atteso che l’omogeneita’ della natura non necessariamente determina anche omogeneita’ dei valori di ciascuno di quei beni ne’ necessaria unicita’ di raggruppamento.

Si consideri, inoltre, che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, comma 3 (numerazione anteriore) del medesimo TUIR, in via generale, impone (va) di intendere (“si intende”) “per valore normale, salvo quanto stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati,… il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo piu’ prossimi…” :

per tale norma, quindi, il “valore normale” anche delle auto usate deve essere inteso quello “mediamente praticato” per ciascun tipo di autoveicolo nelle stesse condizioni e delle medesime qualita’, a prescindere, quindi, da qualsiasi riferimento al (solo) “costo storico”, non necessariamente rispondente a quello determinato in base ai criteri indicati dalla norma (per le possibili connessioni tra le due norme, vds. Cass., trib., 19 novembre 2007 n. 23866).

Dall’esposta analisi normativa discende (a) l’infondatezza giuridica, quanto alle auto usate, della tesi dell’Agenzia secondo cui il criterio di valutazione delle stesse quale rimanenze di magazzino;

debba essere “uniforme” anche perche’ il “costo storico” (che l’ente ricorrente sembra privilegiare) non considera la non uniformita’ della svalutazione derivante dal trascorrere del tempo, soprattutto in considerazione della peculiare obsolescenza propria di ogni specie (tipo) del bene “auto usate” anche per effetto del sopravvenire di norme antinquinamento, e (b) la sostanziale correttezza dell’affermazione del giudice di appello sul punto secondo cui “l’omogeneita’ di valutazione” non deve necessariamente riferirsi, come (ivi) sostenuto dall’Ufficio, “all’intero complesso delle rimanenze” ma ben puo’ far riferimento “a ciascuna delle categorie omogenee in cui dette categorie sono suddivise”.

E’ appena il caso di precisare che il principio innanzi enucleato vale solo per la individuazione di cri-teri (per cosi’ dire) di “omogenizzazione” delle categorie dei beni ai fini della valutazione delle rimanenze di un determinato anno di imposta ma non influisce su quello (di necessaria osservanza) detto di “continuita’ dei valori di bilancio” (cfr., Cass., trib., 12 maggio 2008 n. 11748) desumibile del medesimo art. 59, comma 6) laddove dispone che “le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo”.

La formulazione della prima doglianza, peraltro ed infine, si palesa inammissibile per violazione:

(1) dell’art. 366 bis c.p.c., atteso che la censura (esposta come vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., n. 5) manca materialmente del necessario ed imprescindibile momento di sintesi, imposto da tale norma;

(2) dell’art. 366 c.p.c., in quanto non sorretta dalla necessaria esposizione dei concreti elementi di fatto che la confortano, non essendo stato indicato (neppure per esempi) ne’ il criterio di valutazione adottato dalla contribuente ne’ l’altro ritenuto corretto dall’Ufficio di tal che si rende impossibile verificare, in fatto, il preciso significato (e, quindi, la correttezza o meno) dell’osservazione “ciascuna delle categorie omogenee in cui dette rimanenze sono suddivise” sull’accertamento della cui esistenza la Commissione Tributaria Regionale ha basato la sua decisione.

6. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente ai motivi del ricorso della contribuente risultati fondati e la causa, siccome bisognevole degli afferenti accertamenti fattuali, deve essere rinviata a sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha pronunciato la decisione cassata affinche’ (1) motivando congruamente la decisione presa, statuisca, previa valutazione del fondamento e della rilevanza delle specifiche deduzioni della contribuente (quali ricordate innanzi nella esposizione dei singoli motivi di ricorso per Cassazione), sulla legittimita’ delle riprese a tassazione concernenti la pretesa “mancata fatturazione” di ricavi (desunta dal riscontro tra le ore di lavoro fatturate e quelle maggiori risultanti dai documenti della societa’), le “quote di ammortamento”, le assunte “indebite deduzioni dei costi” e i “costi non deducibili”, nonche’ (2) provveda anche in ordine alle spese processuali di questo giudizio di legittimita’.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso principale;

accoglie gli altri motivi dello stesso ricorso; rigetta il ricorso incidentale dell’Agenzia; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimita’, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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