Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11151 del 10/06/2020

Cassazione civile sez. I, 10/06/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 10/06/2020), n.11151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 870/2019 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in Reggio Calabria Via

Reggio Campi, Rione A presso lo studio dell’Avv.to Ivana Calcopietro

manca il domiciliatario;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Crotone, Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1238/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 18/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 da Dott. MELONI MARINA;

udito l’Avvocato Ivana Calcopietro che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Catanzaro con sentenza in data 18/6/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Catanzaro ed ancor prima dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone in ordine alle istanze avanzate da K.M. nato in (OMISSIS) il (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dallo Stato del (OMISSIS), aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese a causa delle persecuzioni violente e delle aggressioni subite da parte di un uomo del suo villaggio che voleva in restituzione il terreno da lui coltivato. Poichè la terra costituiva l’unica fonte di sostentamento della sua famiglia, egli, temendo per la propria vita, decise di lasciare il paese.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008 ed D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A) B) C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto la Corte di Appello di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria trascurando di considerare la situazione socio-politica del paese di origine; inoltre la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato il provvedimento di rigetto affermando che la situazione di violenza in (OMISSIS) era limitata ad una determinata area del paese e non in tutto lo Stato di origine e così facendo ha violato la normativa di cui sopra in quanto, al contrario di altri Stati, lo Stato italiano non aveva recepito l’art. 8 della direttiva e pertanto non era consentito negare la protezione allo straniero anche se nello Stato di origine avrebbe potuto trasferirsi e stabilirsi in una zona sicura del territorio lontano da quella pericolosa.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto. I motivi di ricorso da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro avvinti, si sostanziano per la gran parte in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della Corte, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In riferimento al primo motivo di ricorso è vero che “In tema di protezione internazionale dello straniero, il riconoscimento del diritto ad ottenere lo “status” di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell’art. 8 della Direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, essendo una facoltà rimessa agli Stati membri inserirla nell’atto normativo di attuazione della Direttiva.” Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2294 del 16/02/2012.

Nella fattispecie tuttavia la sentenza impugnata non afferma che lo straniero, tornato in patria, deve trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di provenienza del ricorrente, non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio e pertanto la censura avanzata non coglie nel segno ed appare infondata.

Inoltre la sentenza impugnata ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente.

Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

In particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata oltre alle ragioni della ritenuta genericità ed illogicità del racconto (pag. 7) esamina la situazione della zona di provenienza e. di conseguenza non ravvisa i presupposti per la protezione sussidiaria ritenendo con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e diffusa e di un conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano tale diritto. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Qualora poi le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la Corte ha precisato come la zona del (OMISSIS), regione di (OMISSIS), dalla quale proviene il ricorrente, non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona. Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte, in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede, circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

In riferimento alla disposizione dell’art. 10 Cost., questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste dai tre istituti dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251 e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6; con la conseguenza che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione. (Cass. 10686 del 2012; n. 16362 del 2016).

Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere respinto. Nulla per le spese stante la mancanza di attività difensiva.

Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 8 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2020

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