Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11154 del 07/05/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/05/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 07/05/2010), n.11154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

METROPIN S.P.A., in persona dell’amm. Pro tempore Selettivamente do.ta in Roma,

via Granisci, n. 16 (studio Pandolfo), nello studio dell’Avv. PASANISI MARCELLO,

che la rappresenta e difenda giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 26/28/06, depositata in data 14 aprile 2006;

Sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del

25 novembre 2009 dal consigliere Dott. Pietro Campanile;

Sentito il difensore dell’intimata, avv. Marcello Pasanisi, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Federico Sorrentino, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1.1 La Commissione tributaria regionale del Lazio, con la decisione indicata in epigrafe, ha accolto l’appello proposto dalla Metrofin S.p.a. avverso la sentenza di primo grado con cui era stato rigettato il proprio ricorso nei confronti dell’Ufficio Roma (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate, in relazione ad avviso di accertamento con il quale era stato determinato un maggior reddito IRPEG ed ILOR, per l’anno 1994, sulla base di un verbale della Guardia di Finanza in cui si era rilevata l’omessa contabilizzazione di interessi su crediti vantati verso clienti.

1.2. In tale decisione, si è affermato, fra l’altro, che “gli interessi di mora devono essere contabilizzati nel momento dell’effettivo incasso degli stessi”, mentre dagli atti risulta che il contribuente deve ancora percepire gli interessi di cui trattasi”.

1.3. Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo due motivi.

1.4. La Metrofin, costituitasi con controricorso, ha ribadito l’illegittimità dell’avviso di accertamento.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che la Metrofin operante nel settore degli intermediatori finanziari, aveva addebitato ad altra società del gruppo, la Metroleasing, oltre agli interessi passivi, interessi di mora al tasso del 18 per cento. Analogo criterio non era stata adottato in relazione ai crediti vantati verso altre società del gruppo, ragion per cui sarebbe stato posto un comportamento antieconomico ed irragionevole, tale da consentire l’accertamento e da far ritenere tassabili gli interessi in questione. E’ stato quindi formulato il seguente quesito: “Se sia compresa nella previsione di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 56(T.U.I.R.) la tassazione degli interessi moratori conseguiti nell’ambito del reddito di impresa dalla società finanziaria allorchè il soggetto debitore restituisca in ritardo le somme ricevute in prestito”.

2.2 – Con il secondo motivo è stata dedotta insufficiente motivazione, in relazione a un punto decisivo della controversia, per non aver la sentenza evidenziato in maniera adeguata le ragioni in base alle quali le considerazioni dell’Ufficio erano state disattese.

2.3 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, meritano accoglimento.

Deve, invero, affermarsi la condivisibilità dei rilievi inerenti alla natura antieconomica della omessa percezione degli interessi, ed ai suoi riflessi in tema all’onere della prova. Secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ilD.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), consente l’accertamento induttivo del reddito, pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, qualora la contabilità possa essere considerata complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali di ragionevolezza – ad esempio in presenza di un comportamento del contribuente manifestamente ed inspiegabilmente antieconomico (Cass. n. 7487 del 2002en. 24532 del 2007).

Va in ogni caso considerato che non può condividersi la tesi secondo cui la dimostrazione della mancata percezione incombeva all’Agenzia, in quanto – a tacere del carattere normalmente oneroso dei mutui previsto dall’art. 1815 c.c.- ilD.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 43, (sulla determinazione dei redditi di capitale delle persone fisiche ai fini dell’Irpef), prevede, per i capitali dati a mutuo, che si presume, salvo prova contraria, il diritto agli interessi al tasso legale se non convenuti ovvero pattuiti in misura inferiore. Tale disposizione trova applicazione anche per le società commerciali, in base al rinvio generale delD.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, art. 5, (sulla determinazione del reddito complessivo ai fini dell’Irpeg ), che estende le presunzioni del predetto art. 43 ai contribuenti soggetti ad Irpeg (Cass., 11 aprile 2008, n. 9498).

Con specifico riferimento a crediti fra società dello stesso gruppo, questa Corte ha affermato il principio secondo cui gli interessi attivi (e passivi) – da contabilizzarsi, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata decisione, secondo il criterio di competenza, costituiscono entrate (o uscite) di ciascun contribuente e debbono essere specificamente conteggiati, in virtù dei principi di trasparenza, codificati nell’art. 2423 c.c., senza che assuma alcun rilievo il fatto che i rapporti di credito e debito, fonte degli interessi in questione, intercorrano fra società del medesimo gruppo, di guisa che agli effetti del gruppo si determini una mera partita di giro (Cass., 6 agosto 2008. n. 21157).

La decisione impugnata, pertanto, deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, che si uniformerà, provvedendo alla regolazione delle spese processuali, al seguente principio di diritto: “Gli interessi irroratori conseguiti nell’ambito dell’impresa sono compresi nella previsione dell’art. 56 del cit. T.U.I.R., e debbono essere specificamente conteggiati, in virtù dei principi di trasparenza, codificati nell’art. 2423 c.c., senza che assuma alcun rilievo il fatto che i rapporti di credito e debito, fonte degli interessi in questione, intercorrano fra società del medesimo gruppo”.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2010

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